La Corte di Mendrisio ha condannato a 4 anni e 9 mesi la 43enne che nel 2023 accoltellò un uomo dopo un litigio. Dovrà curarsi in una struttura
Una lite violenta, scaturita da un attacco di gelosia, poi sfociata in quello che la Corte delle assise criminali di Mendrisio ha definito un tentativo di omicidio intenzionale. Non ha convinto la tesi difensiva, che sosteneva che la 43enne avesse utilizzato il coltello solamente per difendersi dall’ira della vittima. L’imputata – in prigione dal maggio 2023 – dovrà quindi scontare una pena detentiva di 4 anni e 9 mesi. La detenzione sarà però sospesa, sostituita da un trattamento stazionario a cui la donna dovrà sottoporsi per curare i suoi problemi di tossicodipendenza.
Il caso è riapprodato oggi, mercoledì, in aula, dopo che, durante il processo tenutosi lo scorso 3 aprile, il giudice Amos Pagnamenta aveva chiesto che venisse effettuata una perizia psichiatrica aggiornata, sospendendo il dibattimento. La nuova perizia era stata chiesta in quanto, in quella precedente, veniva stabilito che fosse necessario un trattamento stazionario per curare la tossicodipendenza; e questo aveva fatto emergere delle perplessità, dal momento che la donna non assumeva sostanze da oltre un anno per via della detenzione. La seconda perizia ha riconfermato quella precedente: il problema principale della donna rimane la dipendenza da sostanze, e questa ha la priorità rispetto ai suoi disturbi psichici e comportamentali, che giocano comunque un ruolo negativo notevole nella vita della donna.
Per la procuratrice pubblica Anna Fumagalli non ci sono dubbi: quella fatidica notte del 17 febbraio 2023, quando accecata dall’ira e annebbiata dall’abuso di alcol e droghe pesanti, la 43enne ha assalito il suo amico con un coltello per il pane, l’intento era quello di uccidere. La vittima, dopo essere stata ferita in maniera grave ma non letale, si era data alla fuga, mentre la reazione della donna era stata quella di pulire il sangue dall’appartamento. Non è risultata quindi credibile la tesi dell’autodifesa, sostenuta dall’avvocato Roberto Rulli. Anche perché, nel corso dell’inchiesta, le versioni fornite dalla donna sono state, per dirla con Fumagalli, «eterogenee, colorite, e in continua contraddizione».
E non è stata la prima volta che la donna ha dato mostra della propria aggressività. Tra le svariate imputazioni contenute nell’atto d’accusa – ben dodici –, spicca anche quella di violazione del dovere di assistenza, per avere esposto a grave pericolo lo sviluppo psicofisico del figlio, nato nel 2019. Oltre a diversi episodi in cui la donna lo ha preso a sberle, a convincere la Corte dell’inadeguatezza dell’imputata come figura genitoriale, è stata l’esposizione del piccolo a sostanze stupefacenti, consumandone in sua presenza in quantità tali da poter venir rilevate negli esami del sangue del bambino.
La perizia psichiatrica ha stabilito che per la donna la miglior cosa sarebbe stata un trattamento stazionario presso una struttura come Villa Argentina, poi approvato dalla Corte. La pp aveva però chiesto per l’imputata una pena, interamente da scontare, di ben 6 anni e 10 mesi, tenendo in considerazione la lieve scemata imputabilità conferitele dalla perizia psichiatrica. Dal canto suo, la 43enne ritiene di non essere affetta dai disturbi stabiliti dalla perizia, un atteggiamento che mal si sposa con un percorso riabilitativo. L'avvocato Arturo Garzoni, rappresentante della vittima, costituitasi accusatore privato, aveva chiesto un risarcimento di 10mila franchi per il proprio assistito, oltre al pagamento di 2’500 franchi per coprire le spese mediche a cui ha dovuto sottoporsi. La difesa invece aveva richiesto che venisse prosciolta dall’accusa di tentato omicidio e il dolo eventuale, e che le venisse riconosciuta solamente l’imputazione di lesioni semplici, con una pena di al massimo tre anni, ovviamente sospesa per lasciar spazio alla terapia.
«Non si possono nascondere le perplessità sulle questioni peritali – ha detto Pagnamenta durante la lettura della sentenza –, dato che pur non prendendo droghe da un anno e mezzo, risulta evidente che è una persona problematica, con turbe soggiacenti la tossicodipendenza». Elencando le ragioni della sentenza, Pagnamenta ha evidenziato come «chi tira fendenti con un coltello non può non prendere in considerazione la possibilità di causare ferite mortali», confermando così il dolo eventuale. Riguardo l’imputazione di violazione del dovere di assistenza, il giudice ha precisato come «già solo l’aver permesso o agevolato la possibilità che un bambino di due anni entrasse in contatto con delle sostanze stupefacenti, sono ragioni sufficienti per ritenerla colpevole, e stupisce che l’imputata non pare rendersi conto della sua inadeguatezza».