Processato a Lugano un 20enne, accusato di diverse aggressioni ed estorsioni, spesso a danno di minorenni
«Si constata uno stato di degrado nell’ambiente in cui i fatti, contenuti nell’atto d’accusa, si sono svolti. Persone giovani, senza lavoro e che non vanno a scuola, che bighellonano per le strade con scopi poco salubri, come il commettere reati e consumare stupefacenti. La società tutta si deve interrogare: non è questo che ci si deve aspettare dai propri giovani». Queste le parole del giudice Mauro Ermani, alla conclusione del processo a carico di un 20enne, che si è svolto questa mattina davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano. Una storia di delinquenza giovanile, con l’apice raggiunto nel giugno del 2023, quando l’imputato, insieme al fratello minorenne, ha pestato selvaggiamente un altro giovane alla pensilina dei bus di Lugano. Questo perché la vittima “lo aveva guardato male”. Per questo, e molte altre imputazioni, il 20enne – in esecuzione anticipata della pena dal 18 dicembre – è stato condannato a una pena detentiva di 36 mesi, dei quali 24 per 4 anni, una pena concordata tra le parti dal momento che l’imputato ha ammesso interamente i fatti.
Oltre al pestaggio in pensilina, il 20enne, rappresentato dall’avvocato Arturo Garzoni, è stato inoltre condannato per diversi casi di estorsione, avvenuti tra Chiasso e Mendrisio, e spesso a danno di minorenni. «È stato definito lo spauracchio del quartiere – ha detto Ermani –, che trattava le persone come cani». Nell’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis, si leggono infatti ben sette occasioni in cui avrebbe minacciato ed estorto soldi a diverse persone, due casi di lesioni semplici (ai quali va aggiunta l’aggressione avvenuta a Lugano), e diverse violazioni alle norme della circolazione e guida in stato di inettitudine, oltre allo spaccio e al consumo di ingenti quantitativi di hashish.
Secondo la Corte e gli avvocati stessi, il giovane ha però mostrato sincero pentimento per il suo trascorso, e si è detto pronto a risarcire economicamente le proprie vittime. «Il carcere mi ha fatto cambiare atteggiamento – ha detto in aula – ho smesso di usare erba che mi offuscava il pensiero, e questo ambiente mi ha fatto riflettere sul tipo di vita che voglio fare». Durante la sua carcerazione, l’imputato ha chiesto sua sponte di seguire un percorso psicoterapeutico, e ha espresso l’intenzione di continuare la terapia anche fuori dal carcere. Ma, come ha ricordato Ermani, «il carcere è un ambiente protetto, la parte dura inizia ora, nel mondo reale».