Viene a galla il perfluoro-ottansulfonato. L'Age attiva misure precauzionali
Ieri i valori erano più bassi. Nell'acqua del Pozzo Prà Tiro, lì fra Chiasso e Balerna, c'era un po' meno di perfluoro-ottansulfonato (per gli addetti ai lavori lo Pfos) del solito. Un po' meno di quello 0,27 microgrammi per litro che solo qualche settimana fa aveva fatto sobbalzare i tecnici dell'Age, l'Azienda acqua, gas ed elettricità di Chiasso. Da un giorno all'altro si sono ritrovati a fare i conti con quell'ospite sgradito quanto problematico, così vicino poi alla soglia limite (di 0,3 microgrammi per litro) fissato dalle autorità federali, sotto mano l''Ordinanza del Dfi sull’acqua potabile e sull’acqua per piscine e docce accessibili al pubblico'. Non c'è voluto molto tempo, d'altro canto, per capire che, una volta di più, sarà difficile risalire alla fonte e toccherà all'Age (e per essa ai consumatori) pagarne, letteralmente, lo scotto. Conosciute le potenziali cause all'origine dello Pfos, risulta infatti arduo adesso puntare il dito accusatore contro qualcuno. Anche se si sta pensando di sporgere denuncia contro ignoti.
Sia chiaro, finché i valori restano (come sono) al di sotto del limite di guardia, l'acqua è potabile: l'Age lo ribadisce con forza nero su bianco. Ma basta poco per passare da una relativa calma, al pericolo (concreto) di dover chiudere una 'sorgente' che dà da bere a sei Comuni del Basso Mendrisiotto (oltre a Chiasso, Balerna, Morbio Inferiore, Novazzano, Vacallo e Coldrerio). Venuta a galla la sostanza inquinante (con tutta probabilità nel terreno da tempo), sono salite in superficie pure le preoccupazioni delle istituzioni locali alle prese con la proverbiale gatta da pelare. Se, come già successo a Coldrerio con il Pozzo B4 e a Morbio Inferiore con il Pozzo Polenza, si dovessero chiudere i rubinetti, approvvigionare parte della popolazione (che da decenni sente parlare di pozzi a rischio e di captazione a lago) sarebbe un problema. Il Distretto sarebbe "a terra". Qui il direttore dell'Azienda Corrado Noseda non va per il sottile (tant'è che ha scelto la via della massima trasparenza). Anche perché, ci confida, è "alquanto incavolato" (stato d'animo espresso, in realtà, con un altro termine più evocativo, ndr).
"La nostra responsabilità - motiva - è quella di assicurare la qualità dell'acqua immessa in rete; e poi ci ritroviamo fra capo e collo queste cose". La consapevolezza che il Pozzo Prà Tiro fosse a rischio fin dagli esordi (quando fu costruito negli anni Sessanta) c'è tutta. "A quei tempi i parametri e la sensibilità ambientale erano ben diversi. Sta di fatto - ribadisce Noseda -, che ci troviamo a sopportare le conseguenze per un comportamento tenuto da altri". Quindi di un retaggio del passato che costringe la popolazione locale a fare la conoscenza con sostanze di cui, prima, non sapeva neppure l'esistenza: prima il clorotalonil, riemerso dal Pozzo Gerbo a Genestrerio, ora il perfluoro-ottansulfonato presente al Prà Tiro. "Per noi è stata una sorpresa", ammette il sindaco di Chiasso Bruno Arrigoni. Venerdì, convocati tutti i Comuni interessati, le autorità locali si sono riunite attorno a un tavolo per una lunga riunione, durante la quale si sono dovuti fare in conti con la realtà. "Il punto - annota il sindaco - è che non c'è uno storico, non sappiamo se la situazione è sempre stata questa o ci troviamo davanti a un fatto nuovo".
D'altra parte, richiama ancora il direttore, non è da ieri che dal fondo del Pozzo riemergono guai. "Negli anni Ottanta c'era stata l'atrazina, usata come diserbante dalle Ferrovie. Risolta quella questione, si rimane comunque sconcertati da queste nuove sostanze - individuate e scoperte grazie alle nuove strumentazioni ("per fortuna"), ndr - di cui non si conoscono del tutto gli effetti". Ciò che si sa, oggi, è che sono 'problematici'. In effetti, come ricorda la stessa Age, a livello federale lo Pfos è stato vietato: il veto è calato nel 2011 sulla sua commercializzazione, sebbene il suo utilizzo 'per alcune applicazioni particolari è stato tollerato fino alla fine del 2018'.
