Orio Galli ci ha accompagnato tra le sale del m.a.x. museo e le pieghe della sua vita, che ha incrociato le vie della cittadina (come Arbasino)
Nella sua esistenza Orio Galli ha incrociato spesso e volentieri le strade di Chiasso e del Mendrisiotto. Casi della vita, fatalità della Storia. Nato a Milano, il grafico e artista ticinese è cresciuto a Mendrisio e qui, nella cittadina di confine, ai tempi dell’‘età dell’oro’, ha ricevuto i suoi primi stimoli professionali. Era, quindi, nell’ordine naturale delle cose che il m.a.x. museo di Chiasso gli dedicasse una mostra – in allestimento sino all’8 ottobre prossimo a cura di Mario Piazza e Nicoletta Ossanna Cavadini – che vale un viaggio nel lavoro dell’artista, e al contempo nella memoria collettiva. Che lui, il protagonista, lasciasse un segno (anzi un’impronta) tutto chiassese, quindi, non sorprende. Pochi passi oltre la soglia e ci si imbatte, da subito, lì nell’atrio d’ingresso del museo, nella sua ultima opera, ora incorniciata in una bacheca. A dargli l’ispirazione è stata una lettera aperta vergata dallo scrittore italiano Alberto Arbasino (1930-2020) giusto una sessantina di anni fa. Il titolo? Evocativo: ‘Una gita a Chiasso’. Gli echi di quelle parole, profetiche e al tempo stesso con un che di salutare provocazione, del resto, si risentono ancora. Rimbalzate nel 2015 dallo stesso autore, ospite di quella edizione di ‘Chiasso Letteraria’.
Pochi passi oltre la soglia e ci si imbatte, da subito, lì nell'atrio d'ingresso del museo, nella sua ultima opera, ora incorniciata in una bacheca. A dargli l'ispirazione è stata una lettera aperta vergata dallo scrittore italiano Alberto Arbasino (1930-2020) giusto una sessantina di anni fa. Il titolo? Evocativo: ‘Una gita a Chiasso’. Gli echi di quelle parole, profetiche e al tempo stesso con un che di salutare provocazione, del resto, si risentono ancora. Rimbalzate nel 2015 dallo stesso autore, ospite di quella edizione di ’Chiasso Letteraria’.
«Ci ho pensato su alcuni giorni, poi ho avuto l’idea; l’ho realizzata e ora è esposta», ci dice lo stesso Orio Galli mostrandoci il risultato e raccontandoci come è nato questo suo lavoro. All’epoca Arbasino esortava i suoi connazionali, isolati dal mondo dal Ventennio fascista, a fare una gita in bicicletta a Chiasso e a respirare l’aria che era mancata per troppo tempo. Un invito, fanno capire Galli e la direttrice degli spazi espositivi chiassesi Nicoletta Ossanna Cavadini, ancora valido; che si arrivi da sud o da nord. «E non lo dico certo solo pro domo mia – scherza Galli –. Ma per respirare, di nuovo, ciò che la cittadina sa ancora dare, aiutando a sprovincializzare, ieri come oggi». L’artista non nasconde una punta di polemica: «Ma fa parte della mia natura», ammette.
«È sempre bello con un artista contemporaneo vivente avere qualcosa fatto ad hoc per la mostra, in una sorta di ‘work in progress’ a vantaggio dei visitatori», motiva la direttrice volgendo lo sguardo verso il ‘nuovo acquisto’. «Avete notato che dentro c’è uno sbaglio tipografico?», ci sfida Galli. «Chissà se il pubblico se ne accorgerà. Per inciso, lo sbaglio l’ho lasciato volutamente. Però è intrigante». Nicoletta Ossanna Cavadini non ha esitazioni: l’omaggio ad Arbasino e a Chiasso è quanto mai ‘centrato’. «Lo scrittore italiano – fa presente – è stato uno dei primi intellettuali italiani a capire la grande libertà che la Svizzera poteva offrire a livello culturale e quindi a suggerire metaforicamente la famosa ‘passeggiata a Chiasso’. È quello che noi auspichiamo anche adesso; sperando che comaschi e milanesi possano venire a vedere e a vivere la cultura a Chiasso, in particolar modo nel Centro culturale cittadino». Si può ben dire di trovarsi davanti a una ‘liaison’ particolare.
