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Dieci anni di inchiesta per un ‘buco’ di oltre 800mila franchi

Operatore finanziario compare in aula penale con l'accusa di aver danneggiato il patrimonio di clienti e di due fondazioni. La sentenza è attesa venerdì

Venerdì si torna in aula
(Ti-Press)
9 luglio 2024
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Quasi 10 anni di inchiesta e il ruolo dell’imputato, presentatosi oggi di fronte alla Corte delle Assise correzionali di Lugano, non è ancora chiaro. Per la procuratrice pubblica Chiara Borelli, che accusa il 56enne di amministrazione infedele aggravata, era il gestore di un fondo speculativo, mentre l’avvocato della difesa Nadir Guglielmoni ha affermato il contrario sostenendo che era solo un consulente.

Il dubbio sul ruolo avuto dall’imputato in una storia capitata dall’ottobre 2011 all’ottobre 2014 in città. Stando all’atto d’accusa, l’uomo avrebbe danneggiato il patrimonio di suoi clienti, ricevendo una commissione del 4% per la sottoscrizione di un fondo di investimento e causando un danno di 95mila euro. Nel contempo, l’imputato “ha abusato della qualità di rappresentante del fondo”, cagionando un ulteriore danno di 500mila euro e di poco oltre 300mila franchi.

Durante l’interrogatorio, il 56enne ha cercato di spiegare il suo ruolo nella vicenda: «Io studiavo il prodotto per una società e cercavo di fornire il tasso d’interesse migliore. Tutti questi investimenti erano speculativi e i clienti erano informati, sono sempre stato chiaro con loro. Sapevano che lavoravo con certificati e che potevano perdere anche buona parte del patrimonio investito». Come ha spiegato l’imputato, era lui a presentare questo hedge fund ai possibili clienti tra cui anche a due fondazioni del luganese: «Ero stato invitato da loro a presentare il mio modus operandi e nessuno aveva avuto da ridire». Sollecitato dal giudice Siro Quadri, il 56enne ha sottolineato che non era lui a firmare le sottoscrizioni: «Io ero un advisor, proponevo i contratti al gestore che poi li firmava. Non ho mai avuto la gestione del fondo neanche dopo i fatti».

Nella requisitoria, la pp ha invece rimarcato la sua posizione: «Il 56enne era il gestore de facto: parlava di vendita, di acquisti, monitorava la liquidità e i rischi. Nelle email nelle quali proponeva le transazioni, scriveva ‘acquista’, ‘vendi’, non ‘ti consiglio di ...’. Aveva un’autonomia importante e necessitava solo di un benestare pro forma. Non è un caso se prima del suo arrivo la società non proponesse questa tipologia di investimenti». La proposta di pena è stata di 8 mesi sospesi con la condizionale per due anni.

L’avvocato difensore, invece, ha sottolineato che se fosse considerato un «gestore de facto», dovrebbe essere accusato di «abuso di rappresentanza e non di amministrazione infedele». Inoltre «scriveva continuamente al gestore e in un caso aveva provato a contattare direttamente lui la banca, ma gli avevano risposto che non poteva fare lui gli ordini». L’avvocato ha pertanto chiesto il proscioglimento. La sentenza è prevista per venerdì.