Dalla pandemia all'accoglienza dei profughi ucraini. Il comandante Marco Quattropani racconta l'attività della Protezione Civile del Mendrisiotto
«Gli ultimi tre anni? Intensi». Basta una parola a Marco Quattropani, comandante della Protezione civile (PCi) del Mendrisiotto dal dicembre 2017, per descrivere l’attività che, dal marzo 2020 a oggi, ha impegnato i circa 700 militi incorporati nella Regione 6. Un’attività quasi completamente caratterizzata dall’emergenza sanitaria e dall’arrivo dei profughi scappati dalla guerra in Ucraina. A livello operativo, i due interventi possono essere considerati conclusi. «In questi primi tre mesi dell’anno siamo tornati a quello che era il 2019, e quindi siamo rientrati nella normale attività – aggiunge il comandante –. Sicuramente il 2020, 2021 e 2022 saranno da ricordare negli annali per l’ampio ventaglio dell’attività svolta, l’aver dimostrato che la PCi c’è e cosa può mettere in campo, nonostante si sia trattato di dinamiche nuove». Comandante e delegazione consortile, presieduta da Alberto Valli, ci hanno aperto le porte della sede, che dal giugno 2016 si trova al primo piano del Centro di Pronto intervento di Mendrisio. Negli spazi acquistati dal Consorzio – 450 metri quadri di uffici e 850 metri quadri nei garage-magazzini – lavora la direzione operativa e tecnica dell’organizzazione, composta da 9 persone.
Riassumere quanto effettuato negli ultimi tre anni non è facile. I ricordi (soprattutto quelli legati alla sfera personale) si mischiano alla soddisfazione di aver lavorato per il benessere della popolazione, effettuando circa cinquemila giorni di servizio (di cui 2000 nel 2020) per fronteggiare l’emergenza sanitaria. «Era la settimana di vacanza di Carnevale, il 25 febbraio, e stavo grattando i muri di casa perché volevo tinteggiare. I muri sono ancora così – ricorda Marco Quattropani –. Mi hanno chiamato dicendo che dovevamo andare a Rivera per una riunione con il Medico cantonale e da lì è partito tutto». Un ventaglio di attività che racchiude trasporti, hotline, il servizio taxi-tampone per i medici, i check point davanti agli ospedali e, nel 2021, i centri vaccinali. «Un’esperienza intensa ma allo stesso tempo interessante che ci ha messo di fronte a dinamiche nuove: le prime richieste ricevute nel 2020 sono state quelle di allestire le ‘famose’ tendine all’esterno degli ospedali per poi passare ai trasporti di materiale sanitario, per conto del Farmacista cantonale, verso diverse farmacie del cantone e allo stesso tempo di trasportare il materiale dall’Obv di Mendrisio alla carità di Locarno, per allestire le sale di cure intense supplementari». Nel 2021 la prima richiesta arrivata «era di aprire un maxi centro vaccinale a Mendrisio, e quindi di trovare il posto e organizzarlo». Quello degli ultimi tre anni può essere definito come un lavoro di squadra. «Esatto: il comandante da solo non fa nulla. Per fortuna c’è uno staff professionista e ci sono i militi: tutti erano super motivati e pronti a lavorare, e senza guardare l’orologio o il giorno della settimana, su un’emergenza reale per la popolazione. Nel brutto della situazione, questo è stato di bello e importante, qualcosa che si porterà avanti e che servirà anche a motivare i militi del futuro».
Chiediamo ai nostri interlocutori di scegliere un ricordo legato al lavoro effettuato a stretto contatto con la popolazione. Dopo averci pensato qualche istante, Marco Quattropani ci racconta che «Durante la prima vaccinazione ho ricevuto la chiamata di una signora: era disperata perché aveva preso l’appuntamento per il papà malato ma aveva involontariamente cancellato l’sms di conferma che aveva ricevuto. Non ho fatto chissà che: le ho spiegato che poteva raggiungerci comunque anche senza appuntamento e avremmo vaccinato il papà. È arrivata con delle scatole di cioccolatini per tutti. Ci ha fatto piacere, come è stato bello sentire le persone dire che stavamo facendo qualcosa di utile per tutti». Un altro aneddoto è legato alle mascherine. «Un oggetto unico – ricorda Alberto Valli –. Il Mendrisiotto si è dimostrato all’altezza della situazione: da buoni momò che non buttano mai via nulla, ne avevamo 90mila, che abbiamo conservato dopo il pericolo di arrivo della Pandemia nel 2009 in cui avevamo allestito dei pandicentri nella regione, per fortuna mai utilizzati, e le abbiamo fornite a medico e farmacista cantonale». La fortuna, sottolinea il comandante, «è stata avere buone scorte: sapevamo che erano scadute ma le abbiamo tenute lo stesso. A volte sembra di essere accumulatori seriali, ma sono state una manna dal cielo».