«Quando sono nato – ci racconta nel frattempo Galli –, dopo un paio di anni, nel 1943, quando cominciavano a piovere le bombe, da Milano mi hanno portato dai nonni a Besazio. E ho una lettera, avevo 2 anni, che rievoca come i miei genitori siano venuti da Milano in bicicletta per vedermi, lì al confine, attraverso la rete metallica (la ramina, ndr) di Arzo». I punti di contatto con Arbasino non mancano di certo. E nel suo ‘Manifesto’ odierno li si ritrovano: «Mi piacerebbe rimanessero come memoria». La stessa che rimanda alla madre milanese, al padre nato a San Pietroburgo da genitori di Besazio, al nonno paterno emigrato in Russia con un fratello a fare lo scalpellino.
Anche il legame con Chiasso, rilanciamo, è evidente. «Non che frequentassi la cittadina in modo particolare. Eppure, curiosamente, i primi clienti che ho avuto sono stati a Chiasso – ci spiega il designer ticinese –. Anche il mio primo manifesto premiato, d’altro canto, nel 1970, è stato per il chiassese Caffè Moretto. C’era Gino Macconi, che aveva appena aperto la galleria Mosaico, che aveva suggerito di scegliere quel lavoro tra i diversi progetti che avevo presentato». Non a caso l’opera è fra gli oltre trecento pezzi in mostra – tra schizzi, bozzetti, disegni acquerellati, carte intestate, manifesti, cartoline, pubblicazioni e libri d’artista – e che narrano, passo dopo passo, la carriera di Galli.
Il Comune di Chiasso e il suo ‘cuore’ culturale, in effetti, sono diventati depositari del lavoro di una vita. Grafico, pittore, nonché docente di arte calligrafica (e non solo), Galli ha infatti donato alla città la sua produzione: più di 10mila opere, ora in fase di digitalizzazione. Il suo obiettivo, d’altra parte, è quello di lasciare una traccia. «Come mi ha scritto Milton Glaser, uno dei massimi disegnatori e grafici dell’età contemporanea – l’autore del logo ‘I love New York’, per intenderci, ndr –, al quale ho inviato la prima copia della mia monografia, dobbiamo essere contenti che nel nostro lavoro, in fondo, qualcosa rimane».
Se mai servisse una prova, basta perdersi per un momento nel ‘bosco’ dei manifesti-simbolo che introducono all’esposizione antologica, lì sulla terrazza antistante il museo, per capire che quelle parole sono sacrosante. I lavori in cui ci si imbatte sono un esempio di tecnica sapiente, intuizione artistica e persino capacità di anticipare problemi con i quali ci tocca fare i conti, oggi più che mai (come la politica energetica, il territorio o il traffico). I ricordi in Galli si affollano, ciascun cartellone ha una storia: «Questo – ci indica – l’ho fatto a Chiasso nel 1965, quest’altro l’ho realizzato con la fotocopiatrice, strisciandolo in maniera empirica». Poco oltre ecco il manifesto per l’apertura dell’autostrada al Gottardo e quello dedicato al piano viario di Lugano: «Ci sono cose che potrebbero essere realizzate oggi», annota con un pizzico di orgoglio. Come non soffermarsi, d’altro canto, davanti all’emblema dei Mondiali di ciclismo del 2009 a Mendrisio o a ‘Ticino Terra d’artisti’ del 1984, voluto, ricorda la direttrice «per svecchiare il Ticino Oltregottardo e nel mondo grazie all’abbinamento di architettura e tradizione-cultura dei maestri Comacini. Ancora oggi a TicinoTurismo campeggia questo manifesto».
