Pene di 26 e 18 mesi sospesi di detenzione per due amministratori e gerenti di società. Alcune di queste si trovano a Chiasso
«Il denaro non è infinito e se viene erogato a chi non ne ha diritto, si corre il rischio di non potere aiutare chi ne ha veramente bisogno». Sono queste le parole del giudice Amos Pagnamenta a commento della sentenza che ha condannato due uomini di 55 anni, un cittadino italiano domiciliato nel Mendrisiotto e un cittadino svizzero che vive nel Bellinzonese, per ripetuta truffa è ripetuta falsità in documenti. Le truffe messe in atto da entrambi nell’aprile scorso – a cui si aggiungono quelle effettuate dal cittadino italiano tra il marzo e il luglio scorsi – sono legate ai crediti Covid-19 erogati dalla Confederazione. Davanti alla corte delle Assise criminali, i due hanno ammesso i fatti e confermato la volontà di continuare a risarcire le somme. «Fatti ampiamente ammessi – ha aggiunto Pagnamenta – sia in sede di inchiesta che in quella di dibattimento». Riconoscendo una colpa «grave dal profilo soggettivo per aver approfittato delle agevolazioni messe a disposizione delle persone e delle società duramente colpite dalla pandemia e per avere infranto il rapporto con lo Stato», la Corte ha emesso due sentenze di condanna. Al cittadino italiano, arrivato in aula in regime di espiazione anticipata della pena, sono stati inflitti 26 mesi di detenzione, di cui sei da scontare (e il resto sospeso per un periodo di prova di 3 anni), e 7 anni di espulsione dalla Svizzera («non mi oppongo – ha dichiarato in aula –. Mi serve solo qualche giorno per recuperare le mie cose»). Il secondo imputato è invece stato condannato a 18 mesi, sospesi per un periodo di prova di due anni. Accusa (la procuratrice pubblica Chiara Borelli) e difese (gli avvocati Marco Masoni e Demetra Giovanettina) sono arrivate al dibattimento con un accordo, poi confermato dalla Corte.
I due imputati erano rei confessi e, a domanda diretta del giudice, hanno ribadito di «confermare» quanto già dichiarato in sede di inchiesta. Al momento dei fatti entrambi percepivano uno stipendio ed erano amministratori o gestori di diverse società. Perché quindi, ha chiesto il giudice, richiedere questi crediti? «Alcune società hanno voluto incrementare il lavoro, mentre pr altre, di cui ero amministratore, ho fatto la richiesta», ha spiegato il 55enne italiano. «I soldi sono stati trovati sui conti delle società o sono stati utilizzati per pagare i debiti». L'imputato ha specificato che «non ci sono stati pagamenti esterni ai debiti». Sollecitato con la stessa domanda dal presidente della Corte, il secondo imputato ha invece dichiarato che per alcuni casi «la spinta è arrivata dai titolari, mentre per altri tre casi mi sono accordato con il mio co-imputato».
Le truffe, come detto, sono state commesse sia in correità che singolarmente. Nell'atto d'accusa viene spiegato che i due hanno agito in tre occasioni in coppia a Neuenhof, nel Canton Argovia, ottenendo 82mila franchi a favore di tre società. Il tutto “indicando nei relativi moduli ‘Credito Covid-19’ una cifra d'affari inesistente o ancora un netto stipendi inveritiero, attestando con la forma, contrariamente al vero, che le informazioni contenute nei moduli presentati fossero complete e veritiere”. Il tutto sapendo che l'istituto bancario, “proprio per la natura insita nella creazione di detto strumento, ovvero l'erogazione di liquidità rapidamente accessibile, non avrebbe proceduto agli usuali controlli”. In qualità di amministratore unico o socio gerente, il 55enne domiciliato nel Mendrisiotto ha ottenuto altri 253'400 franchi a favore di altre 9 società con sede a Chiasso e a Zurigo. Anche il cittadino svizzero ha agito in due occasioni da solo, ottenendo 89mila franchi.