Il procuratore pubblico Roberto Ruggeri ha presentato le richieste: per la 23enne ha chiesto due anni e 10 mesi parzialmente sospesi e l’espulsione
Sette anni di detenzione per lui. Due anni e 10 mesi (di cui 14 da espiare) e l’espulsione dalla Svizzera per lei (che proprio alla richiesta, è scoppiata a piangere). Sono queste le richieste di pena presentate dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri per la coppia di imputati a processo da stamattina davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio per rispondere di rapina aggravata. I due sono gli autori rei confessi del colpo messo a segno il 22 ottobre 2021 al distributore di San Pietro di Stabio. Singolarmente devono inoltre rispondere di altri reati (come una rapina avvenuta il 14 ottobre scorso a un distributore di Novazzano).
Il rappresentante dell’accusa non ha avuto dubbi. «La rapina del 22 ottobre è stata organizzata minuziosamente dal 35enne – ha spiegato –. Eufemisticamente parlando, per lui è stato l’ennesimo inciampo. Lo ha fatto talmente tante volte che ne ha fatto uno stile di vita: ci si domanda se non preferisca passare il tempo in carcere piuttosto che in libertà». Oggi in aula, ha aggiunto il pp, arriva da «innamorato, partner e correo. Nonostante una storia d’amore alle battute iniziali, non ha fatto nulla per proteggere la sua amata e la sua storia: un principe azzurro atipico che avrebbe salvato la sua amata con un lauto bottino». Ruggeri si è poi concentrato sulla figura della 23enne, «finita in carcere per fatti estremamente gravi che potrebbero segnare una svolta importante e di difficile gestione per la sua vita, lontana dalla mamma e dal fratello». Per lei, in Svizzera da una decina d’anni e titolare di un permesso B, l’accusa ha proposto 8 anni di espulsione senza iscrizione al registro Schengen. Passando alla coppia, per Ruggeri «per età e intensità criminale, il domus era lui. La 23enne non è però solo la giovane innamorata, sprovveduta e ingenua: si è mostrata fredda, ha interpretato e portato avanti il ruolo della finta cliente. Oggi dice che non ricorda di aver puntato il taser: se guardiamo le immagini, si vede chiaramente che il cliente presente al momento dei fatti, che si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato, era sotto tiro».
L’inchiesta avviata dopo la rapina «non è stata semplice». L’identificazione del 35enne è arrivata dopo una «minuziosa e dettagliata operazione di polizia: la coppia ha preso una serie di accorgimenti che non sono riusciti a intralciare l’operazione. I primi sospetti sono nati grazie alla videosorveglianza che ha evidenziato un piccolo lembo di pelle scoperto tra il passamontagna e la giacca da dove emergeva un pezzo del tatuaggio che l’imputato ha sulla schiena». Il 35enne «si assume quasi integralmente tutte le colpe perché l’espulsione della ragazza è l’ultima cosa di cui vorrebbe ritenersi responsabile».
Il 35enne ha dichiarato di avere lasciato le armi a Lavena Ponte Tresa. Analisi tecnico-scientifiche hanno stabilito un collegamento con i fatti avvenuti a Monteggio nel dicembre 2021. «Il 35enne è vicino a persone con precedenti penali all’estero – ha spiegato Ruggeri –. In dicembre sono state fermate più persone e sequestrate varie armi, tra cui un taser, che sono state comparate con tracce e profili dell’imputato». I risultati «mi fanno ritenere che quelle sequestrate a dicembre fossero le stesse armi usate a San Pietro due mesi prima, e si tratta di una pistola vera, potenzialmente funzionante e mortale». Anche il taser, «dalle immagini appare essere estremamente simile se non lo stesso».
Nel pomeriggio la parola passerà agli avvocati difensori Samuel Maffi ed Elisa Lurati.