All’emergenza sanitaria si è aggiunta quella legata ai profughi ucraini accolti in Ticino. «Ci siamo concentrati nella ricerca di un posto dove poter accogliere queste persone perché il numero era importante». A livello cantonale è quindi stato creato il Paf a Bellinzona che poi assegnava le persone sul territorio. Marco Quattropani ha così chiamato Sonia Colombo-Regazzoni, vicepresidente della delegazione e municipale di Chiasso. «Le ho detto che La Perfetta di Arzo sarebbe stata... perfetta e quando è arrivato il via libera dall’autorità politica abbiamo organizzato il centro vero e proprio. Lo abbiamo gestito per tre mesi, sette giorni su sette, con una decina di militi presenti tutti i giorni». Durante le giornate «organizzavamo attività ludiche, piuttosto che gite culturali, per cercare d’integrare queste persone fino a quando non si sono viste assegnare un appartamento». Quando la Perfetta è stata chiusa «abbiamo continuato a raccogliere materiale, poi portato nei vari centri del Cantone, rispettivamente ad associazioni che spedivano materiale in Ucraina o davano materiale agli ucraini che vivono sul territorio». In merito alla situazione legata alla migrazione, invece, «per il momento come Protezione civile non siamo coinvolti, se non con la struttura di Stabio, affittata dall’agosto 2019 al Cantone, come centro di riammissione temporaneo in sostituzione di Rancate». Se il flusso migratorio dovesse aumentare in modo repentino, la PCi è pronta a implementare il dispositivo con l’apertura di altre strutture.
Archiviate le due emergenze, di cosa si sta occupando ora la Protezione civile del Mendrisiotto? «Sono ripresi i corsi di ripetizione, con un nuovo sistema di picchetto cantonale: quando c’è il corso di ripetizione la compagnia di picchetto, a rotazione, garantisce il picchetto». È soprattutto ripresa l’attività sul territorio e per questo «non possiamo che ringraziare comuni e patriziati che ci commissionano lavori: per noi è importante avere questi incarichi che ci permettono di istruire e mantenere i militi aggiornati». Un occhio rimane vigile anche sulla siccità. «Come facciamo ogni anno, anche nel 2022 abbiamo messo a disposizione delle moto-pompa e delle condotte agli agricoltori – continua il comandante –. È vero che se dovesse andare avanti cosi… L’unico metodo che abbiamo è il risparmio». In attesa del pozzo di captazione a lago, «il Cantone sta valutando l’acquisto di due depuratori mobili. L’acqua potrà essere pescata da fonti a cielo aperto, per esempio il Laveggio e depurata con una capienza di 10-12mila litri all’ora. Questi apparecchi vanno bene per misure puntuali, come per un acquedotto messo fuori uso da un temporale, ma in una situazione di Mendrisiotto o Sottoceneri senz’acqua non sono abbastanza».
La PCi si sta organizzando per il futuro e in particolare per i principali cambiamenti che arriveranno nel 2026. Nel 2021 il Canton Ticino è riuscito ad adottare l’articolo 14a, che proroga l’obbligo di servizio fino ai 40 anni. La nuova legge prevede il proscioglimento dopo 245 giorni di servizio. «Arriveremo a perdere circa il 35-40% dell’effettivo – spiega ancora il comandante –. Questo è il problema più grosso con cui dovremo confrontarci nei prossimi anni. Nella revisione della legge federale attualmente in corso ci sono alcune idee. Tra queste far svolgere obbligatoriamente a chi fa il servizio civile i primi 80 giorni nella protezione civile, e far svolgere il servizio PCi obbligatorio a chi non ha svolto il servizio militare obbligatorio entro la fine del 25esimo anno di età». In attesa di sviluppi, nel corso dell’anno verrà lanciata una «campagna di sensibilizzazione per cercare d’incorporare volontari». Queste persone, donne e uomini tra i 20 e i 65 anni, «possono essere incorporati come personale volontario, seguono la formazione come un milite, svolgono lo stesso servizio e hanno gli stessi diritti e doveri di un milite di PCi». A supportare il lavoro ci sono già «diversi volontari», soprattutto militi che, raggiunti i 40 anni, hanno voluto continuare il servizio.
