Due docenti dell’istituto di Mendrisio hanno indagato il benessere dei loro allievi e l’empatia dimostrata dai colleghi
Aristotele la sapeva lunga sul tendere al bene. Anche gli "apprendisti cittadini" del Centro professionale tecnico (Cpt) di Mendrisio, però, lo hanno già intuito. Hanno compreso da soli che per vivere bene è più importante avere degli amici che i soldi. L’importante è "averne quanto basta" (di soldi), per dirla con uno di loro, Una volta di più questi ragazzi tra i 15 e i 20 anni, divisi tra i banchi di scuola e il luogo di lavoro, hanno spiazzato i loro docenti-ricercatori, mostrando il lato migliore. Sheila Pongan Arrigo e Roberto Caruso ne hanno interpellati 486 - ovvero il 65 per cento del totale degli allievi dell’istituto - nel corso di due anni di lavoro per misurare il loro grado di benessere dentro e fuori le mura scolastiche; e le loro risposte sono state più che incoraggianti. Anche nel rivelare un rapporto positivo con il loro corpo docente e la stessa istituzione. Non a caso i due insegnanti, da anni a stretto contatto con i giovani, ci hanno preso gusto a indagare la realtà adolescenziale, forti di una precedente esperienza arricchente sul tema dell’abbigliamento nel contesto scolastico. Del resto, come ci confida Caruso, «i ragazzi sono la parte migliore della Scuola».
Il Quaderno di ricerca, parte del progetto di sede, è corposo (e non solo per il centinaio abbondante di pagine). Il documento, ispirato al tema ‘Benessere e empatia a scuola’ e introdotto dalla prefazione di Vincenza Guarnaccia, di Radix Svizzera italiana, è pregno di significati. Pubblicata sul portale del Centro il 3 ottobre scorso, la ricerca non solo è stata presentata in anteprima alla Conferenza promossa da Rete scuole 21 Ticino, il maggio scorso, ma ha corroborato altresì un corso mirato ad accendere i riflettori sul ruolo chiave dei docenti nel cogliere i segnali di mal-essere dei propri alunni, dando modo di intervenire per tempo in situazioni di fragilità. A tal punto che pure altri istituti si stanno interessando a questo percorso.
D’altro canto, nel loro essere un po’ detective Sheila Pongan Arrigo e Roberto Caruso non hanno trascurato di ascoltare un mondo, quello delle ‘soresse’ e dei ‘sore’, che ha molto da raccontare, andando a intervistare una trentina di colleghi (una decina di donne e una ventina di uomini tra i 30 e i 64 anni). Nel viaggio analitico intrapreso dei due docenti si è, di fatto, tessuta una rete utile a raggiungere il traguardo inseguito. Tirate le somme dei sondaggi, è emerso, in effetti, "un buon grado di benessere degli studenti nei diversi contesti indagati e, in particolare, un’ottima relazione fra questi e i loro insegnanti, nonché una sensibile predisposizione da parte del corpo insegnante a mediare a favore delle difficoltà ‘oltre materia’ dei propri alunni". Di fatto, si è dimostrato "che si può insegnare con empatia". Nel bagaglio di un docente ci sono, di sicuro, tre ‘saperi’ – didattico, culturale, umanistico –, ma oggi sono un punto di partenza. I due autori della ricerca lo dicono a chiare lettere nel tirare le fila del loro studio. "Cruciale, ed è questo il punto – si legge nel dossier –, oggi più che mai avremmo bisogno di maestri e di scuola, che sappiano mettere al centro della loro attività, più che lo sviluppo di un cittadino operoso, duttile, integrato, lo sviluppo della persona attraverso la gratuità del pensiero, il piacere della scoperta cognitiva, il desiderio di conoscere per capire, prima ancora di quello di conoscere per agire".
