Il centro di accoglienza di Mendrisio è specchio delle nuove povertà. Ma per dare un alloggio adeguato serve l’aiuto delle popolazione
Il vecchio bancone del bar stile anni Sessanta così come le due sale all’ingresso di Casa Astra, a Mendrisio, risentivano da tempo del peso degli anni. Rimetterli in sesto è l’ultima aspirazione del centro di accoglienza che in via Rinaldi dal 2015 ha preso il posto dell’ex Osteria del Ponte. Gli interventi di ristrutturazione sono decisi, infatti, a dare dignità a un luogo che per tanti rappresenta l’alternativa a una vita precaria e senza un tetto. Aperto il cantiere a settembre, la struttura dei locali è, però, rimasta grezza. Anche se la voglia di dare forma a una mensa – qui si cucina anche per oltre una trentina di persone quando i posti letto sono al completo e altri bisogni, da fuori, bussano alla porta – c’è ed è tanta. In questi vani non si consumano solo i pasti, ci si incontra e si chiacchiera. Un’ambizione incompiuta: da metà ottobre gli operai si sono fermati. «Alcuni finanziamenti, attesi, stentano un po’ ad arrivare», spiega Donato Di Blasi, direttore di una struttura nata dall’impegno del Movimento dei Senza Voce. L’inverno però preme, come la necessità di completare la riattazione e poter accogliere al meglio chi arriva a Casa Astra. A questo punto serve un altro slancio di solidarietà popolare. Lo stesso che quattro anni orsono, un mattoncino alla volta, ha permesso di acquistare l’edificio e aggiungere altri posti a tavola (e letti) per chi non ha niente. Per finire i lavori oggi occorrono circa 150mila franchi. Trovati i fondi, in un paio di mesi l’opera sarà terminata.
«Quando è possibile – ci dice il responsabile – facciamo in casa, anche con l’aiuto degli ospiti: imbianchiamo le pareti, ripuliamo i pavimenti. In questo caso, però, non basta: ci vuole l’intervento di artigiani professionisti per mettere a norma locali e servizi». Imprese con cui, non lo si nasconde, c’è qualche scoperto. «Ma le aziende sono state avvisate», conferma Di Blasi. E a quanto pare sono disposte pure a pazientare. «Ecco perché – motiva – abbiamo pensato di lanciare, di nuovo, un appello alla popolazione, affinché ci possa dare una mano a ridare agli utenti uno spazio di aggregazione e di attività. Uno spazio che in questi anni abbiamo aperto all’esterno con iniziative e animazioni». Insomma, non manca che questo ulteriore passo per coronare gli sforzi già profusi per ammodernare lo stabile, investendo peraltro una cifra non trascurabile, attorno ai 300mila franchi. «Sono tanti i piccoli e grandi lavori che abbiamo realizzato – ribadisce il direttore della struttura –. Inclusa, nel 2017, su stimolo del Laboratorio cantonale di igiene, la sostituzione della cucina familiare ormai datata con una piccola industriale e moderna». Un obiettivo raggiunto grazie al sostegno di due Fondazioni, la Promo di Mendrisio e la Mantegazza. Casa Astra, del resto, ha già conosciuto momenti ostici, e pure in questa circostanza ci si sta adoperando per trovare delle soluzioni e il supporto di enti e altri interlocutori. Quegli stessi enti, i quali – a cominciare da Cantone, Comuni, Ente ospedaliero e Osc – nel tempo hanno fatto capo sempre più spesso al centro per collocare persone in evidente difficoltà e assicurare loro un’attenta presa a carico. Si tenterà altresì la strada, mai praticata, di una campagna di crowdfunding – un finanziamento collettivo – a livello svizzero. Ne va, d’altro canto, del futuro della struttura, l’unica in Ticino in grado di ospitare chi si ritrova per strada. Per ora con i 18 utenti alloggiati in via Rinaldi ci si arrangia con il cucinino al primo piano, ma chi passa dalla Casa merita una sistemazione adeguata. Le persone che si incrociano da queste parti, ci fa notare Marco, uno degli operatori, appartengono alle fasce deboli della popolazione. Ci sono giovani, pensionati e 50enni che non riescono a ri-trovare un lavoro: persone sfrattate o con una serie di problemi, anche di salute, e dipendenze che tentano di cavarsela da soli ma non sempre ce la fanno. Poi ci sono gli stranieri, che approdano da noi con un progetto, salvo scontrarsi con la realtà. «Per finire – annota Di Blasi – arrivano qui sfiduciati, da sé stessi, da tutto. Così cerchiamo di aiutarli a rimettersi in sesto e riprendere in mano la loro vita». Una ragione più che sufficiente per essere solidali con Casa Astra. Per saperne di più c’è il sito www.casa-astra.ch e un numero di telefono, lo 091 647 46 47.
Di strada Casa Astra ne ha fatta, e tanta, in questi anni. Dall’appartamentino di Ligornetto – gli inizi risalgono al 2004 – allo stabile di Mendrisio, passo dopo passo, si è guadagnata una sorta di emancipazione. Un riscatto che ha portato al riconoscimento sociale di un luogo che mette il Ticino (e i ticinesi) faccia a faccia con le forme diverse della povertà. Chi passa da via Rinaldi, infatti, non può far finta di niente. Anche perché la precarietà è una condizione che negli anni ha portato a bussare al centro di accoglienza un numero crescente di persone del posto, svizzeri e residenti. Non a caso la struttura è diventata un punto di riferimento pure per enti pubblici (Cantone e Comuni) e istituzioni (sanitarie ad esempio). Una realtà che ai primi tempi non era affatto scontata: per chi ne ha memoria, alla palazzina di Ligornetto passavano più spesso gli agenti di Polizia che i servizi. Ma gli anni passano e anche situazioni e rapporti (con il territorio) cambiano e maturano. Fino ad affrancarsi persino dai pregiudizi.
Certo al Movimento dei Senza Voce (forse) non se lo sarebbero mai aspettato, 14 anni orsono, che un giorno uno studente al terzo anno della Supsi avrebbe dedicato la propria tesi all’esperienza di Casa Astra. Invece, succederà. E questo, annota a bassa voce il direttore Donato Di Blasi, rappresenta «un riconoscimento effettivo». Resiste, invece, la fatica di far tornare i conti a fine anno, sempre «sul filo di lana». Ora, fa sapere il direttore, si sta per stipulare una nuova convenzione con il Cantone, che restituirà contributi «un po’ più alti» a favore degli ospiti che ne hanno diritto. Il vero balzo in avanti, la vera autonomia sarebbe, però rappresentata da un altro passo, sul piano legislativo. «Serve – esplicita Di Blasi – una legge specifica per i centri di accoglienza, come esiste in altri cantoni e che fa dormire sonni più tranquilli a chi li gestisce». Non si chiede molto di più: solo un appoggio, anche contenuto, ma ricorrente per far fronte alle necessità quotidiane. Per il momento, quindi, ci si arrangia e si fa ricorso spesso e volentieri al ‘fai da te’ e ai frutti dell’orto che permettono di essere, almeno in parte, autosufficienti.