Alle Criminali di Mendrisio un caso di violenza avvenuto in un centro abitativo protetto. Ordinato un trattamento stazionario in regime chiuso
È nel contesto protetto di un centro abitativo, ricreativo e di lavoro che si sono consumate la coazione sessuale e la violenza carnale approdata oggi davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio. Alla sbarra è finito un 35enne ticinese – «colui che ti uccide», queste le sue ‘nuove’ generalità – che la giudice Rosa Item ha condannato a due anni e mezzo di carcere. Pena che è stata sospesa per permettere all’imputato di seguire un trattamento stazionario in regime chiuso così come suggerito dalla perizia a cui è stato sottoposto e che ha stabilito che l’uomo è afflitto da una schizofrenia paranoide cronica e da una sindrome di dipendenza da cannabinoidi. Una patologia di lunga data che la perita, ascoltata dalla Corte, ha definito «grave, ma non si può dire che non sia curabile». Nella discussione tra le parti è stata nuovamente evidenziata l’assenza in Ticino di strutture per questo genere di trattamento.
I fatti ripercorsi oggi in aula risalgono al febbraio dell’anno scorso. Come era già successo nei mesi precedenti la donna, a sua volta utente del centro e maniaca delle docce a seguito di abusi subìti in gioventù, si è fatta una doccia nel monolocale dell’imputato. Quanto successo nei minuti successivi è stato riassunto nell’atto d’accusa firmato dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas. L’uomo l’ha dapprima raggiunta nel bagno, dove è avvenuta la coazione sessuale – ammessa – e successivamente ha trascinato la sua ospite sul letto, dove si è consumata la violenza. «Si capiva che c’era qualcosa che non andava – ha ammesso l’imputato –, ma questo non la giustificava a essere nuda nell’appartamento di qualcun altro». Con quanto accaduto, il 35enne ha ritenuto «di avere risolto il problema e di essere passato oltre: si è cercata quella situazione, era un’anomalia che dovevo interrompere». Quelli che hanno costituito la violenza sono stati due «momenti collegati nell’agire criminoso – queste le parole usate dall’accusa che ha proposto una condanna a due anni e sei mesi sospesi per permettergli di seguire il trattamento stazionario in carcere –. Sotto la doccia la donna ha provato molto dolore». Per porre fine a questa situazione, «non ha opposto resistenza» alla fase successiva anche se, a mente di Akbas, «è difficile pensare che abbia acconsentito a un rapporto completo. Ha cercato di gestire la situazione evitando di lasciarsi andare a gesti di panico per non generare situazioni più violente di quelle che ha dovuto subire».
Intervenendo a difesa del 35enne, l’avvocato Stefano Genetelli ha respinto la violenza carnale «perché fa difetto l’elemento soggettivo del reato: se la donna ha utilizzato uno stratagemma, il mio cliente non se ne è reso conto e nemmeno aveva i mezzi per farlo. Era convinto che la donna lo volesse davvero». Il legale ha quindi chiesto una condanna, sospesa con la condizionale, non superiore a un anno e si è rimesso «al prudente giudizio della Corte» in merito alla misura stazionaria chiusa perché «la difesa non contesta che l’imputato abbia bisogno di un trattamento adeguato». Parlando a nome della vittima, che si è costituita accusatrice privata, l’avvocata Chiara Buzzi ha auspicato che il 35enne «non torni mai e poi mai in quel centro quando il trattamento stazionario finirà» e ha presentato, e ottenuto, una richiesta di indennità di torto morale di 10mila franchi. Il 35enne è stato anche condannato per violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari – per fatti legati al giorno del suo arresto, quando la polizia lo stava cercando per eseguire un provvedimento coattivo – e per contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti.