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Wir ‘è consapevole dei rischi’ nel crack Adria

L'avvocato Eero De Polo chiede il proscioglimento dalle accuse all'ex direttore di filiale, che non aveva le responsabilità della concessione dei crediti

Il cantiere abbandonato a Breganzona
(Ti-Press/Archivio)
24 settembre 2024
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La scena è tutta per le difese anche oggi, nel secondo giorno della quarta settimana del maxi–processo in corso nella sala del Consiglio comunale di Paradiso sul caso Adria Costruzioni e la presunta truffa di oltre venti milioni di franchi ai danni di banca Wir. Dapprima, è stato l’avvocato Eero De Polo, legale di Yves Wellauer, 55enne, ex direttore della succursale luganese dell'istituto di credito a continuare l’arringa cominciata lunedì. A fine giornata ha iniziato il suo intervento Carlo Borradori, legale di Filippo Cambria, 34enne dirigente di Adria Costruzioni e delle altre società riconducibili alla famiglia.

‘Nessuna simulazione di mezzi propri’

Ieri, l’avvocato De Polo si è concentrato sul diritto bancario e sulla separazione dei poteri e delle competenze, che ogni istituto di credito deve ossequiare, rispetto all’ipotesi di truffa a carico del suo assistito. Oggi, il legale ha messo sotto la lente tutte le immobiliari contenute nell’atto d’accusa. A cominciare da quella di Breganzona, per la quale, ha proseguito De Polo, la richiesta di credito non è stata allestita da Wellauer, ma da un altro alto funzionario di Basilea, come ha confermato a verbale un dirigente di Wir attivo nella sede centrale. In questo caso, i mezzi propri per finanziare l’impresa provenivano dalle società dei Cambria, com’era una prassi consolidata in banca Wir. De Polo ha ribadito che non spettava a Wellauer controllare i mezzi propri e nemmeno verificare le vendite o le riservazioni delle quote per finanziare l’operazione immobiliare. De Polo non ha mancato di rilevare, ancora una volta, le lacune delle persone preposte a esaminare dettagliatamente ogni passaggio prima e dopo la liberazione del credito di costruzione, questo dimostrerebbe che Wellauer non ha nulla a che fare con i crediti concessi alle società dei Cambria.

Mazzette? ‘No, accettazioni di doni’

L’avvocato di Wellauer esclude l’ipotesi di reato di truffa prospettata al suo assistito: è troppo semplicistica e senza il supporto di prove la teoria accusatoria quando evoca la violazione del rapporto di fiducia tra il direttore di filiale e alcuni dirigenti della banca che avrebbero abbassato le difese della banca sulla base delle affermazioni di Wellauer. Rispetto alle mazzette che ha ricevuto l’ex direttore di filiale dai Cambria (svariate decine di migliaia di franchi) ma anche da altri impresari, queste, ha affermato De Polo, non sono legate alla concessione di crediti, proprio perché non era Wellauer a liberarli. L’avvocato ha pure messo in evidenza, che alcuni dirigenti di Wir avevano accettato sia la prassi delle mazzette, che la modalità di usare soldi ricevute nell’ambito di precedenti richieste di credito per finanziare una nuova operazione immobiliare. Non vi sono prove che Wellauer, in cambio dei soldi ricevuti, abbia facilitato l’ottenimento di crediti, visto che non erano di sua competenza e non aveva alcun potere di apprezzamento. Al limite, per De Polo, si potrebbe parlare di accettazione di doni, fatto che non ha rilevanza penale nell’ambito privato della corruzione.

