Il centro di Lugano compie 15 anni e organizza una giornata in cui si potranno ammirare gli ultimi sviluppi della scienza medica
Il Neurocentro di Lugano spegne 15 candeline e per l’occasione si terranno delle porte aperte questo sabato dalle 9 fino alle 14. «Abbiamo organizzato questo evento – spiega il direttore Alain Kaelin – perché da un lato pensiamo che il centro sia un tassello importante della sanità ticinese, e c’è dunque il nostro desiderio di mostrare i risultati raggiunti. Dall’altro vogliamo renderlo più vicino alla popolazione il cervello umano e le sue malattie». Inaugurato nel 2009, si tratta dell’unico centro per il trattamento di malattie neurologiche e neurochirurgiche – come ictus, Alzheimer e Parkinson – della Svizzera italiana, nonché il neurocentro più importante dopo quelli all’interno degli ospedali universitari. Qui inoltre vengono svolte importanti ricerche nel campo, vengono formati medici e assistenti, e dal 2020, con l’avvio della facoltà di Biomedicina, anche di studenti universitari. Un’occasione dunque per conoscere meglio questo polo d’avanguardia, con diverse postazioni e workshop, per scoprire terapie e tecnologie legate alla neurologia.
«Un aspetto molto importante per noi, nonché una delle motivazioni che hanno portato alla creazione del Neurocentro – prosegue Kaelin – è lo sviluppo tecnologico e scientifico al servizio del paziente, ossia cercare di essere sempre aggiornati. Sabato sarà ad esempio possibile vedere una dimostrazione del ruolo della robotica nella medicina moderna grazie a un robot chirurgo. Un’altra branca della medicina a cui ci dedichiamo molto è quella del sonno: siamo infatti uno dei pochissimi neurocentri in Svizzera ad avere un centro dedicato per la ricerca sul sonno, in cui non vengono solo trattati i disturbi, ma dove li tema viene affrontato sotto ogni aspetto. Ci sarà infatti una postazione dove daremo delle indicazioni su una buona igiene del sonno, basata sulle più moderne ricerche. Un’altra postazione riguarda invece il centro del dolore, dove sarà presente anche uno stand sulla medicina cinese. Riteniamo infatti che l’agopuntura possa essere un’efficace terapia nei casi di dolore cronico». Non mancheranno poi possibilità di svago e divertimento, come atelier dedicati ai bambini e alle famiglie, e lo spettacolo del mentalista Daniele Er.
Kaelin è direttore del Neurocentro di Lugano dal 2014, e in questi anni ha avuto modo di assistere in prima persona ai cambiamenti avvenuti nel settore. «A causa dell’invecchiamento della popolazione – spiega il professore – oggi assistiamo a un aumento delle malattie neuro-degenerative come l’Alzheimer o il Parkinson, e quindi anche da parte della popolazione e della politica c’è una presa di coscienza dell’importanza di questo tipo di medicina. Questo ha portato anche a un’evoluzione delle cure, e oggi abbiamo terapie che dieci anni fa nemmeno esistevano, come anche per esempio quelle per curare l’emicrania».
«Queste nuove terapie però vanno a creare bisogni che prima non c’erano – prosegue –. Ad esempio con le malattie genetiche rare, un tempo non avevamo cure adeguate, e quindi non c’era nulla da fare, mentre oggi con la rivoluzione delle prime terapie genetiche abbiamo molti più strumenti a disposizione, e quindi più persone da curare. Un altro esempio sono alcuni disturbi del sonno che dieci anni fa non sapevamo nemmeno esistessero, mentre ora possono essere trattati. È aumentata l’offerta di terapie, e di conseguenza è aumentata anche la domanda da parte della popolazione».
Questo quanto fatto sin qui. Come sarà invece il futuro della neuromedicina? Il professor Kaelin identifica tre sfide principali: il progresso scientifico atto a trattare malattie croniche; la sostenibilità del sistema sanitario; e infine lo sviluppo di tecnologie ‘patient-friendly’, ossia che vadano maggiormente incontro ai bisogni dei pazienti. «Dobbiamo riuscire a curare meglio e più in fretta le malattie croniche come Alzheimer e Parkinson – afferma –, allo stesso modo come oggi riusciamo a fare abbastanza bene con epilessia e la sclerosi multipla. Però dobbiamo anche fare in modo che queste terapie siano sostenibili dal paziente e dalla società. Ad esempio le terapie genetiche che ho già citato sono incredibilmente care, e quindi la sfida sarà fare in modo di trovare la massima qualità, pensando però alla popolazione e alla società, non concentrandosi unicamente sui risultati scientifici. E questo ci porta anche allo sviluppo di tecnologie più ‘patient-friendly’, che si concentrino veramente sul migliorare la qualità di vita dei pazienti nel quotidiano, e non solo a curarli in ospedale. Un esempio che mi viene in mente è un esoscheletro messo a punto dall’Università di Losanna, che aiuta i pazienti paraplegici a muoversi, e noi stessi stiamo collaborando con il Politecnico di Zurigo per un progetto simile da indossare sulla mano, rivolto alle persone che hanno subito un ictus»