Nell'approssimarsi del processo l'Istituto scolastico ha aperto uno sportello per genitori e alunni. Obiettivo: 'Rassicurare la comunità'
Da quella sera, da quel 14 ottobre del 2016, è trascorso ormai un anno e mezzo, ma a Stabio non si riesce a far finta di niente. Non si può dimenticare che la vita della maestra Nadia è stata ‘rubata’ in un modo tanto tragico e imprevisto. Un delitto maturato in seno alla famiglia e che ora riecheggerà in un’aula penale. Tra pochi giorni, martedì, davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio si celebrerà, infatti, il processo al cognato della vittima, Michele Egli, chiamato a rispondere, in via principale, di assassinio. A quel punto la ferita che ha segnato il paese e la sua comunità, anche scolastica, si riaprirà. Ecco perché la scuola, per prima, ha voluto reagire e rispondere ‘presente’ all’appello di ex colleghi dell’insegnante, genitori e, non da ultimi, alunni. «Tutto è nato dalla domanda di una mamma: le belle idee nascono sempre da un bisogno reale». Sonia Lurati, direttrice dell’Istituto scolastico comunale, non ha avuto timore di lasciarsi coinvolgere in un progetto che è già stato portato ad esempio in un convegno di esperti. «Un riconoscimento che rincuora. Va detto che non mi sono mai sentita sola – ci dice –: con me ho avuto subito il Comune, tutto il primo Circondario e i docenti. Del resto, è in circostanze come queste, tanto più se drammatiche e difficili, che la scuola deve attivarsi e mostrare di essere al fianco della comunità». E Stabio non intende sfuggire agli eventi, seppur dolorosi. «Eventi inevitabili, con il processo che si avvicina – ci conferma la direttrice –. Quindi, abbiamo deciso di giocare d’anticipo e abbiamo pensato: andrà tutto bene, ma saremo qui a dare delle risposte. E se non le troveremo, le cercheremo assieme, facendoci coraggio. Ma occorre fare prevenzione». Insomma, vi state preparando. «A un anno e mezzo di distanza – spiega Sonia Lurati – è possibile che si riattivino delle emozioni: il passato riemerge; anche nella comunità scolastica fatta di bambini, docenti e genitori vengono a galla domande, insicurezze al pari di sofferenze e dubbi. E a dipendenza delle età dei bambini ci sono genitori più o meno
in difficoltà. La nostra idea è stata quella di dare la nostra disponibilità qualora dovessero farsi strada dei quesiti, aiutando a trovare le risposte adeguate». Così, come primo passo, il 7 maggio scorso si è organizzata una serata, ospite lo psicologo Antonio Zuliani, collaboratore del ‘Care team’ cantonale. Incontro a cui ha partecipato una settantina di genitori. «È stato un bel momento di alfabetizzazione emotiva – rimarca la responsabile –. Poi ci siamo interrogati sull’approssimarsi del processo e ci siamo domandati: cosa potrà succedere? A quel punto abbiamo pensato di mettere in atto uno sportello, qui alla direzione, dove ci alterneremo io, le due ispettrici del primo Circondario e il capo del sostegno pedagogico. Lo faremo a orari diversi, la mattina e il pomeriggio, mettendoci a disposizione delle mamme che non lavorano come dei papà e dei docenti. Inoltre, avremo un’attenzione particolare per la ex classe di Nadia, oggi una seconda, e per la sezione lasciata nel giugno precedente, ora una quinta: i bambini sono cresciuti e le domande potrebbero essere diverse». A scuoterli potrebbe bastare una parola, una frase, un’immagine colta alla tv o sul web. «Noi saremo qui. Anche perché possiamo aspettarci che arrivino certe domande ‘scomode’. In quel caso sarà sufficiente far capire ai bambini che sono al sicuro, che gli adulti si coalizzano per il loro bene». E se, appunto, dovessero arrivare interrogativi ostici? «Siamo preparati anche all’eventualità che affiorino domande del tipo: ma se l’ha fatto quel papà, può succedere pure nella mia famiglia? Un bambino – ci fa notare la direttrice – può arrivare a chiederselo. Il nostro compito è quello di rassicurarlo, facendolo sentire a casa. Accompagnandolo e dandogli dei punti di riferimento. Certo, la consapevolezza di non saper rispondere a tutto c’è, ma possiamo affrontarlo assieme. Dall’aula penale rimbalzeranno aspetti sconosciuti, dettagli, anche atroci. A noi adulti spetta tutelare i minori e saper ‘tradurre’ quello che i media riporteranno del processo, e ciò a dipendenza dell’età evolutiva del bambino».
Dopo il delitto, suo malgrado, il paese di Stabio e la sua gente si sono ritrovati con i riflettori puntati addosso. Telecamere, giornalisti, arrivati anche da Oltreconfine per raccontare un delitto: la morte della maestra, uccisa per mano del cognato. E per la comunità non è stato facile. Come scuola vi siete interrogati anche sull’effetto dei media, sul loro linguaggio? «Non potevamo non farlo – ci risponde la direttrice Sonia Lurati –. Anche perché oggi c’è l’immediatezza dell’informazione: la notizia ci mette poco a circolare. E spesso, a dipendenza dell’età, il bambino coglie solo un’immagine, una parola e resta aggrappato a quella. Il genitore è, dunque, colui che ‘traduce’ il contesto, il significato, e aiuta a spiegare quella parola, quell’immagine al proprio figlio. Il lavoro è sostenere il bambino, tradurre cose che possono anche non capire e trasformarsi così in emozioni, e persino in regressioni. Lo psicologo ci ha avvertito: aspettatevelo; notti insonni, paure. Fa parte di un processo di crescita durante il quale si prende coscienza di come la vita sia fatta anche, purtroppo, di certi accadimenti. Poi si va avanti, perché la vita è fatta di belle cose». Il progetto messo in atto sarà un supporto importante. «All’interno della scuola siamo qui per far capire agli alunni che non siamo protetti da tutto, ma vogliamo creare un clima dove c’è la possibilità di volersi bene, di rispettarsi nell’ambito di regole. Tutto ciò in un istituto – ricorda la direttrice – che ha dovuto fronteggiare una situazione davvero traumatica». Non è, però, sempre colpa dei media. «Non si vuole puntare il dito contro qualcuno, tanto meno verso i media. Non è nel nostro intento. I media fanno il loro lavoro, a noi – genitori, docenti e direzione – il compito, ribadisco, di tradurre quanto percepiscono i bambini e ricontestualizzarlo». Stabio, insomma, non sfugge il problema, né le domande difficili dei bambini? «No. Occorre parlarne in casa. Come ci ha confermato lo specialista, se il bambino solleva la questione, non bisogna cambiare discorso, bensì affrontarla, trovando il momento opportuno, perché significa che c’è la necessità di avere delle spiegazioni. Ciò che conta – conclude la direttrice – è parlare con il cuore».