Mendrisiotto

Mendrisio, l’Ancona del Bagutti ritrova il suo antico splendore

L’opera risalente al 1794 è stata restaurata e riposizionata nella chiesa di San Giovanni in vista delle Processioni Storiche

L’Ancona dell’Addolorata sarà visibile fino al 23 aprile
(Ti-Press/Alessandro Crinari)
1 aprile 2022
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Per la chiesa di San Giovanni, a Mendrisio, è un cerchio che si chiude dopo le tre tappe dei lavori che hanno portato al restauro dell’edificio sacro. Per le Processioni della Settimana Santa, iscritte dal 2019 nel patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, è il ritorno di un’opera unica e preziosa. Sono terminati i lavori di restauro dell’Ancona dell’Addolorata, il dipinto su tela realizzato nel 1794 dal pittore di figura Giovanni Battista Bagutti di Rovio e dal quadraturista Giovanni Battista Brenni di Salorino per essere presentata come altare posticcio all’interno della chiesa. L’Ancona è una delle poche salvate dalla distruzione messa in atto negli anni della secolarizzazione dei conventi in Svizzera, in cui molte opere di questo tipo furono bruciate, e risulta un elemento chiave nell’ambito del patrimonio culturale dei Trasparenti. «L’Ancona, un oggetto più unico che raro nel patrimonio cantonale, rientra a pieno titolo in questo patrimonio che dobbiamo costruire come un tesoro», sono state le parole di Paolo Danielli, capodicastero Museo e Cultura della Città di Mendrisio. Costi alla mano, il preventivo è stato di 146mila franchi. Oltre al sussidio del Cantone (per il tramite del Dipartimento del territorio) di 58mila franchi, è stata organizzata una colletta (ancora aperta) alla quale hanno partecipato numerosi cittadini ed enti di Mendrisio e del Distretto. L’opera potrà essere ammirata fino al 23 aprile, in seguito le 25 parti che la compongono saranno smontate e riposizionate in occasione della Settimana Santa dell’anno prossimo.

Un’assenza durata 32 anni

L’Ancona venne posizionata l’ultima volta durante la Pasqua del 1990. Intorno al 2008, con i primi contatti tra l’allora vicedirettore dell’Ufficio tecnico Pietro Romano e il direttore del Museo d’Arte Simone Soldini, si manifestò un primo concreto interesse per un suo recupero, portato avanti dall’ex presidente della Fondazione Processioni Storiche Giuseppe Poma, dall’architetto Lino Calderari e dall’ingegner Luigi Brenni. I primi contatti con l’Ufficio dei beni culturali sono avvenuti nel 2015. Dopo le necessarie verifiche, gli interventi sono iniziati nel 2018 e sono terminati nel 2021. «L’Ufficio dei beni culturali ha creduto da subito alla necessità di questo restauro, anche se l’opera non si trovava nelle condizioni migliori – ha commentato la capoufficio Simonetta Biaggio Simona –. Entrando in chiesa, la finta architettura sembra un altare in pietra e permanente. Un valore ulteriore per le Processioni: auspico che questa non diventi una tradizione solo turistica ma che resti della comunità che ogni anno la vive e partecipa». Lara Calderari dell’Ufficio dei beni culturali ha «seguito da subito» le opere di restauro. «Trentadue anni sono tanti, ma se ripercorriamo quanto effettuato da Mendrisio, che oggi ritrova il tassello di partenza delle Processioni, non si vedono». Tra le ipotesi di lavoro c’è stata anche quella di sostituire la vecchia struttura lignea portante con parti metalliche alla base. «Una direzione che non è risultata possibile perché macchinosa – ha aggiunto Calderari –. A noi come Ufficio premeva conservare la struttura lignea, che è stata restaurata e adattata».

La complessa opera di restauro

A occuparsi del restauro è stato Jacopo Gilardi (affiancato dalle assistenti Marica Gianolli, Valeria Malossa e da alcuni stagisti del corso di laurea in Conservazione e restauro della Supsi). «Un lavoro che ci ha riservato un sacco di sorprese – sono state le parole del restauratore, ricercatore e professore della Supsi –. Il lavoro più difficile in questi 39 anni di carriera». Le sfide sono state presentate dalle dimensioni monumentali dell’opera, alta circa 12 metri x 4 metri di larghezza, e come detto composta da 25 elementi, con singoli pezzi che arrivano a 4,5 x 3,2 metri, di cui alcuni tridimensionali e con forme inusuali. In secondo luogo, Gilardi ha citato la particolare tecnica con cui fu dipinta: una tempera di origine proteica estremamente sensibile all’acqua e a tutte le soluzioni acquose che normalmente vengono impiegate nel restauro. A ciò bisogna aggiungere che i singoli elementi presentavano tecniche esecutive e materiali leggermente differenti con conseguenti reazioni differenziate ai fenomeni di degrado. In terzo luogo per lo stato di conservazione in cui si trovava prima del restauro: i continui montaggi e smontaggi avevano provocato un numero enorme di danni che a loro volta avevano richiesto innumerevoli interventi di restauro e riparazione non sempre eseguiti con metodologie e materiali idonei. Negli anni, l’Ancona è stata immagazzinata in locali non adeguati per cui ha molto sofferto per le condizioni ambientali avverse e in particolare per le ripetute infiltrazioni di acqua che hanno destabilizzato gli strati pittorici e provocato delle macchie e degli aloni scuri. Pensando al futuro, e in particolare ai prossimi montaggi e smontaggi dell’opera, l’auspicio di Gilardi è che «si prendano maggiori precauzioni perché si tratta di un lavoro estremamente delicato e che il personale che dovrà occuparsene acquisisca esperienza visto che, per esempio, per le parti superiori occorre lavorare in cordata».

La dedica

Da ormai qualche anno, il motto delle Processioni Storiche è ‘Tradizione e innovazione’. «Abbiamo un occhio ben saldo al patrimonio culturale, gettando però lo sguardo verso un futuro al passo con i tempi – ha ricordato il presidente Gabriele Ponti –. Ci sono delle coincidenze numeriche: l’Ancona è stata realizzata nel 1794 e nel 1798 le Processioni sono state riorganizzate come le conosciamo oggi. Sono quindi passati 4 anni: lo stesso tempo che è passato da quando ho preso il posto del compianto Giuseppe Poma, che ha voluto fortemente rinnovare ed esporre questa opera d’arte» definita «il primo tassello dedicato alla sua memoria».