Il progetto di un centro d’accoglienza lanciato da tre mamme si scontra con il veto cantonale. Il capo Servizi sociali di Chiasso: ‘Il bisogno esiste’
Il bisogno sul territorio c’è. E chi opera sul terreno lo tocca con mano quasi ogni giorno. Ma di fatto una risposta tangibile, quattro mura all’interno delle quali ragazzi alle prese con problemi di dipendenze o situazioni famigliari al limite possano trovare un approdo, ancora non esiste. E difficilmente prenderà forma nel prossimo futuro. Il grido d'aiuto lanciato circa un mese fa da tre mamme-volontarie rischia,infatti, di cadere nel vuoto. Il loro progetto di creare una struttura protetta in grado di accogliere questi giovani ha richiamato, sì, l’attenzione dei Comuni del Distretto (o almeno di una parte di essi), ma si è ritrovato davanti il parere negativo dell’autorità cantonale. Nella strategia d’azione messa in campo dal Cantone oggi non vi è posto per un tale centro. Le ragioni? Finanziarie, ma non solo. Le risorse ora sono concentrate sull’ampliamento della Clinica psichiatrica cantonale e sul futuro Centro educativo chiuso per minorenni di Arbedo-Castione.
Eppure a livello locale si avverte la necessità di dover agire, anche sul piano politico. «La situazione ci preoccupa molto – ci mette a parte il sindaco di Chiasso Bruno Arrigoni –. Una struttura come quella suggerita dalle tre mamme manca in Ticino. Al momento vi sono esempi solo in poche città Oltregottardo od Oltreconfine. Ma dobbiamo fare qualcosa anche nel nostro territorio». Nel frattempo, come ci fa capire Andrea Bianchi, responsabile Ufficio servizi sociali di Chiasso, ci si affida alle risorse a disposizione; facendo leva sulla prossimità e il dialogo con i ragazzi. Consapevoli che le strutture esistenti come i Centri educativi per minorenni sono sovraccarichi. «La sofferenza c’è e si vede – ci fa notare Bianchi – e se anche parliamo di piccole percentuali, sono comunque numeri». Cifre dietro le quali vi sono dei ragazzi in seria difficoltà.
«Oggi come oggi – spiega a ‘laRegione’ il responsabile – riusciamo a distinguere due grandi categorie. Da una parte vediamo giovani che hanno dei grossi problemi di sostanze e situazioni già altamente compromesse, che richiedono un lavoro duro e complesso: e qui sul territorio di Chiasso i casi sono limitati, soprattutto al di fuori dal circuito lavorativo e scolastico, anche grazie al potenziamento della nuova legge che obbliga i ragazzi fino a 18 anni ad avere una attività, permettendo loro di non uscire completamente dai radar delle istituzioni e di avere un sostegno. Dall’altra – richiama ancora Bianchi – vi sono i giovani fragili, che vivono magari in un ambiente ‘tossico’ in famiglia e che, pur essendo maggiorenni, non hanno ancora le risorse né economiche né personali per uscire di casa. In entrambi i casi a volte mi trovo in difficoltà a dare una risposta efficace su come poterli aiutare. Un centro come quello prospettato, non solo legato all’uso delle sostanze ma aperto anche a quei giovani che hanno bisogno di un passaggio intermedio tra la casa dei genitori e l’indipendenza, potrebbe davvero darci una mano». Come dire che rappresenterebbe, conferma ancora Bianchi, «un tassello tra l’approccio terapeutico puro e il reinserimento lavorativo e sociale».
Il progetto delle tre mamme propone, di fatto, una struttura chiusa; che evoca un po’ le comunità di recupero. «In effetti, si è ipotizzato, almeno inizialmente, di prospettare un centro chiuso, per togliere il ragazzo o il giovane adulto dalle sue abitudini, e poter poi lavorare a fondo con dei progetti di attivazione sia all’interno che all’esterno, valorizzando così le sue risorse – fa presente Bianchi, che ha potuto approfondire il dossier –. In questo modo sarebbe possibile avviare un percorso sia terapeutico che socio lavorativo, permettendo al giovane di avere un ruolo, capire quali sono le sue risorse e disinnescare, appunto, tutte quelle abitudini negative che hanno portato al consumo della sostanza, che sia un farmaco o illegale».