La collaborazione con gli altri enti di pronto intervento, così come con le altre Regioni di PCi, «è molto buona». Lo si è per esempio visto nell’agosto 2019 in occasione delle due notti di blackout programmato a Chiasso, dove la Protezione civile ha collaborato con lo Stato Maggiore nella condotta del posto di comando. Mentre a livello tecnico-operativo «l’esempio più lampante è il veicolo congiunto che abbiamo allestito con il Servizio autoambulanza del Mendrisiotto come posto sanitario mobile – conclude Marco Quattropani –. È un servizio che abbiamo sempre sognato e che, grazie anche al supporto politico, è finalmente operativo al 100%».
Con i membri della delegazione consortile guardiamo invece a quello che rimane ‘dietro le quinte’ del lavoro. Ad esempio i costi. Quanto costa la Protezione civile? «Come stabilito dalla Legge federale e dalla Legge cantonale, la PCi vive con dei contributi federali e con un pro capite comunale e dispone dei contributi sostitutivi in giacenza al Consorzio – spiega Manuel Aostalli, capodicastero Finanze –. A livello di Mendrisiotto abbiamo un budget annuo di circa 1,2 milioni di franchi e calcoliamo con un piano finanziario a cinque-sette anni quel tipo di importo dai Comuni consorziati». La formula è quella del numero di abitanti dei Comuni consorziati (erano 55mila a fine 2021). «Siamo a circa 22 franchi per cittadino – continua Aostalli –. Ogni anno i Comuni devono inserire a preventivo quello che sarà il contributo da versare. A consuntivo toccherà a noi valutare se la pianificazione che è stata fatta era pertinente o se occorre adeguare la somma». A sostenere l’attività c’è anche la Confederazione. «Senza la Confederazione che contribuisce su determinate tipologie di spese, non potremmo andare avanti da soli – ammette Aostalli –. L’elenco di attività che vengono finanziate interamente o quasi, è lungo e include soprattutto le strutture di protezione». La PCi del Mendrisiotto ha deciso di «avere un cosiddetto capitale proprio definito nel nostro statuto. Una somma che è in linea con quello che dovrebbe essere la necessità di un anno di attività e che cerchiamo sempre di mantenere per non dovere intervenire sui contributi da parte dei Comuni».
Riguardo alle strutture di protezione, la capodicastero Logistica Sonia Colombo-Regazzoni spiega che «negli ultimi anni alcune sono state sottoposte a lavori di ristrutturazione e ammodernamento». Quest’anno sarà dedicato ai lavori a Mendrisio Canavée: il credito di 1,8 milioni è stato approvato dal consiglio consortile a inizio marzo. Prima di questi lavori ci sono stati quelli «a Stabio (dove sono stati investiti 400mila franchi), Morbio Inferiore (1,2 milioni) e al posto di comando della palestra di Chiasso. Dopo Canavée, toccherà a Genestrerio essere sistemato». Questi interventi, come anticipato, «sono quasi interamente finanziato dalla Confederazione e in parte utilizzando i contributi sostitutivi». Nel recente passato la PCi si è dotata anche di un nuovo Regolamento organico dei dipendenti (Rod). «Un lavoro intenso e importante che ha portato a un adeguamento del documento ai tempi che cambiano – commenta Katia Cereghetti Soldini, capodicastero Amministrazione e personale –. Oggi abbiamo un Regolamento all’avanguardia, in linea con le altre protezioni civili, anche per evitare, così come succede in altri settori, ‘fughe’ da un servizio all’altro». Il capodicastero Condotta, istruzione e gestione militi Daniele Kleimann sottolinea invece che «tutti gli eventi che hanno sovraccaricato la Protezione civile negli ultimi anni hanno portato una consapevolezza. Quando ci si esercita non si vede mai fino a dove si arriva, ma finalmente abbiamo potuto dimostrare cosa la PCi fa, e che gli esercizi e corsi di ripetizione non vanno a finire in niente ma portano a operare sempre in favore della popolazione, e con buoni risultati».