A scuola ‘felici e sereni’
Scattare una fotografia, tra ben-essere e mal-essere a scuola: si è partiti da lì. Come hanno reagito i ragazzi? Non sottraendosi dal rispondere alla trentina di domande allineate nel sondaggio e dall’affidare ai due docenti "opinioni libere e spontanee". Una cosa è certa, questi apprendisti impegnati nella loro formazione nei settori dell’elettricità e dell’edilizia hanno dimostrato di stare bene tanto a scuola – verso la quale sentono un particolare senso di appartenenza – che sul posto di lavoro, quasi più che in famiglia. Anche se "non tutti gli insegnanti sono perfetti" – per dirla rubando un pensiero a un giovane tra i quasi 500 interrogati –, quando escono di casa per andare a scuola il 72 per cento degli alunni dell’istituto "si sente felice e sereno". Vista al contrario, unicamente il 22 per cento si dice "triste o preoccupato". Guardati da vicino, i ragazzi testimoniano nel 95 per cento dei casi di avere, infatti, un buon rapporto con gli insegnanti; nei quali si trova disponibilità, appoggio e comprensione, capaci come sono di creare "un buon clima in classe". A tal punto da sentirsi valorizzati: così dichiara il 76 per cento degli allievi. Certo sussiste una porzione di studenti – dal 10 al 25 per cento – che manifesta insoddisfazione: un dato, sottolineano gli autori, da non trascurare, "evidenziando il margine su cui si dovrà lavorare per un miglioramento".
I brutti voti e lo stress
Gli "apprendisti cittadini" non si sentono, comunque, stressati in generale, se non qualche volta (nel 64 per cento dei casi), ma non parlate loro dei brutti voti, lì il 73 per cento li vive come una sconfitta personale. Anche se, diversamente, nella larga maggioranza dei ragazzi non pesa il confronto con i compagni più bravi. Andare a scuola, del resto, è un impegno: il 55 per cento considera "eccessivo" il carico di lavoro in classe. Tant’è che sono semmai le verifiche a creare molta ansia (nel 60 per cento).
Ecco che un antidoto prezioso è la solidarietà tra compagni di scuola. In aula si va volentieri perché lì si trovano degli amici, che collaborano, si aiutano e si apprezzano vicendevolmente. A pensarla così sono tra l’80 e il 90 per cento dei ragazzi (risultato che si replica sul luogo di lavoro). Una intesa che allontana anche lo spettro del bullismo. Davanti all’affermazione "alcuni dei miei compagni di classe mi prendono in giro in modo fastidioso", il 90 per cento degli apprendisti non è per nulla d’accordo o poco d’accordo; il 3 per cento, per contro si dice "molto d’accordo": da annotare.
Dal sondaggio affiora altresì che gli alunni si trovano a loro agio anche in famiglia, dove non ricevono pressioni per avere voti alti (almeno nella maggior parte dei casi). Capita, semmai, sui luoghi di lavoro, come testimoniato da qualche studente nei commenti liberi.
Come in tutte le scuole professionali (e ora anche nei licei) la figura del mediatore è, dunque, una realtà (da tempo) strategica. L’esperienza sul campo ha mostrato, però, come questo ruolo sia ormai parte della ‘missione’ di un maestro. "Nel corso degli ultimi anni – come si rileva nella ricerca –, per quanto riguarda il nostro istituto scolastico, si riscontra la graduale crescita di casi di mediazione gestiti direttamente dal docente con l’eventuale supporto del docente mediatore". In effetti, i dati raccolti, si ribadisce, mettono in evidenza l’importanza di questa funzione.
Dalla statistica, ciascun insegnante di sede ha confermato di aver gestito più di quattro casi durante l’anno. E ciò "porta a una proiezione complessiva superiore ai 200 interventi annui". Mentre il servizio si è ritrovato a fronteggiare 95 casi nell’anno scolastico 2020-2021. In entrambe le situazioni si è fatto leva su ascolto e dialogo. Quanto ai problemi riscontrati? La casistica restituisce nel 60 per cento dei casi problemi sul lavoro, nel 40 circa questioni legate al comportamento. Seguono il rendimento scolastico e le difficoltà tra allievi e docenti. Ecco che la ricerca porta alla ribalta, di conseguenza, l’esigenza di valorizzare il lavoro del corpo insegnante (e la loro attitudine alla mediazione), rendendo così più efficace la rete di sostegno. La strada è segnata.