Agli occhi del responsabile dell’Ufficio servizi sociali cittadini, «la forza del progetto è il fatto di avere una continuità. Non si pensa solo ed esclusivamente alla disintossicazione, ma ad avere anche un percorso graduale di reinserimento all’interno della società. Un percorso chiuso, sulle prime, magari anche coatto, ma che, d’altro canto, cerca di creare in seguito una forma di collaborazione e fiducia con il ragazzo. Quindi poter avere al suo interno delle attività che possono pure essere molto semplici, come la gestione di un orto o una piccola biblioteca, ma che restituiscono un senso alla giornata di queste persone e permettono di vedere risultati concreti, costruendo altresì contatti significativi sul territorio. E questo credo possa essere valorizzante per il ragazzo».
Tutti aspetti, fa capire Bianchi, che adesso nel panorama dei servizi offerti si trovano a fatica. A maggior ragione nella realtà ticinese. «È un dato di fatto – chiarisce –. Ogni anno più giovani, minorenni o neo maggiorenni, vengono collocati all’esterno del cantone, che sia Oltregottardo o in Italia, in strutture specialistiche, perché in Ticino non ve ne sono. E d’altra parte, il nuovo Centro ad Arbedo-Castione sarà rivolto esclusivamente ai minorenni, e avrà dieci posti. Comunque un numero relativamente limitato. A questo punto mi chiedo: e tutti quei ragazzi che stanno attraversando l’età dell’adolescenza e che hanno dei comportamenti disfunzionali?
«Una risposta adeguata ai loro bisogni, secondo me, non è presente – ribadisce Bianchi –. Anche perché se la risposta è il ricovero nella Clinica psichiatrica cantonale, una struttura sovraccarica (sebbene di recente vi sia stato un ampliamento), occorre fare i conti con la difficoltà di far accettare questo tipo di inserimento al giovane: lo stigma resiste. Rischiando di partire con un grosso deficit di fiducia e di collaborazione, che non sempre è semplice recuperare».
In buona sostanza, a sua conoscenza, quali sono dunque le ragioni che hanno indotto il Cantone a dire di ‘no’? «Le motivazioni addotte sono essenzialmente un paio – ci risponde il responsabile –. Innanzitutto, si è richiamato il fatto che in questi anni si sono privilegiate le strutture ambulatoriali rispetto alle stazionarie. Di conseguenza questo nuovo centro andrebbe contro questa pianificazione. In secondo luogo, si è già proceduto, come detto, a un potenziamento delle strutture. A ciò si aggiunge l’apertura del Centro educativo chiuso per minorenni ad Arbedo Castione. Inoltre, si è ritenuto che le tre promotrici non abbiano delle competenze tecniche per gestire una struttura del genere, anche se, va precisato, non era nelle loro intenzioni. Quella lanciata era solo una proposta».
Si è ventilato altresì che non vi sia una massa critica sufficiente per giustificare una struttura del genere. «Nero su bianco non se ne fa cenno. D’altro canto, con l’aumento dei posti in psichiatria e il nuovo Centro di Arbedo-Castione il Cantone riconosce che il bisogno c’è». Non da ultimo vi è l’aspetto finanziario. «Certo l’impatto per l’autorità cantonale sarebbe ingente – ammette Bianchi –. Se paragoniamo la struttura ipotizzata con quella prevista ad Arbedo-Castione, dove i costi annui di gestione si aggirano sui 2 milioni e mezzo di franchi, le spese potrebbero essere simili. Considerata poi una copertura 24 ore su 24, 7 giorni su 7, realizzata da specialisti».
A proposito di strutture ambulatoriali e stazionarie, in Ticino in questi decenni l’approccio verso le problematiche della tossicodipendenza ha privilegiato l’aspetto ambulatoriale. Non si è mai arrivati a prendere in considerazione l’altra opzione, quindi pure un centro chiuso?
«Negli ultimi anni la linea è stata chiara: a livello medico si è più predisposti a potenziare l’ambulatoriale che lo stazionario – annota Bianchi –. Che è del resto una delle indicazioni che non hanno portato a prendere in considerazione la proposta avanzata dalle tre mamme. Certo, l’intenzione di potenziare maggiormente l’ambito ambulatoriale rispetto al residenziale ha di sicuro i suoi vantaggi; a livello di costi è innegabile. Resta il fatto – conclude il responsabile dei Servizi chiassesi – che entrambi gli aspetti sarebbero da potenziare. Avere nei primi tempi una struttura che permette al giovane di staccarsi dalle cattive abitudini in un ambiente sicuro sarebbe importante. Continuando poi ad accompagnarlo anche all’esterno».
Serve, insomma, una rete di protezione? «O diventa difficile. Certo la coperta non è infinita».