Il Consiglio di Stato motiva l'ammonimento con cui ha sanzionato Giorgio Comi. Una decina i casi che hanno impegnato gli Enti locali dal 2015
In futuro la Città di Mendrisio dovrà prestare più attenzione al problema del conflitto di interesse dentro la stanza del Municipio. La raccomandazione calata nei giorni scorsi dal Consiglio di Stato (CdS) non ha il sapore di un vero e proprio rimprovero, ma è puntuale. Lo è quanto il richiamo all’articolo 100 della Legge organica comunale (Loc). Quella stessa norma che, agli occhi dell’Autorità di vigilanza sui Comuni, il municipale socialista Giorgio Comi ha violato, ricevendo un ammonimento. Insomma, Comi avrebbe dovuto censurarsi quando sul tavolo dell’esecutivo approdavano dossier su progetti ed enti che lo vedevano coinvolto, anche al di là del ruolo istituzionale.
Nella statistica degli Enti locali quello di Mendrisio è uno della decina di casi registrati dal 2015 a oggi. La tipologia? Variegata, anche per gravità: «Ci sono infrazioni e infrazioni». Si va dai sorpassi di credito alla violazione dei diritti politici, passando per il mancato controllo dell’amministrazione comunale in merito alla Legge sulle commesse pubbliche. Dalla memoria del capo Sezione Marzio Della Santa affiorano gli incarti sugli abusi edilizi a Vogorno – l’ultimo in ordine di tempo – o i mancati introiti nel 2018 a Taverne Torricella. Come dire che quanto accaduto a Mendrisio può rientrare negli episodi ‘lievi’ (quanto a collisione di interessi), fa capire il dirigente, anche perché il municipale non ne ha tratto vantaggi diretti o un guadagno personale. Ha fatto semmai beneficiare della sua posizione il mondo associativo a cui fa riferimento. Certo poi entra in campo il principio dell’opportunità, di cui non ci si è posti il problema. «Quando si parla di realtà piccole il rischio di una collisione di interessi è decisamente più forte. In una realtà grande come Mendrisio, bastava chiamarsi fuori. A volte, però, subentra una cultura rimasta più legata al Borgo che non al centro urbano».
Aperta ora la via del ricorso al Tribunale cantonale amministrativo, restano i fatti, appurati, ribadisce il Cantone in una nota, a seguito delle verifiche e degli approfondimenti condotti nel solco dell’istanza di intervento presentata dal consigliere comunale dei Verdi Andrea Stephani. “Dagli approfondimenti – si legge nello scritto del governo che motiva la sanzione – è emerso che il municipale, in più occasioni, non ha rispettato l’obbligo in questione. I fatti sono avvenuti durante alcune riunioni dell’esecutivo cittadino, come pure nell’ambito dell’attività ordinaria del municipale fuori seduta in veste di capo del dicastero Politiche sociali e Quartieri, generando sovrapposizioni di ruolo privato e pubblico incompatibili”. Ovvero quella “gestione privatistica della cosa pubblica” lamentata da Stephani. Ad attirare l’attenzione, esplicita l’autorità cantonale, sono state “attività che – seppur non finanziate direttamente dal Comune – sono state promosse nel settore delle politiche sociali e dell’integrazione anche tramite enti privati, in cui l’interessato è attivo ricoprendo un ruolo dirigenziale e come consulente”.
L’obbligo sancito dalla Loc, del resto, rammenta ancora il CdS, mira, non a caso, a “vietare l’interferenza di interessi privati nella gestione del Comune”. Il che implica al municipale di astenersi, dentro il Palazzo, dal prendere parte a decisioni e al voto su temi che “riguardano il loro personale privato interesse e quello di società o enti privati in cui essi rivestono ruolo di amministratori o dirigenziale”. Unica eccezione concessa è quella legata agli “enti (quali le associazioni locali) con fini prettamente ideali, privi di scopi economici e che operano a titolo di mero volontariato”.