Un fascicolo rievoca il periodo bellico 1939-1945 attraverso un fortino presente a Castel San Pietro, per decenni dimenticato e ora riportato alla luce
In spalla un sacco di pelo di capra e negli occhi una guerra che finiva a 2000 metri di distanza. La tenevano d'occhio da una finestrella grande pochi centimetri, inconsapevoli che su di loro pesava la grande opera di contenimento dell'avanzata fascista. Siamo nel 1939 e in quel piccolo fortino (Al Ròcul di Obino, Comune di Castel San Pietro) il caporale Aldo Crivelli e gli uomini del suo gruppo (Bruno Biffi, Vincenzo Gianoli, Marzio Dotti, Giovanni Peverelli, Riziero Cavadini, con i due soldati Bernasconi, Galli e Sulmoni) sono impegnati nella difesa del ponte che porta a Morbio. In loro aiuto una mitragliatrice 11 con raffreddamento ad acqua e capacità di 600 colpi, ma soprattutto una forza morale 'irradiata' nella croce svizzera presente al centro della targa in cemento che loro stessi incollano al muro di quella preziosa e strategica postazione. A raccontarci la loro storia, e tutta quella di una Nazione confrontata con la Seconda guerra mondiale, ci ha pensato Giorgio Cereghetti che, su iniziativa dell'Amministrazione comunale e in collaborazione con Edy Bernasconi e Curzio Cavadini, ha portato alla stampa e alla conoscenza della popolazione l'interessante opera militare.
«Questo opuscolo non vuole e non può essere un saggio storico, ma una rievocazione dei fatti e vicende del tempo, cercando di essere il più ligi possibile agli avvenimenti succeditisi» ha spiegato Cereghetti anticipando la distribuzione a tutti i fuochi. Spazio verde, fra una vista imprendibile sul Mendrisiotto e una piccola vigna, è oggi proprietà privata. È qui che si trova 'ul Ròcul', per molti anni dimenticato tanto da essere necessario un attento lavoro di decespugliazione e pulizia: «Se per noi il fortino è entrato a far parte della nostra vita di bambini, recandoci in questo luogo per giocare, sicuramente da diversi decenni la struttura è sconosciuta ai più e spero che questa pubblicazione possa darle giusto risalto. Un auspicio è anche quello di favorire un'apertura della zona al pubblico, così da far rivivere questi luoghi nella vita quotidiana». Speranza raccolta dal sindaco Alessia Ponti: «Sono fortemente convinta che anche i più tragici eventi, se compresi e analizzati, possono portare qualcosa di positivo, aiutarci ad essere persone migliori e scrivere un domani più bello di quello che ci lasciamo alle spalle».
E che Castel San Pietro fosse fra i punti nevralgici della difesa della Patria lo ha anche rimarcato il colonnello di Stato maggiore generale e autore di ricerche sul secondo conflitto mondiale, Francesco Piffaretti, colui che fra il 1994 e il 2009 ha avuto accesso a documenti da poco desecretati: «Il presente opuscolo rende merito ai militi e alla popolazione e lo fa tratteggiando un dipinto, oserei dire 'impressionista', delle vicende riguardante il ponte durante la guerra». Nasce così nei mesi precedenti la prima mobilitazione del 2 settembre 1939 l'esigenza di un fortino proprio in questo punto geografico. Venne terminato il 26 settembre da un gruppo di mitraglieri pesanti aggregati alla Compagnia frontiera fucilieri montagna V/291 condotto appunto da Crivelli che incise, sul bassorilievo del piccolo locale, oltre ai nomi dei componenti, anche il gallone flangiato verde scuro della loro incorporazione, la cosiddetta mostrina portata sull'avambraccio della giacca d'ordinanza. La posizione lascia chiaramente comprendere il suo scopo, ovvero il controllo della strada che da Morbio Superiore arriva al ponte di Castello e quella che da Morbio Inferiore porta a Morbio Superiore.
Un paio di anni fa il Municipio castellano pubblicò sui media un articolo volto alla ricerca di persone a conoscenza di quei fatti. Alla conferenza stampa di presentazione erano peraltro presenti due discendenti dei soldati di stanza a Castello: il figlio del caporale Aldo Crivelli e il nipote di Giovanni Peverelli. Ricordi che oggi compongono intere pagine di storia, come quelle che riportano la presenza di un altro fortino scendendo da Coldrerio verso la zona Pobbia, sulla strada che incrocia il ponte ferroviario. Opera che però venne sepolta dai lavori di costruzione dell'aerea di servizio autostradale. Il fortino di Obino era quindi integrato in un più ampio dispositivo militare adibito allo scopo primario di osservazione e di rallentamento di possibili attacchi di forze straniere e quindi di informazione dei comandi più arretrati, il più vicino era quello di Capolago.
'Di guardia sul ponte mentre l'Europa bruciava' è il titolo di uno dei capitoli, presenti nell'agile testo, curato da Edy Bernasconi, già ufficiale informatore del Reggimento ter 96: «In quel periodo sopra il cielo del nostro Paese si addensavano pesanti nubi a seguito degli eventi che stavano travolgendo il vecchio continente, nubi provenienti sia da nord, la Germania nazista, sia da sud, l'Italia di Mussolini, che non aveva mai nascosto l'ambizione di estendere il proprio territorio fino alla 'linea mediana delle Alpi'». Una 'piccola' storia dunque nella 'grande' storia, come indicato da Curzio Cavadini, già tenente colonnello e noto specialista di armi da fuoco: «Il compito per loro era di battere con un fuoco d'infilata la strada che da Morbio Superiore scendeva verso il ponte in ferro sul Breggia e falciare il nemico sul fianco nel tratto prima del ponte. Sostenendo con il fuoco il dispositivo di difesa ravvicinata, si cercava di sventare eventuali colpi di mano, impedire l'assalto e la conquista dei manufatti, per garantire il brillamento delle due opere minate, quali il moderno ponte in ferro e il vecchio ponte detto 'di Canaa' della tortuosa ex strada di Circolo nel fondovalle, costringendo l'avversario alle eventuali laboriose ricostruzioni sull'impervio attraversamento». Informazioni presenti nella pubblicazione e affiancate alle molte portate anche da Marco Talleri, ufficiale e autore di studi sulla difesa a sud del Ticino che ha portato alla catalogazione di 1'900 manufatti. Anche del Mendrisiotto che come ha ben ricordato il presidente del Consiglio di Stato e capo del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi «è stata terra di fortificazioni e terra da difendere, storicamente interessante attraverso la nota visione strategica del generale Guisan».