‘Verifiche lacunose e controlli carenti’

In seguito, l’avvocato ha messo sotto la lente le due operazioni di Paradiso e quella di Pregassona: ha parlato di violazione del principio accusatorio e ha sottolineato come Wellauer non fosse a conoscenza dei mezzi propri dei promotori e di come sia stata finanziata l’impresa. Del resto, l’avvocato ha anche posto l’accento sul fatto che Wir concedesse crediti anche senza che i promotori mettessero mezzi propri, quando l’operazione veniva considerata ‘autoportante’, cioè fondata finanziariamente sulle prevendite degli appartamenti da edificare. La competenza del controllo, pure questa volta, ha detto De Polo, spettava a Basilea: le varie istanze di verifica, avrebbero dovuto chiedere i rogiti, ma i vertici hanno autorizzato il credito, senza un doppio controllo e di fronte a semplici riservazioni dei clienti, per cui banca Wir è consapevole dell’assunzione del rischio ed è corresponsabile. Nemmeno nell’operazione di Melano, «l’ex direttore della filare non sapeva della provenienza dei mezzi propri, si fa aiutare nella preparazione della domanda di credito da un dirigente dell’istituto di Basilea. I mezzi propri provengono da un conto Ubs intestato ai Cambria, cosa che non è considerata fuori luogo da Wir. Addirittura, è lo stesso Wellauer a chiedere di controllare al Back Office che gli risponde: ‘è tutto a posto’», ha osservato De Polo.

Riva San Vitale, ‘banca in contraddizione’

Più o meno lo stesso discorso viene proposto per il cantiere di Novazzano, dove avrebbe dovuto sorgere l'Adria Village e per le altre operazioni citate nell’atto d’accusa. De Polo ha contestato, per un caso, le indagini occulte del Ministero pubblico, che l’ha condotta all’insaputa dell’imputato, il quale non ha potuto difendersi. Questo fatto rappresenta una crassa violazione del principio accusatorio, come l'inchiesta sull’operazione di Riva San Vitale: nessuno dei dirigenti del Back Office di Basilea è stato sentito dagli inquirenti. Non solo. «Le posizioni di banca Wir, nella causa civile tuttora aperta, sono in contraddizione e diametralmente opposte con le tesi sostenute in questo dibattimento, già questo annienta l'ipotesi accusatoria», ha affermato De Polo, secondo il quale, il 55enne ex direttore della filiale, nei confronti del quale la procuratrice pubblica ha chiesto 7 anni di prigione e la carcerazione di sicurezza, dev’essere prosciolto da tutte le accuse. Di conseguenza, sono da respingere ed eventualmente rinviare al Foro Civile le pretese di risarcimento della banca, la cui corresponsabilità è stata dimostrata, ha sostenuto De Polo, che ha evidenziato l’indennizzo ricevuto Wir dall’assicurazione a riparazione del danno, la cui quantificazione è peraltro contestata. L’avvocato ha ritenuto esorbitanti le parcelle legali di Wir (oltre 2,3 milioni di franchi) e si è opposto alla richiesta di carcerazione di sicurezza: «Sbalorditiva, poggia su accanimento ingiustificato ed è priva di fondamento».

‘105 milioni in poco più di un anno’

L’arringa di Borradori entrerà nel vivo domani. Intanto, il legale di Filippo Cambria, nei confronti del quale la pp ha chiesto sei anni e quattro mesi di reclusione, più la carcerazione di sicurezza, ha elogiato gli interventi degli altri avvocati che hanno posto forti dubbi sulle tesi dell’accusa basata su un presunto connubio d’intenti tra Cambria e Wellauer. Traballa, quindi, secondo l’avvocato, la truffa ai danni della banca perché manca il requisito dell’inganno astuto e c’è corresponsabilità di Wir. Inoltre, Borradori ha sottolineato come in almeno altri due cantieri (Ponte Tresa e Losone, non indicati nell’atto d’accusa), le società dei Cambria hanno portato a termine i lavori operando con la banca con le medesime modalità: hanno ottenuto i crediti di costruzione, senza aver finto di avere mezzi propri e senza che Wir rilevasse anomalie, malgrado le carenze nei controlli. Gli altri cantieri sono stati lasciati a metà per via degli arresti ordinati dalla Procura. Eppure, nel giro di un poco più di un anno, tra il 2014 e il 2015, i Cambria hanno ricevuto da Wir 105 milioni di franchi, ha messo in evidenza l’avvocato.

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