Il Centro diurno di Vacallo è tornato quasi a pieno regime dopo la pandemia. Un po’ di paura è però rimasta. Ne abbiamo parlato col coordinatore
«La ripresa è stata lenta, difficile. Gli anziani avevano paura a uscire di casa». Sono passati quasi tre anni dalle chiusure causate dalla pandemia di Covid-19. Dopo varie ondate, la situazione sembra essersi appianata, ma qualcosa è rimasto. Lo testimoniano le parole di Moreno Beretta, coordinatore del Centro sociale diurno di Vacallo, luogo d’incontro per molti anziani della zona. «Il bollettino giornaliero di morti, ospedalizzati, contagiati. Sono cose che restano dentro. Un po’ di timore c’è ancora. Chi ne ha di più e chi ne ha di meno». Quando il 13 marzo 2020 la Confederazione aveva indetto l’interruzione di molte attività, il Centro diurno era già stato chiuso. I collaboratori avevano fatto però di tutto per mantenere i contatti con le persone che lo frequentavano. «Grazie a vari volontari, abbiamo cercato di essere presenti facendo delle telefonate, andando a salutare le persone sotto casa, portando qualche esercizio a chi, per esempio, frequentava i corsi sulla memoria». Una presenza fondamentale per non far sentire troppo solo chi era maggiormente vulnerabile in quel periodo: «Siamo esseri sociali, non siamo fatti per vivere in solitudine, i contatti sono fondamentali».
Quando è stato possibile riaprire, però, non tutti si sono presentati: «Per molto tempo è stato ripetuto agli anziani di rimanere a casa, dunque è stato difficile farli uscire di nuovo», ci racconta Beretta. «Alcuni per un po’ di tempo non sono venuti proprio perché avevano interiorizzato questa paura. Anche se in maniera ridimensionata, abbiamo da subito riproposto tutte le attività, fatta eccezione per il canto». I partecipanti erano dunque meno, anche per rispettare le distanze fisiche volte a diminuire il rischio di contagio. «A pranzo sembravano le tavole reali! – rammenta il coordinatore –. Queste misure erano ovviamente necessarie, ma hanno creato inquietudine. Con la riapertura vedevamo un po’ di diffidenza, ma pian pianino la gente è tornata». E ora la situazione qual è? «Non dico che siamo tornati a pieno regime, ma quasi. Notiamo ancora timore principalmente negli incontri più grandi. Un segno questa pandemia l’ha lasciato. Ancora adesso, se qualcuno fa uno starnuto tutti si guardano attorno per capire da dove arriva».
‘Ci siamo accorti che la gente è rimasta sola’
Se la distanza fisica tra le persone ha protetto, in parte, dal contagio, non lo ha fatto per quanto riguarda l’aspetto cognitivo. «Ci siamo resi conto che chi aveva già dei disturbi di questo genere era un po’ regredito», indica Beretta. Anche a livello morale il colpo è stato forte: «Ci siamo accorti che la gente è rimasta sola. Abbiamo notato una sofferenza, una rassegnazione anche. Erano più tristi». Tornare però è stato d’aiuto: «Col tempo, stando con altre persone, hanno recuperato un po’ e la paura verso il Covid è diminuita».
Il contatto, come spiegato, è stato mantenuto. Quando il centro ha riaperto, distanziamento e mascherine hanno comunque alterato il contatto umano. Una sofferenza vissuta anche dagli operatori e dai volontari: «È stato un momento difficile – ammette il coordinatore –. Ci si parlava indossando le mascherine e questo non permetteva di vedere bene le espressioni, i sorrisi. Si doveva stare distanti quando invece c’era bisogno di un abbraccio. Questo in un contesto in cui la necessità di vicinanza è grande». Nonostante le difficoltà, Beretta ci tiene a ricordare che quel periodo particolarmente duro è stato superato: «Adesso si va avanti, senza dimenticare, ma si continua».
