Il Collettivo R-esistiamo si mobilita a favore di un giovane algerino. ‘Deve potersi curare prima di lasciare il Paese’
Rachid (nome di fantasia) si muove aiutandosi con una stampella. Porta su di sé i segni delle violenze subite. Nello spazio di poco più di due mesi è stato malmenato per due volte: la prima alla stazione di Lugano, in gennaio, la seconda a fine marzo a Chiasso. Il Collettivo R-esistiamo non ha dubbi; sa di chi è la mano che lo ha “picchiato brutalmente”, provocandogli delle fratture multiple e facendolo finire all’ospedale e sotto i ferri già una prima volta. La colpa? È della polizia, scrive nero su bianco in un comunicato inviato ai media. In questo caso, come in altri, non si è voluto passare l’accaduto sotto silenzio. Anzi, contro le percosse subite, come abbiamo potuto accertare, si è già depositata una denuncia penale nei confronti della polizia.
Il Collettivo punta il dito anche contro la Sem, la Segreteria di Stato della migrazione e la sicurezza privata che opera dentro i Centri federali d’asilo. Tutti rei, a suo dire, di una “violenza sistemica”. Con il presidio di sabato, fuori dal cancello della struttura di via Motta, a Chiasso, si è voluto proprio protestare contro quanto si consuma all’interno dei centri. «Abbiamo testimonianze fondate», ci era stato detto sabato dai manifestanti. E altre voci, si conferma, sono state raccolte quel giorno sul posto. Parlano, si ribadisce, di episodi ripetuti di cui spesso non si trova traccia, neppure nei referti medici, e che avvengono anche “davanti a bambini e ragazzini”. E riportano altresì dell’uso di “farmaci sedativi prescritti senza consenso informato, quale altra forma di contenzione”.
Tra chi è stato maltrattato – pure “all’interno del Centro, davanti a sicurezza, operatori e famiglie con bambini”, lamenta ancora il Collettivo – c’è anche Rachid. Lui sa di non essere uno stinco di santo. E sa che la sua permanenza in Svizzera ha i giorni contati. Le autorità, infatti, hanno deciso che qui lui non può più stare. Giusto lunedì scorso, infatti, il giovane ha ricevuto una decisione di espulsione dalla Svizzera e l’interdizione di accedere al centro. Espulsione, ci fanno sapere, concretizzata dopo il presidio di sabato.
«Di fatto – precisa l’avvocato Immacolata Iglio Rezzonico, che da tempo mette il suo sapere professionale al servizio dei migranti in difficoltà – il giovane è stato messo per strada pur essendo un caso medico e trovandosi in condizioni di salute precarie e in attesa di un nuovo intervento chirurgico il prossimo maggio». Una situazione che ha convinto a presentare un ricorso contro la decisione di espulsione. In questo caso specifico non si contesta il provvedimento in sé, bensì, come precisa la legale, la modalità con cui si è proceduto: «C’è la legge, ma vi sono anche gli esseri umani». Il richiamo è alla proporzionalità con cui vanno applicate le norme quando vi sono di mezzo delle persone pur sottoposte a delle restrizioni. «Qui – rincara – vi è un abuso di autorità».
La richiesta veicolata dal ricorso? Permettere al giovane algerino di portare a termine il suo percorso terapeutico, dunque di curarsi e di vedere gli specialisti, e in seguito di operarsi. Un appuntamento, quello con il tavolo chirurgico, di cui sia il Centro federale d’asilo che la Sem, fa presente l’avvocato, sono al corrente. I presupposti per domandare di farlo restare, per contro, non ci sono. Perché proviene dall’Algeria, Paese con cui vigono determinati accordi, e perché, a quanto pare, ha delle pendenze con la giustizia.
‘Occorre rompere lo stato d’isolamento’
Resiste, si rilancia, il modus operandi a fronte di un caso medico. «Queste cose avvengono – ci spiega Immacolata Iglio Rezzonico forte della sua esperienza legale – perché queste persone vivono in uno stato di isolamento. Il sistema in vigore non permette loro di avere contatti con l’esterno». Da qui il presidio di sabato e la volontà, come scandito durante la manifestazione dal Collettivo R-esistiamo, di far sentire i richiedenti asilo meno soli; solidarizzare con loro; e mettersi in ascolto delle loro storie, “troppo spesso travisate dalle fonti istituzionali”. In questo modo gli attivisti si ripromettono di riuscire a “creare dei legami, rompere lo stato d’isolamento a cui sono costretti e costruire delle reti di aiuto”. A parlare per i manifestanti, fanno capire, sono le esperienze vissute con i migranti alloggiati, a suo tempo nel bunker di Camorino, a Cadro o Paradiso.
