Mendrisiotto

Covid-19 in casa anziani a Mendrisio: ‘Giorni drammatici’

Quattro operatori della Torriani escono allo scoperto e per voce del Mps denunciano lacune e disagi. Il presidente Ecam: ‘La rete ha funzionato’

Ci sono stati giorni difficili (Ti-Press)
15 giugno 2020
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Per la casa per anziani Torriani di Mendrisio i 'problemi' sembravano essere iniziati e finiti con le dimissioni della capostruttura. Un nodo venuto al pettine di recente (come riferito da 'laRegione' del 4 giugno) e tutt'ora sul tavolo del Municipio per mano del consigliere della Lega Massimiliano Robbiani. Invece, a scoperchiare un nuovo vaso di Pandora sono, oggi, quattro operatori in forza alla struttura (che per ora preferiscono restare anonimi). Rimasti inascoltati (dicono) dai vertici dell'istituto e dell'Ecam, l'Ente case anziani del Mendrisiotto, si sono palesati, nelle settimane scorse, ai deputati del Movimento per il socialismo (Mps) con una missiva che restituisce, citiamo, un 'drammatico resoconto' dei giorni della pandemia dentro le mura della casa. Raccolto il loro sfogo, Simona Arigoni, Angelica Lepori e Matteo Pronzini a nome di Mps-Pop-Ind. hanno dato loro voce, chiedendo conto di questa ulteriore denuncia sociale al Consiglio di Stato. Obiettivo, dichiarano, scalfire il 'muro di gomma del ceto politico' e chiedere 'trasparenza verso tutti gli ospiti delle case anziani, dei loro parenti e della popolazione tutta'.

Un malessere c'è stato. Comi: 'Siamo intervenuti'

Uscire allo scoperto per i quattro operatori della struttura mendrisiense non è stato semplice, ma ora, scrivono nella lettera resa pubblica dal gruppo, dopo aver lavorato 'a testa bassa' per salvare gli ospiti dal Covid-19, è giunto il momento di 'rompere questo clima di omertà, ma anche di paura e di timori di vendetta da parte della direzione'. Lo fanno puntando, in realtà, il dito contro tutto un sistema, che, ribadiscono, non ha funzionato. La lista delle magagne, elencano, è lunga. Il quadro statistico, precisano, parla di una ventina di residenti positivi al coronavirus, una quindicina di operatori ammalati, almeno tre famigliari di dipendenti contagiati. Se i numeri, come verificato, aderiscono allo scenario, le accuse all'Ecam non vanno giù o perlomeno appaiono assai ingenerose. Sia chiaro, nessuno nasconde il fatto che delle criticità, nelle ore della crisi più acuta, sono emerse e che il personale si è ritrovato sotto pressione. A tal punto da dare corpo a numerose segnalazioni, giunte al sindacato Ocst ma affiorate, al contempo, dentro la stessa struttura.

Come dire che il malessere, reale, non è rimasto senza risposta. "Lo confermo - tiene a far sapere il presidente dell'Ecam Giorgio Comi -, abbiamo avuto contatti con l'Ocst e ricevuto pure delle osservazioni interne, e siamo intervenuti subito. Come? Creando una cellula di crisi Ecam: una misura che ha interessato l'Ufficio del Medico cantonale quale prassi da replicare. Poi abbiamo chiesto all'autorità cantonale di dare avvio a un gruppo di sostegno psicologico per accompagnare il personale". Si è arrivati altresì a potenziare le forze in campo alla Torriani 1. "In effetti - spiega il presidente -, per la prima volta abbiamo sperimentato un piano di collaborazione tra le case dell'Ecam, e ha funzionato davvero bene. Tengo a dire che nel momento del bisogno vi sono stati dei collaboratori delle altre strutture che, spontaneamente, si sono offerti di dar man forte ai loro colleghi. E questo mettendo a rischio la loro salute".

Mascherine, camici e dintorni

Sta di fatto che agli occhi dei quattro operatori, però, certe lacune reclamano ancora delle risposte. Fra queste il riferimento esplicito è al materiale di protezione. Nella quotidianità della casa (ma soprattutto del reparto Covid aperto per far fronte alla pandemia), si evidenzia nello scritto, le mascherine scarseggiavano; le tute specifiche non sono mai state messe a disposizione; 'i camici utilizzati non erano monouso e impermeabili'; i copri scarpe sono stati introdotti 'solo in fase avanzata della pandemia'.

È stato così? "Mi sento di affermare - ribadisce Comi - che in nessun momento gli infermieri in servizio sono entrati nelle camere del reparto Covid senza una adeguata protezione. Dirò di più: anche in questo caso la rete Ecam si è rivelata preziosa, permettendo uno scambio di materiale, assicurando a tutti nel giro di pochi giorni il necessario e dando così il tempo di organizzare gli acquisti utili al fabbisogno".

'Protocolli confusi e disagi'

Le critiche chiamano in causa poi la 'pessima gestione e i presunti 'errori' dell'Ecam, alimentati pure dalla confusione nata attorno ai protocolli da seguire, con la sovrapposizione, spiegano i quattro operatori, delle direttive del Medico cantonale con le indicazioni dei responsabili della casa e dell'Ecam. Il punto? Durante l'emergenza, rincarano, il reparto più sensibile è stato 'lasciato all'anarchia', con un solo infermiere di riferimento e una responsabile dell'Ecam per la gestione della pandemia che non si è mai palesata. Risultato? Una situazione di disagio per tutti, dal personale ai residenti, passando per i loro famigliari.

"Confusione? Iniziamo col dire che noi ci siamo attenuti alle direttive cantonali e abbiamo agito nel solco delle disposizioni mediche - sgombra il campo Comi -. Parte del disorientamento, per noi che siamo sul confine, può essere stato dato dalle indicazioni diverse seguite a livello svizzero da un lato, e italiano dall'altro. Qui può aver spiazzato alcuni infermieri e creato qualche preoccupazione. Del resto, si è operato con le conoscenze a disposizione in quel momento. Non tutto ciò che si è fatto allora lo si ripeterebbe adesso? Persino il direttore dell'Ufficio federale della sanità Koch oggi, alle luce di quanto si sa sul virus, tratterebbe certi temi in modo diverso".

Per finire, si è fatto tutto i possibile? "A livello gestionale ci si è mossi per dare modo al personale di lavorare al meglio. Io sono molto tranquillo: non ho niente da rimproverarmi".

 

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