‘Della morte bisogna parlare’
Dimenticare, infatti, non è possibile, anche perché una delle pagine più amare della pandemia è stata quella dei decessi. «Le perdite maggiori le abbiamo avute nella seconda fase, tra l’estate e l’autunno. In alcuni casi si trattava di persone che stavano tutto sommato bene», riporta Beretta. «La morte è comunque una realtà dei centri come il nostro e delle case anziani. Credo che sia un tema del quale bisogna parlare di più». Per il coordinatore, in Ticino è un argomento ancora molto tabù, ma sarebbe utile affrontarlo: «Personalmente consiglio sempre ai nostri utenti di lasciare almeno un testamento biologico. Questo permette a chi resta di seguire le volontà anche riguardo a questo aspetto. A livello psicologico è più semplice seguire le scelte della persona cara, rispetto al dover decidere cosa fare in un momento di grande sofferenza».
Il Centro diurno di Vacallo esiste dal 19 aprile 1994, racconta Beretta. Un servizio che negli anni è cambiato, o meglio, si è evoluto. Inizialmente, ci spiega il coordinatore, si trattava di un centro puramente ricreativo. Negli anni è stata ampliata sia l’offerta di attività, sia il sostegno. «Ci siamo resi conto che servivano anche figure con una formazione sanitaria». Persone che permettono dunque anche a chi ha difficoltà motorie o altri deficit di frequentare il centro. Quest’ultimo ha davvero offerte per tutti i gusti: si passa dai corsi di lingua, alla ginnastica, alle conferenze, alle camminate, alle visite di mostre… Ma l’obiettivo resta quello di uno spazio dove le persone si sentano a casa e dove possano decidere di passare il proprio tempo come più li aggrada, anche solo scambiando quattro chiacchiere al bar o facendo pranzo in compagnia. «Noi facciamo delle proposte, ma se poi preferiscono fare altro si cambiano piani. Ci mancherebbe che alla loro età gli si debba dire ancora cosa fare!», fa notare scherzosamente Beretta.
Attualmente i collaboratori che si occupano dell’animazione sono quattro, altrettanti sono impegnati in cucina, mentre poi ci sono tra i 30 e i 40 volontari che si occupano regolarmente dei trasporti, dei corsi e che danno supporto per uscite e attività. «Molto di ciò che proponiamo si autofinanzia e quando invece viene richiesto un contributo, questo è sempre a prezzi bassi. Ciò per permettere a tutti di partecipare», indica Beretta. Il centro è regionale e gode dei sussidi di Cantone e Comune. Ha una funzione socio-assistenziale, nonché intergenerazionale: «Alla buvette spesso arrivano nonni accompagnati dai nipotini e, in occasione delle gite, partecipano magari persone di varie età, dal quarantenne all’ottantenne». In settimana il centro è aperto dalle 9 alle 17.30 e il sabato dalle 10 alle 14. Le persone che frequentano regolarmente il centro in modalità socio-assistenziale, generalmente dalla mattina alla sera, sono una cinquantina, con una media di 25-30 al giorno. Queste hanno solitamente più di 75 anni, indica il coordinatore. Per quanto riguarda coloro che frequentano le attività proposte «lo scorso anno sono passate più o meno 10mila persone». È un progetto che riscuote molto successo: «Le persone che vengono sono contente, ci ringraziano. Dicono che finalmente hanno trovato il posto giusto dove andare. Questo vuol dire che stiamo procedendo nella direzione giusta».
La solitudine, si sa, durante la terza e quarta età è un tema particolarmente presente. Riguardo a questo Beretta ha un’opinione chiara: «In Ticino le possibilità per stare in compagnia ci sono. Non bisogna avere timore di chiedere». Questo, spiega il coordinatore, grazie alla vasta offerta presente sul territorio di centri, che siano comunali, di associazioni come Atte o Pro Senectute, o delle parrocchie per esempio. «Se non si può raggiungere il luogo autonomamente, basta farlo sapere e si organizza anche il trasporto».