Inflitti due anni di prigione sospesi dalle Assise criminali di Lugano alla donna che ha millantato di lavorare con l'ex presidente del Kosovo
Ha tentato di truffare il tribunale civile o, per dirla con la procuratrice pubblica Francesca Nicora, «di fare il colpaccio». Se avesse avuto successo nell’ingannare il pretore, la 47enne kosovara imputata oggi alla Corte delle Assise criminali di Lugano si sarebbe accaparrata due milioni di euro. Il giudice civile non ha però abboccato all’amo, e aveva segnalato la donna al Ministero pubblico, che l’ha rinviata a giudizio. Il processo è stato celebrato oggi a Mendrisio. Il tentativo di truffa è costato alla donna una condanna a 24 mesi di detenzione, sospesi per due anni, oltre all’espulsione dalla Svizzera per un periodo di cinque anni.
La 47enne in aula si è definita una consulente finanziaria, e secondo la sua versione in passato avrebbe operato come collaboratrice esterna di diverse multinazionali, arrivando anche a intessere stretti rapporti lavorativi con il noto imprenditore ed ex presidente del Kosovo Behgjet Pacolli, attivo nel Luganese. Ed è proprio nei confronti dell’azienda di quest’ultimo che la donna ha avanzato la pretesa civile milionaria, che a suo dire sarebbe stato il compenso per un importante contributo di consulenza fornito nella costruzione di un ospedale pediatrico in Kosovo. Per supportare la sua tesi, l’imputata aveva presentato al giudice civile diversi contratti firmati dal politico, così come diverse email che confermavano la sua versione. Peccato fosse tutto falso. I contratti, le firme, le email, il suo lavoro, la sua storia. Non risulta infatti che la donna abbia alcuna competenza o titolo di studio, tantomeno che abbia effettivamente effettuato delle consulenze.
Non che le sue bugie fossero particolarmente elaborate. Quando è stata interrogata in merito all’ospedale pediatrico alla cui costruzione avrebbe collaborato così assiduamente, l’imputata ha ammesso di non ricordarsi il nome e di non essere stata invitata alla sua inaugurazione. L’assenza di diplomi, e la mancata conoscenza di qualsiasi lingua straniera, rendevano anche difficile credere che fosse ambasciatrice di un’associazione internazionale. Eppure è arrivata a convincere gli avvocati che l’hanno rappresentata nella causa civile e in un’occasione pare fosse riuscita a imbucarsi a un incontro tra multinazionali negli Emirati Arabi Uniti, facendosi pure pagare il viaggio in business class.
Durante la requisitoria, la procuratrice non è andata per il sottile, descrivendo l’imputata come «manipolatrice, astuta, machiavellica e affabulatrice». «Per lei era l’occasione della vita – ha detto Nicora –, e ha tentato di fare il colpaccio. È disposta a mentire e mente in continuazione, lo ha fatto davanti al giudice civile, lo ha fatto durante tutta l’inchiesta e lo sta facendo anche oggi in aula. Si è inventata di aver fatto da consulente all’ex politico, che al momento rivestiva pure una carica importante, collaborando all’apertura di un giornale e di una rete televisiva. Lui ha però dichiarato fossero tutte bugie, e che vista la carica che ricopriva, non avrebbe mai potuto rivolgersi a lei».
«Il suo crimine risulta particolarmente odioso – ha proseguito la pp –, perché se avesse avuto successo avrebbe indotto un giudice a emettere una falsa sentenza. Si tratta di un crimine contro l’autorità dello Stato». Nicora ha poi chiesto una pena di quattro anni, per i crimini di truffa aggravata – declassata dalla Corte a truffa semplice tentata – e falsità in documenti.
Di tutt’altro avviso l’avvocato difensore Davide Ceroni, che ha chiesto il proscioglimento da quasi tutte le imputazioni, salvo la falsificazione di alcuni documenti riconosciuta dall’imputata, ritenendo che i mesi di carcerazione preventiva già sofferti fossero sufficienti. Ceroni ha sostenuto la veridicità del rapporto professionale tra la donna e il politico, riportando anche delle prove fotografiche, nonché delle dichiarazioni rilasciate da questi in corso d’inchiesta, dove affermava di aver effettivamente firmato dei documenti fornitigli dalla 47enne. «Qui nessuno è stato ingannato – ha affermato –, nemmeno il pretore, dal momento che il procedimento è stato aperto dopo una sua segnalazione».
Una tesi, quella difensiva, che non ha per nulla convinto il presidente della Corte, Amos Pagnamenta. «È chiaro che la documentazione prodotta dall’imputata è falsa – ha detto il giudice durante la lettura della sentenza –, e ogni pretesa avanzata civilmente si basa unicamente sulle sue dichiarazioni. Tutto quello che è stato raccontato non è nemmeno lontanamente credibile. Non ha senso che un politico così importante si rivolgesse a una sconosciuta quando avrebbe potuto attingere ai migliori professionisti, né si spiega come avrebbe fatto a ritrovarsi per le mani un lavoro da due milioni di euro, una cifra che non raggiungono nemmeno persone molto più esperte. Non c’è nessun riscontro su quanto da lei dichiarato. Tutte le persone sentite hanno affermato di non sapere in che modo collaborasse con la società. Ha fornito una miriade di contraddizioni e cambiamenti di versioni, così numerose da non essere ripercorribili qui. Basti pensare che il suo precedente avvocato ha rinunciato a rappresentarla».