La Corte delle Assise correzionali di Mendrisio ha stabilito tre condanne sospese per il terzetto fermato a fine marzo tra Rancate e Besazio
Sono stati «parti attive, anche se probabilmente non gli ideatori e organizzatori» del traffico di 100,5 chili netti di hashish intercettato lo scorso 31 maggio a Rancate dalla Polizia cantonale e dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini. È questa la conclusione a cui è arrivata la Corte delle Assise correzionali di Mendrisio chiamata oggi a giudicare i protagonisti del trasporto. Davanti al giudice Marco Villa, che li ha riconosciuti colpevoli di infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti, sono comparsi tre uomini: un 23enne marocchino residente in Francia (condannato a 19 mesi di detenzione e a una pena pecuniaria di 45 aliquote da 10 franchi per impedimento di atti dell’autorità), un 34enne algerino residente in Spagna (19 mesi sospesi) e un 24enne cittadino francese (18 mesi e una multa di 100 franchi per contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti). Le condanne sono state sospese per un periodo di prova di due anni. I tre imputati, incensurati, verranno quindi scarcerati. «La prognosi non può ancora essere negativa per quanto concerne il nostro Paese», ha spiegato il giudice.
Il trasporto dell’hashish si è svolto tra il 30 e il 31 marzo di quest’anno. Il primo a raggiungere il territorio svizzero è stato il 34enne algerino, arrivato a Ginevra dalla Spagna. Dopo aver noleggiato una vettura nel Canton Vaud, ha raggiunto Milano dove, il giorno seguente, si è incontrato con gli altri due imputati in un ritrovo pubblico. Dopo aver bevuto un caffè, sono ripartiti verso la Svizzera a bordo di due auto: il 23enne alla guida dell’auto noleggiata, gli altri due imputati sull’auto con targhe francesi di proprietà del marocchino. La destinazione, stando a quanto indicato nell’atto d’accusa, era un non meglio precisato luogo di Losanna. È stato in quel momento che il 34enne si è accorto che nel baule dell’auto c’era la droga– «ho visto e toccato i sacchetti, non volevo trasportarli» –, ma ha continuato nell’operazione perché «minacciato» da una «macchina bianca che ci seguiva». Il 23enne ha dichiarato di «non sapere cosa stavamo trasportando: quando mi hanno dato le chiavi e detto di non toccare nulla, ho avuto il presentimento che potesse esserci qualcosa di illegale». Il cittadino francese si è invece «chiamato fuori» anche se «non posso negare che il mio telefono – sul quale era stato inserito l’itinerario fino alla dogana di Ponte Faloppia e trovato sulla seconda vettura, ndr – sia stato utilizzato». Una volta varcato il confine, all’altezza di Rancate sono scattati i controlli. Se l’auto staffetta si è subito fermata, il 23enne è per contro scappato verso i Quartieri della Montagna a una velocità stimata di 80-90 all’ora sul limite di 50, prima di essere fermato a Besazio. Come mai, ha chiesto il giudice Villa, questa corsa sfrenata se ignorava la presenza dello stupefacente? «Non sapevo cosa ci fosse – ha ribadito il giovane –. Ero preso dal panico e dalla paura e non ero cosciente di cosa stavo facendo».
Nella vettura con targhe francesi, sotto la leva del cambio, sono stati trovati anche 7,82 grammi netti di cocaina. I tre imputati si sono dichiarati estranei. Il 23enne marocchino ha affermato di «prestare spesso la vettura ad altre persone» ma di non sapere che ci fosse della droga occultata. Per questo specifico reato, la Corte ha prosciolto gli imputati applicando il principio ‘in dubio pro reo’ perché gli atti, ha spiegato Villa, «non dimostrano una connessione diretta con il traffico di hashish».
La procuratrice pubblica Marisa Alfier ha presentato richieste di pena dai 22 ai 24 mesi da scontare ricostruendo «quello che i tre hanno e non hanno detto e hanno pasticciato». Il più giovane degli imputati avrebbe raggiunto l’Italia per recuperare una vettura da portare a Losanna, «per pagare un debito di 300 euro» dopo essere stato «minacciato con un coltello alla gola» e avrebbe portato l’amico francese «che non guida, come supporto morale». Il 34enne, come visto, si trovava già a Milano, «non per prendere dei vestiti come ci ha detto, ma per organizzare il trasporto del giorno successivo». Alfier ha inoltre sottolineato la «scarsa collaborazione, un eufemismo, che non ha permesso di stabilire dove è stata presa la droga, chi l’ha portata e nemmeno la destinazione finale».
Le difese si sono battute per pene interamente sospese. Intervenuto a nome del 23enne marocchino, l’avvocato Michele Sisini ha spiegato che «il quantitativo trasportato è considerevole ma si tratta di un singolo episodio e nulla fa pensare che sia coinvolto in altre attività di questo tipo». Per il legale si è quindi trattato di «un isolato errore di gioventù». Véronique Droz Gianolli, legale del 34enne, ha a sua volta sottolineato che la posizione del suo assistito «va ridimensionata: è stato una pedina usata da altri nell’ambito di un solo trasporto, un conducente occasionale e improvvisato». L’avvocato Fabiola Malnati, intervenuta in difesa del 24enne, ha evidenziato il «ruolo marginale se non quasi superfluo» dell’imputato che, non avendo la patente, «non sarebbe potuto servire per il trasporto. Ha accettato di accompagnare l’amico a Milano». La Corte non ha creduto alla «giustificazione delle minacce – ha spiegato ancora Villa –. È troppo semplicistico se non c’è una consistenza materiale». Il ruolo del 34enne è stato ritenuto «principale» per il suo arrivo a Milano il giorno prima e per essere stato il punto di riferimento delle telefonate.