Ciò che si trova all’esterno del museo, del resto, non è che un assaggio. Il vero viaggio comincia oltre la soglia del museo. A catturare subito l’attenzione sono le foto private – con il piccolo Orio (primo di tre figli) – e gli oggetti di famiglia. «Quando siamo andati nel suo studio – ci mette a parte Nicoletta Ossanna Cavadini –, mi ha colpito questo stereoscopio di fine Ottocento – esposto a Chiasso, ndr – per guardare le immagini fotografiche che venivano stampate come fosse il 3d odierno. Da bambino Orio Galli ci giocava». Fra le mani un oggetto che sa di famiglia: «Quella di mia nonna – ci racconta –, a San Pietroburgo possedeva uno dei pù grandi negozi di materiale d’arte: erano fornitori dello zar».
A ben vedere Galli è stato un po’ un ‘esploratore’ nel mondo della grafica e dell’arte. E per sua stessa ammissione non è si mai tirato indietro. «I primi momenti – confessa – non sono stati facili». Poi è stato un crescendo. «Nella sua vita – fa memoria la direttrice – ha avuto incarichi importanti, come nel Mendrisiotto degli anni del ‘boom’. Poi il punto di svolta, quando incontra il giovane Marco Solari, allora direttore dell’Ente turistico cantonale che nel 1982 lo incarica di disegnare il logotipo TicinoTurismo». Seguono i mandati istituzionali, anche a livello federale. «Diciamo che mi sono dato da fare e ho lavorato sodo», annota Galli. Il quale non ha mai mancato di guardare ai grandi artisti e ai grandi maestri.
Osservando i suoi lavori, ci richiama Nicoletta Ossanna Cavadini attraversando le sale, «si capisce bene che Galli ha sperimentato lungo tutta la sua vita. Mostrando un grande senso di curiosità, da restarne stupiti, ma sempre con un grande rigore (proprio alla scuola svizzera). Poi ecco la fascinazione per i grafici a livello internazionale: nei manifesti compare l’elemento della grafica scritta, strutturata, e si inserisce la fotografia». La fonte di ispirazione? «Sarà che mio padre era un affabulatore...», accenna Galli.
Il designer accompagna, però, la curiosità anche con uno spiccato senso critico, anche verso il suo stesso Paese. «In effetti – ammette –, ho un rapporto critico, persino polemico con quella parte di Paese che vuole mettere sempre una etichetta alle persone. Una volta mi hanno chiesto: ma tu da che parte stai? Ho risposto: io cerco di stare dalla parte dell’interesse del lavoro».
La dice lunga il suo rapporto con le nuove tecnologie (a cominciare dal cellulare). «Negli anni Novanta – esemplifica la direttrice Cavadini –, dopo l’avvento del computer lui lo rifiuta e torna per reazione a un lavoro manuale molto più insistito». Galli non si sottrae: «Lì è cominciato il crollo. Tutti si sono messi a fare tutto; e a quel punto le competenze sono scadute».
Meglio rifugiarsi nella poesia, o meglio tra i versi dei poeti. Non a caso, come ci rende attenti la responsabile museale, «prende delle citazioni, dei passi da poeti o letterati celebri e li trascrive su fondi colorati, restituendo una rilettura grafica leggibile e piacevole». L’occhio corre sulle diverse frasi selezionate, come quella di Aristotele che dice così: “Rari e felici i tempi in cui è permesso di pensare ciò che si vuole e di dire ciò che si pensa” («ti piaceva tanto, eh?», lo sollecita Nicoletta Ossanna Cavadini. «E certo», riconosce Galli).
Rieccoci al punto di partenza: prima di salutarci il designer ci regala un libricino (anzi, un librino della serie ‘Galligrammi dorio’), realizzato e rilegato con le sue mani. A suo tempo, rievoca, era rimasto colpito dal lavoro di Alberto Casiraghi: «Veniva definito il panettiere dell’editoria. Infatti, faceva un librino al giorno. Arrivando a 10mila titoli: una collezione acquisita dal Comune di Milano». Ci ritroviamo a sfogliare un volumetto ‘floreale’, intitolato, appunto ‘Fiori’: racchiude dodici disegni di vasi con i fiori e una poesia di Aldo Palazzeschi. “Oh, come è bello sentirsi libero cittadino solo, nel cuore di un giardino”.