Oltre il cancello del Centro federale d’asilo, però, si respingono le accuse al mittente, come ci ha confermato la stessa direttrice delle strutture di Chiasso e Balerna, Micaela Crippa. La quale ci ha dichiarato di essere pronta a dialogare con gli attivisti, invitati a un incontro. Nella realtà, ci lasciano intendere i manifestanti, la Sem intende confrontarsi con un solo interlocutore, l’avvocato Iglio Rezzonico e non con il Collettivo. «In questo modo – commenta la legale – il dialogo parte già monco. A maggior ragione perché da un incontro con me ci si attende di conoscere nomi e cognomi delle persone che hanno portato la loro testimonianza sugli episodi di violenza e sapere quanto ci hanno riferito. A titolo personale, in qualità di avvocato, posso anche partecipare a un incontro con la Segreteria di Stato della migrazione, ma non posso fare nominativi o andare oltre, dando delle informazioni. Proprio perché giurista sono tenuta al segreto professionale», taglia corto.
Agli occhi del Collettivo a pesare, comunque, sono anche le parole che la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura ha affidato, il dicembre scorso, al suo Rapporto. Relazione che contiene le risultanze delle verifiche condotte nei Centri federali d’asilo tra il 2021 e il 2022 e indirizzata alla Sem. La Commissione passa alla lente il problema della violenza nelle strutture e attira l’attenzione anche sulla formazione del personale di sicurezza privato e confida nell’introduzione in ogni regione d’asilo della funzione di una/uno specialista della sicurezza. Tant’è che, come si legge nel documento, “la Commissione raccomanda alla Sem e ai fornitori di servizio responsabili della sicurezza di fornire, in un primo momento al personale dirigente e in seguito anche al personale di sicurezza, una formazione approfondita sul tema della violenza e della sua prevenzione negli alloggi collettivi”. Esortando “un’auto-riflessione su come il proprio comportamento possa contribuire a far degenerare i conflitti in violenza o a prevenirla”.
E d’altra parte, si richiama, “i richiedenti asilo che accusano il personale di aver fatto un uso sproporzionato o inammissibile di violenza nei loro confronti devono essere informati in merito ai loro diritti e sostenuti dalla Sem, dai fornitori di servizi di assistenza e di sicurezza e dalla rappresentanza legale”.
C’è una via, comunque, sulla quale migranti e popolazione locale hanno la possibilità di incrociare le rispettive esistenze, quella dei lavori di pubblica utilità. Non sono molti, però, i Comuni che in questi anni si sono incamminati lungo questa strada, come fatto emergere di recente da una interpellanza del Gruppo Sinistra e Verdi di Castel San Pietro. Tra questi figura proprio Castello che, come evidenziato dal Municipio rispondendo alle sollecitazioni dei consiglieri comunali Donatella Lavezzo, Meryem Kirskanc, Mauro Collovà, Joschka Tomini e Sigfried Reithaar, è stato portato a modello di cooperazione fra il Centro federale d’asilo e le istituzioni comunali, anche per “stimolare gli altri”. In effetti, è dal 2017 che l’autorità locale promuove l’organizzazione di lavori di pubblica utilità che coinvolgono i richiedenti asilo e con risultati definiti “molto positivi”. Tant’è che il Municipio intende continuare a promuovere questa opportunità con “costanza e regolarità”, impiegando gli ospiti delle strutture in “molteplici attività”. Lavori, si rimarca, che vengono “svolti senza particolari problemi e sempre a nostra piena soddisfazione”. Qual è la motivazione che ha fatto da motore in questi anni? In realtà, risponde l’esecutivo, i fattori sono due. Innanzitutto, vi è stata la volontà di “contribuire a una prima minima integrazione e conoscenza del territorio che li ospita, dando uno scopo alla giornata dei richiedenti che sono gratificati dal rendersi utili”. Un altro stimolo, poi, è stato quello di poter “aiutare il Comune di Chiasso nella gestione dell’ordine pubblico, evitando il girovagare quotidiano di queste persone nelle piazze della città”.
I richiedenti stessi, assicura il Municipio, sono “molto contenti di poter passare il loro tempo in modo costruttivo”.