È su questi valori che si è sviluppato il discorso dell’allenatore dell'Fc Lugano oggi a Novazzano in occasione della Festa nazionale
Solidarietà, democrazia e accoglienza. È in sostanza questo il succo dell’allocuzione dell'allenatore dell’Fc Lugano, Mattia Croci-Torti pronunciata oggi in occasione del Natale della Patria a Novazzano. Un incontro che il Comune ha organizzato in collaborazione con il Carnevale Benefico Novazzanese, invitando il Mister che si è detto orgoglioso di questo invito. «Essere qui a Novazzano, un comune che ha scelto di invitarmi per parlare alla gente in una giornata tanto importante nonostante non sia uno dei suoi cittadini, ha una valenza doppia e aggiunge tanto ulteriore orgoglio ai sentimenti di fierezza e di responsabilità che oggi mi accompagnano». Ma il discorso dell'allenatore dei bianconeri è fondato anche sul significato del sacrificio, della fatica e dei traguardi sportivi che hanno segnato la storia.
«Se penso a Novazzano, i miei ricordi non possono anche andare sempre al 27 settembre del 2009, uno dei giorni più belli della mia vita, l’ultimo giorno dei Mondiali di ciclismo di Mendrisio». Una giornata «di sole, piena di gente che proveniva da tutte le parti del mondo, tutti arrivati con il sorriso in volto e pronti a sostenere i propri beniamini. La mitica Torraccia era gremita di gente fin dalle prime ore del mattino, nel nucleo del paese si respirava un’aria di festa, regnava un sentimento di eccitazione. Ci sentivamo tutti padroni di casa in quello che in quel momento era il vero e proprio centro del mondo dello sport mondiale. Noi tutti eravamo vestiti con i colori della nostra bandiera rossocrociata per omaggiare e spingere Fabian Cancellara, eroe di casa e favoritissimo».
Prima di quel giorno storico, «avevo assistito a una decina di gare di ciclismo: fermo su un ciglio della strada vedevo sfrecciare per poche manciate di secondi ciclisti lanciati a velocità folle. Quel giorno – ha raccontato ancora Croci-Torti –, per contro, è stato molto diverso. Abbiamo visto per 19 volte questi atleti incredibili affrontare i 1’750 metri di salita con sguardi sempre meno distesi. A ogni giro la tensione aumentava e il tifo si faceva sempre più intenso e caloroso». Alla fine non la spuntò l’eroe di casa Cancellara, bensì un australiano che da anni vive nella nostra regione, Cadel Evans.
«Ed è proprio in quelle ore che ho ricevuto una vera e propria lezione di vita. Approfitto di quest'opportunità per condividere con voi questo pensiero. Per ottenere un risultato, per avere successo o semplicemente per riuscire a realizzarsi bisogna sapere faticare. O meglio, bisogna accettare la fatica, conoscerla, imparare a conviverci e far sì che questa diventi un punto di forza e non una sensazione di sfinimento mentale e fisico». Se «vogliamo vincere, come Cadel Evans riuscì a fare in quel lontano giorno di settembre, evitiamo di dare tutto per scontato. Non pensiate che le cose arrivino da sole, non lasciatevi andare alle prime difficoltà, ma al contrario rimanete in piedi e abbiate il coraggio di fare fatica». Per avere successo «bisogna convivere con il fatto che il percorso della nostra vita sia fatto di pianure, di discese ma anche di tante salite, di vette e di montagne da scalare che a volte possono sembrare invalicabili. Sono e rimarrò convinto che quella gara non l’abbiano vinta i grandi favoriti, bensì chi conosceva al meglio quella salita e i suoi punti di fatica estrema».
Non è mancato un momento di condivisione delle proprie esperienze, e delle lezioni apprese.
«Cinque anni fa – ha spiegato il Mister – allenavo il Mendrisio, pieno di entusiasmo e di orgoglio. Ero sicuro di poter fare qualcosa di importante ed ero molto sicuro di me. Dopo 2 mesi senza una vittoria venni giustamente esonerato. Fu una grande batosta che fece nascere in me una grande sentimento di frustrazione. Ma è proprio in quei giorni da disoccupato che metaforicamente ho inforcato la mia bicicletta e ho iniziato a pedalare in salita, rimettendomi a studiare, rimettendomi a viaggiare per aggiornarmi, accettando ruoli non di prestigio, che però mi permettevano di riavvicinarmi al mio sogno». Adesso «sono qui, non lontano da quella famosa salita, in preda alle emozioni. Dopo due anni vissuti sulla cresta dell’onda, dopo aver vissuto per ben due volte dal bordo del campo la finale di Coppa Svizzera davanti a migliaia di tifosi venuti a Berna per sostenerci. Credetemi, è una sensazione speciale. Come speciale, incredibile e indimenticabile è stata la sensazione all’ascolto, da cittadino svizzero, dal salmo nazionale nel Wankdorf gremito di gente».
Oggi, «davanti a tutti voi, come fu il caso lo scorso 4 giugno davanti ai tifosi giunti a Berna, mi sento particolarmente fiero di essere cittadino svizzero e di poter continuare a trasmettere i valori che hanno scritto la storia del nostro Paese. Solidarietà, democrazia, accoglienza, le nostre diversità... Valori che ci rendono unici».