Circa 400 persone hanno aderito alla manifestazione indetta dai sindacati storici. Fonio (Ocst): ‘Non continuerete a calpestare i diritti dei lavoratori’
Un palco, una ‘piazza’ (quella del Mercato Coperto a Mendrisio), tante bandiere ma un unico striscione e una sola invettiva: ’Vergogna’. Basta una parola, del resto, per sintetizzare le voci della protesta che, motore i sindacati storici Ocst e Unia, è riuscita a mobilitare circa 400 persone di sabato mattina dentro e fuori i confini del Mendrisiotto. Cittadini-lavoratori tutti uniti dalla volontà di contrastare il dumping salariale e difendere lavoratrici e lavoratori in una terra (quella del Sottoceneri) risvegliata dalle vicissitudini di tre industrie manifatturiere del Distretto. Alle porte l’applicazione del salario minimo (i fatidici 19 franchi l’ora) per legge, alla Plastifil di Mendrisio, alla Ligo Electric di Ligornetto e alla Cebi (l’ex Mes-Dea) di Stabio hanno sottoscritto un Contratto collettivo di lavoro - ’alleati’ Ticino Manufacturing e TiSin - per ‘aggirare’ l’imminente normativa in questo ’Poro TiSin’ (per parafrasare il titolo della manifestazione).
«Sono tanti i sindacati che vogliono il bene di questo Paese», ha esordito dal palco Giorgio Fonio, segretario Ocst Mendrisiotto, prendendo la parola da Giangiorgio Gargantini, che guida la Segreteria regionale di Unia Ticino, e parlando di «bullismo manageriale, che senza alcun pudore ha cucinato in casa le regole che voleva». Non a caso a far arrabbiare i sindacati è soprattutto il metodo con il quale queste aziende hanno «umiliato e offeso i lavoratori». «Questi imprenditori ‘piccioli’ - ha tuonato Fonio - dovrebbero solo vergognarsi». E calcando, per così dire, la mano, il sindacalista Ocst non le ha mandate a dire a manager che dovrebbero «fare un passaggio in magistratura». In ogni caso, ha concluso, «non ci metterete in un angolo e non continuerete a calpestare i diritti dei lavoratori».
In effetti, non è finita qui (la protesta). Vincenzo Cicero, cosegretario responsabile della Sezione Sottoceneri di Unia, ha esortato i presenti a «cominciare a dire ‘no’ a questa imprenditoria». E ha puntato il dito contro chi, come l’organizzazione TiSin, introduce contratti con salari addirittura al di sotto dei «miseri 19 franchi» fissati dal salario minimo che entrerà in vigore da dicembre. Ecco perché, oggi più di eri, è «necessario scendere in piazza per manifestare», ha ribadito lanciando l’appuntamento del 30 ottobre a Bellinzona, temi portanti una volta di più salari migliori, rispetto e solidarietà.
Ci ha poi pensato Eleonora Failla, presidente del Gruppo donne Unia e lavoratrice, a ricordare come dopo tanti ‘no’, occorre pronunciare alcuni ‘sì’ irrinunciabili: ’sì’ a un salario equo e senza distinzione di genere o status; ’sì’ a giuste condizioni lavorative, a una società in cui ci sia giustizia sociale e al rispetto delle lavoratrici e dei lavoratori; ‘sì’ ai Ccl e a chi contribuisce al miglioramento economico e sociale di questo Cantone, oltre che alle organizzazioni sindacali «degne di questo nome». Con lei a far arrivare «forte e chiaro» il messaggio della manifestazione è stata anche Stella Valentino, del gruppo Donna e lavoro Ocst, la quale ha richiamato l’attenzione sulla dignità di chi lavora e in quanto lavoratore (o lavoratrice) non può sottostare al ricatto di un salario sotto il minimo pur di non perdere il posto.
E a proposito di lavoratori, sabato è stata data loro la parola. È stato il caso di un ex dipendente della Cebi di Stabio. «Per 5 anni ho lavorato all’ex Mes - ha raccontato -. Sono qua proprio per testimoniare del caso di una collega di 64 anni, licenziata qualche mese fa, dopo turni sfiancanti e giornate a ciclo continuo». Ecco per quale motivo, ha richiamato un altro lavoratore, «dobbiamo avere il coraggio di dire ‘no’ a certi salari da 2’800 franchi al mese».
Françoise Gehring, sindacalista Sev, ha fatto presente dal canto suo come oggi «l’epoca d’oro in cui il lavoro dava modo di costruirsi una famiglia, appartiene al passato». Quindi la svalutazione del lavoro «deve preoccuparci. Da anni siamo confrontati con un’evidenza: nella lotta fra lavoro e capitale, ha vinto il capitale. Un gioco al massacro - mors tua, vita mea - nel quale la responsabilità sociale da parte dell’imprenditoria è inesistente».
Anche Natalia Ferrara, deputata Plr nonché responsabile Asib (Associazione svizzera impiegati di banca), non ha inteso fare sconti: “Sono una momò cresciuta davanti alla Cebi, quando si chiamava Mes. E sono qui perché sono una sindacalista e sono una liberale: dobbiamo denunciare ciò che non va e dire ‘no’ a salari indegni e persone calpestate, e a datori di lavoro che mettono in un angolo i lavoratori e scelgono persone di comodo per dire che tutto va bene, con il risultato di dividere le maestranze».
D’altro canto, come ha fatto memoria l’economista Christian Marazzi, «in Ticino è cambiato molto il lavoro ed è cambiata molto la povertà. Si è svalutato il lavoro e sono aumentati i ‘lavoretti’ e la sotto occupazione, gli impieghi su chiamata e i free lance». La povertà salariale, in più, «è stata fortemente femminilizzata: le donne si sono trovate costrette a entrare nel mondo del lavoro per il salario stagnante di altri membri della famiglia. La questione dei salari dignitosi, in altre parole, è trasversale rispetto alla nostra società».
Marazzi ha fatto capire che se questa dimensione della povertà laboriosa persiste, c’è un problema. «Vi è una dimensione statale che non va rimossa - ha ribadito -. Il salario minimo deve essere assai superiore a quello di cui si discute oggi». Un altro aspetto da denunciare per Marazzi è la deroga legata ai Ccl che ha fatto da ariete ai contratti sottoscritti nelle tre aziende momò. «Non vogliamo un’economia stracciona che permetta a imprenditori disinvolti di arricchirsi sulle spalle dei lavoratori». A tal punto da preferire i ’padroni’ agli ‘schiavisti’. A maggior ragione a fronte di una imprenditoria che, come ha annotato Ivo Durisch, deputato Ps e coordinatore dei Cittadini per il territorio, ha eroso non solo le buste paga ma anche il territorio, come è ben evidente in alcuni Comuni del Mendrisiotto.
Con un finale fuori programma, al grido di ‘Vergogna! i manifestanti hanno lasciato la ‘piazza’ del Mercato Coperto e si sono diretti in corteo verso la sede della Plastifil, poco distante. Giunta ai cancelli della ditta una delegazione spontanea ha appeso lo striscione (a mo’ di pro memoria). Non prima però di aver ascoltato le parole di un lavoratore affidate a una missiva, letta da un giovane, e che sono risuonate come un monito assai più forte di tanti slogan.