Il punto è che sino a quel punto il perfluoro-ottansulfonato è stato utilizzato, perché legale. Difficile, dunque, rimproverare qualcosa (annota pure Noseda) ai pompieri del Mendrisiotto che per spegnere gli incendi utilizzavano schiume addizionate con lo Pfos. Se a ciò si aggiunge che il pozzo si trova a ridosso dell'area ferroviaria, dove si incrociano le direttrici del traffico merci (anche pericolose), dove si sono verificati degli incidenti e dove con regolarità negli anni si sono esercitati i militi. E qui si apre un interrogativo altresì sul ruolo delle Ffs (contattate ma che ieri non siamo riusciti a raggiungere, ndr) e sulle misure spese a tutela della falda.
Dal canto suo, l'Age alla prima avvisaglia - messa sul chi va là dalle indagini ambientali condotte il maggio scorso della Sezione della protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo (Spaas) del Dipartiemnto del territorio, che si è mossa di concerto con l'Azienda e le autorità federali - si è attivata e ha adottato le contromisure. Molteplici misure tecniche e che, si spiega in una nota, 'comportano la modifica del regime di pompaggio dell’acqua dalla falda, l’aggiunta nei filtri esistenti di un quantitativo di carbone attivo specifico per questo tipo di sostanze e, infine, la realizzazione di pozzi scudo a protezione della captazione del Prà Tiro'. Il tutto continuando a tenere sotto controllo la situazione e sondare le acque di falda. In effetti, si fa sapere, si sta effettuando 'una serie di prelievi periodici per valutare l’evoluzione della concentrazione di Pfos nel tempo e misurare i benefici apportati dagli interventi messi in campo'.
Gli amministratori comunali confidano molto nelle soluzioni adottate. Se dovesse venire a mancare il Pozzo Prà Tiro, però, quali sarebbero le conseguenze per l'approvvigionamento idrico del comprensorio? "Il rischio ipotetico c'è - riconosce Arrigoni -. Chiasso può far capo alla Rovagina, ma la regione potrebbe essere chiamata a razionare i consumi, soprattutto in estate, con la canicola alla porta". Un invito alla parsimonia che, a quanto pare ha già raggiunto i vari Uffici tecnici. Ecco che l'unica via d'uscita appare sempre più la realizzazione dell'Aquedotto regionale del Mendrisiotto (Arm), con la captazione a lago. "Soluzione che Chiasso caldeggia - sottolinea il sindaco Arrigoni -. Occorre puntare sulla messa in rete degli acquedotti e velocizzare l'Arm". Traguardo per il quale ci vorranno ancora alcuni anni, in ogni caso. Di conseguenza i cittadini non potranno non essere chiamati a un'altra prova di responsabilità civica. In gioco un bene come l'acqua.
Un altro pozzo, un altro inquinamento. Il Mendrisiotto è particolarmente sfortunato? "Direi piuttosto che è più predestinato di altri - ci risponde Raffaele Domeniconi, coordinatore per la Svizzera italiana della Società svizzera dell'industria del gas e delle acque -. È una regione con un territorio ristretto, densamente popolata, con tante industrie e metà della superficie occupata dalle Ferrovie. Se a questo si aggiunge il fatto che peculiarità cariche, ecco che la qualità delle acque risulta essere molto vulnerabile. Non a caso si è messo a punto l'Arm". Non tutto, però, gioca contro questo Distretto. Dalla sua parte, elogia, vi sono delle Aziende dotate di "grande sensibilità, responsabilità e capacità di gestire situazioni simili". Azende messe a dura prova. "La difficoltà - richiama - sono evidenti. Da una parte sussiste l'obbligo di rispettare la legge sulle derrate alimentare, molto severa; dall'altra, in Svizzea, vi è un sistema che si è mostrato accondiscendente, per tradizione, con il mondo agricolo e industriale. Così ci si ritrova a pagare il costo dei mancati approfondimenti sugli effetti di certe azioni su salute e ambiente".