Mendrisiotto

Affari della 'ndrangheta in Ticino: alla sbarra l'uomo di fiducia della cosca, l'ex municipale di Chiasso e la moglie del fratello del boss

(Tatiana Scolari)
4 dicembre 2017
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L’intreccio è di quelli degni del miglior thriller. Ma la storia è quanto mai reale. Racconta di come la mafia – in questo caso la ’ndrangheta – abbia saputo insediarsi proprio qui, nel Mendrisiotto: giacca, cravatta e capitali. Di come lo abbia fatto sotto mentite spoglie, mandando avanti un uomo di fiducia – come Franco Longo – e appoggiandosi su professionisti locali della consulenza finanziaria. È così che l’ex fiduciario, nonché ex municipale di Chiasso, Oliver Camponovo, 42 anni, si è ritrovato invischiato nelle trame della cosca. Quanto basta per finire, pure lui (che respinge gli addebiti), alla sbarra assieme al 63enne molisano, reo confesso e l’unico in carcere a La Stampa dal 17 dicembre 2014 (quando al di là del valico sono scattate le manette su larga scala), e alla moglie di uno dei presunti capi, Antonella Di Nola, la quale contesta, a sua volta, le imputazioni. Saranno, quindi, in tre a comparire da quest'oggi davanti ai giudici del Tribunale penale federale a Bellinzona con un carico di reati che va dall’organizzazione criminale al riciclaggio di denaro – imputazione principale mossa nei confronti del ticinese –, passando per la falsità in documenti e l’infrazione alla Legge federale sugli stranieri.

A legare a doppio filo i protagonisti della vicenda, però, una volta di più, è il denaro, sporco agli occhi della Procura federale. Soldi trasferiti da un conto all’altro, dal Ticino a Dubai e poi alle Bahamas, ‘contrabbandati’ a cavallo del confine e investiti nel mattone. Tutte operazioni finalizzate, nell’impianto accusatorio, a fare gli interessi della ’ndrina calabrese Libri-De Stefano-Tegano, il cui ‘business’ principale è il traffico internazionale di stupefacenti. Ci sono volute, del resto, 46 pagine di atto d’accusa al procuratore federale Stefano Herold per seguire e ricostruire la pista dei capitali di una cosca che in Lombardia (Milano e provincia) opera dalla metà degli anni Ottana. Una presenza, come scandisce lo stesso atto d’accusa, accertata con sentenze ormai cresciute in giudicato e che rinviano a quei fratelli Martino (Giulio in testa) sconfinati in Svizzera con i loro ‘affari’.

Dalla Calabria a Milano

Il procuratore federale non ha esitazioni: la cosca a cui fanno riferimento i Martino è un “sodalizio criminale duraturo, dotato di una stabile struttura organizzativa”. Un impianto verticistico rigido, nel quale si ridistribuiscono i compiti “secondo determinate regole gerarchiche”, ma soprattutto che “tiene segreti la struttura e i suoi componenti”, peraltro “intercambiabili”. La ’ndrina, si rimarca ancora nell’atto d’accusa, “si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà”. Il fine ultimo? Commettere “atti di violenza criminale e arricchirsi con mezzi criminali”.

Gli affari svizzeri

Ecco che l’obiettivo dei boss di ‘fare denaro’ li conduce anche al di qua della frontiera. Il motivo? Aprire dei conti (come il conto cifrato ‘Adamo’) in banche del cantone, stipulare polizze sulla vita e acquistare immobili. È il caso del palazzo al numero 10 di via Motta, dirimpetto alla stazione ferroviaria di Chiasso, comperato nel 2013 da una società con atto notarile per 3,3 milioni e per metà di Domenico Martino. Ovvero l’uomo della ‘famiglia’ punta avanzata in Svizzera, con tanto di permesso di dimora – ottenuto con l’inganno e l’aiuto di Camponovo, stando alla Procura –, domicilio (a Vacallo, nell’abitazione di Longo) e occupazione (sempre in una società del 63enne) fittizi. Giulio Martino da Milano dava il suo ‘placet’ a movimenti di soldi e operazioni; Longo si preoccupava di portarli a buon fine, curando organizzazione e logistica; e Domenico controllava di persona che tutto andasse nel verso giusto. A (pre)occuparsi, invece, degli aspetti tecnico-finanziari, sempre secondo il Ministero pubblico della Confederazione, sarebbe stato l’ex fiduciario. Il quale nei suoi uffici di Chiasso avrebbe avuto incontri ravvicinati con i Martino e la donna, onnipresente il Longo. Una frequentazione iniziata nella primavera 2012 e terminata nel dicembre 2014 con l’operazione dell’antimafia italiana ‘Rinnovamento’, e poi costata cara.