A confronto la supplente in carica Silvia Tagliati e la ex consigliera comunale Giovanna Viscardi. L'elezione popolare è prevista il prossimo 24 novembre
Ci sono due donne in lizza per la carica di giudice di pace del Circondario Lugano Est. La cittadinanza è chiamata alle urne il prossimo 24 novembre e dovrà scegliere tra Silvia Tagliati e Giovanna Viscardi. La prima è la supplente in carica alla giudicatura di pace dello stesso Circondario dal 2020 e, di fatto, nell’ultimo anno, ha assunto la gestione di tutte le pratiche in entrata dopo le dimissioni, per motivi di salute, di Fabrizio Demarchi. La seconda è la ex deputata in Gran Consiglio ed ex consigliera comunale di Lugano (Plr). Abbiamo rivolto tre domande alle due contendenti per il ruolo di magistrato, che funge da autorità di conciliazione e giudica in prima istanza le controversie patrimoniali fino a 5mila franchi, con la possibilità di sottoporre alle parti una proposta di giudizio.
Perché vi siete candidate e quali sono i requisiti indispensabili per un giudice di pace?
Viscardi: Sin dall’inizio del mio percorso formativo, la mia vocazione era quella – una volta laureata e ottenuto il brevetto di avvocato – di poter assumere un ruolo che mi permettesse di applicare il diritto in modo equo, indipendente e al servizio di tutti. Dopo 20 anni dedicati alla politica cantonale e comunale, e quasi 30 alla giurisprudenza (tra studi universitari, master, pratica legale, alunnato giudiziario in Pretura e attività di avvocato) ho ritenuto che questo fosse il momento giusto per proporre la mia candidatura. Oltre alla conoscenza della materia, un buon Giudice di pace dovrebbe possedere una spiccata propensione all’ascolto, alla comprensione e al dialogo, una profonda sensibilità e una particolare attenzione ai reali bisogni delle parti.
Tagliati: In questi quattro anni sono stata giudice di pace supplente della Giudicatura di pace di Lugano Est e nell’ultimo anno ho svolto la funzione di giudice titolare. Ho potuto così acquisire una solida esperienza grazie al numero elevato di procedure trattate. La molteplicità delle cause che siamo chiamati a dirimere necessitano grande impegno, empatia, capacità di ascolto ed equilibrio, doti messe in campo nel corso di questi anni che mi hanno spinta a mettermi in gioco per poter continuare a svolgere con passione questa funzione. La serietà e la responsabilità che mi caratterizzano, oltre all’esperienza maturata e alle competenze specifiche acquisite grazie alla formazione continua e al corso specifico per i giudici di pace seguita presso il Centro di competenze tributarie e giuridiche della Supsi, mi hanno convinta a candidarmi. Le qualità che ritengo debba avere il giudice di pace sono molteplici. Si tratta di un’occupazione complessa e delicata che mette a confronto persone che vivono spesso situazioni di difficoltà. Reputo importante avere una buona capacità d’ascolto e di mediazione, indispensabili per facilitare le persone a dialogare e trovare una soluzione che le soddisfi. Sono caratteristiche che si avvicinano molto a quelle fondamentali anche per l’attività di assistente sociale che svolgo con grande soddisfazione da oltre 20 anni.
I magistrati vengono scelti dal Gran Consiglio e l’appartenenza politica è un fattore determinante. Invece, in caso di più di una candidatura, il giudice di pace viene eletto dal popolo. Secondo voi, che rilevanza può avere l’appartenenza a un partito piuttosto che a un altro per la funzione di giudice di pace?
Tagliati: Al giudice popolare è chiesta vicinanza, imparzialità ma soprattutto indipendenza. Sono convinta, a prescindere dall’appartenenza o meno a un partito, che l’elezione popolare permetta ai cittadini di scegliere la persona che sentono a loro più vicina, che stimano e che sono convinti disponga delle qualità necessarie per svolgere adeguatamente questo delicato compito. L’esperienza mi suggerisce che, a patto che abbia un forte senso della giustizia e del dovere, il giudice laico adeguatamente preparato, sia la persona più adatta al ruolo.
Viscardi: Ogni Giudice, però, pur serbando un approccio umano e sensibile, deve sempre mantenere una corretta equidistanza e indipendenza, e fondare il proprio convincimento su criteri oggettivi, scevri da condizionamenti esterni. In Gran Consiglio ho sempre sostenuto un sistema di nomina che si basasse sul merito e sulle competenze dei candidati e non sull’appartenenza politica. Non posso che confermare questa convinzione, ancor più per quanto riguarda una figura popolare come quella del Giudice di pace.
Quali cambiamenti dovrebbe introdurre la riorganizzazione delle giudicature di pace, uno dei capitoli della riforma ‘giustizia 2018’ voluta dal direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi?
Viscardi: Ritengo che la prospettata riduzione del numero dei Circoli e il conseguente incremento della mole di lavoro per ogni giudicatura, debbano necessariamente condurre a una maggiore professionalizzazione della figura del Giudice di pace, per garantire una giustizia efficiente e tempestiva.
Tagliati: Prima di soffermarmi sui cambiamenti che auspicherei, vorrei porre l’accento su quello che andrebbe mantenuto. Il Consiglio di Stato ha ribadito la volontà di continuare a far capo ai giudici di pace laici eletti dal popolo, ai quali riconosce l’impegno e la passione che uniti a un’adeguata formazione garantiscono una giustizia di qualità. Sono convinta che quest’ultima sia una scelta condivisa anche dalla popolazione. Il giudice laico è vicino alla gente, sa comunicare con semplicità e in modo comprensibile. Le cittadine/i ci chiedono questo. Lo sperimento giornalmente. Con la riforma si andrà verso una riduzione del numero delle giudicature, aspetto che condivido poiché attualmente alcune giudicature sono poco sollecitate. Una certa concentrazione favorirebbe una più equa distribuzione del numero di incarti; tuttavia, sarà importante tenere presente il fattore prossimità poiché i cittadini, anche in zone discoste, devono poter far capo facilmente a un giudice di prossimità.