Un 34enne afghano si oppone all'espulsione, l'accusa chiede la conferma, sentenza fra un mese
Un passato piuttosto tormentato nel Medio Oriente, l'imputato si trova in Ticino dal 2015 ed è balzato alle cronache per due gravi fatti di violenza, che gli sono valsi una condanna a 30 mesi di carcere per lesioni gravi, lesioni e infrazione alla legge sugli stupefacenti. È reo confesso, ma si oppone all’espulsione dalla Svizzera. Così, un 34enne afghano è comparso, per gli stessi fatti, la quarta volta in aula penale. Dovrà attendere ancora un mese per conoscere il suo destino.
Un individuo pericoloso? Sicuramente, per la pubblica accusa, ma anche per il giudice di primo grado, che aveva decretato l'espulsione. A cui però si è opposto, a due riprese, tornando così davanti alla Corte di appello e di revisione penale (presidente Giovanna Roggero Will, a latere Rosa Item e Manuela Frequin Taminelli) per esporre i timori riguardo la propria incolumità nel caso di un rimpatrio.
In mancanza di documenti, la vita anteriore è stata scritta sulla base delle affermazioni fatte dallo stesso 34enne. Che oggi ha moglie e due figli adolescenti, che vivono tra Iran e Afghanistan. Pure suo padre si è spostato in Iran, «perché è molto malato e tutti fuggono dall'Afghanistan» ha detto. «Io sono partito nel 2014. Facevo il poliziotto locale, dovevo fare tre anni ma ne ho fatti solo 2 e mezzo. Poi sono partito perché i talebani mi minacciavano di morte. Mi dicevano: tu lavori per gli americani e per il regime di Kabul. Così sono andato in Iran, ma mi hanno mandato in Siria».
Nei precedenti processi si era accennato a un suo coinvolgimento dell'esercito islamico dell'Isis. La Corte chiede: è andato a combattere in Siria? «Io ero in mano della polizia iraniana, e loro fanno quello che vogliono. O mi rimandavano in Afghanistan, o mi spedivano in Siria, dove poi mi hanno portato. Sono stato là quattro mesi. In quel Paese sono rimasto ferito dall'esplosione di una granata» dice mostrando la zona delle sopracciglia. «Mi hanno portato in ospedale in Iran. Era la fine del 2014». Quindi la ‘fuga’ in Europa. Nel 2015 arriva a Chiasso e chiede lo statuto di rifugiato, che gli viene negato.
La procuratrice pubblica Valentina Tuoni chiede la conferma dell'espulsione, obbligatoria per uno straniero condannato per lesioni gravi, e la clausola di rigore non trova applicazione. Il suo interesse a rimanere in Svizzera non prevale su quello della pubblica sicurezza.
I fatti sono presto descritti, e risalgono al 2023. Il primo episodio di violenza, il più grave, accadde all'esterno di una discoteca del centro di Lugano, accanto al quartiere Maghetti, il 9 aprile dello scorso anno; il secondo successe invece al Parco Ciani il 28 luglio. Due pestaggi, sostanzialmente, di quelli pesanti dal momento che l'imputato infierì contro due persone già a terra. La prima vittima che ha subito parecchie percosse durante la rissa scoppiata fuori dalla discoteca, venne definita clinicamente in pericolo di vita, tanto che l'accusa parlò di un tentato omicidio, pugni e calci anche quando era inerme a terra. Vi è pure l'accusa di spaccio di cocaina, che l'imputato avrebbe commesso per sostenere il proprio consumo, dato la ‘paghetta’ di 500 franchi al mese - l'imputato aveva svolto lavori di pubblica utilità, come la pulizia di strade e sentieri - non sarebbe bastata.
L'uomo è reo confesso nei fatti di violenza, mentre contesta parzialmente quelli legati alla cocaina, e sta scontando la pena in carcere. Ma sostanzialmente resta il dubbio di un rischio di persecuzioni nel caso di un rimpatrio, acuito dalla sua appartenenza all'etnia Hazara e al precedente impiego di poliziotto per il passato regine. Motivi più che sufficienti per evitare l'espulsione e il rimpatrio, secondo l'avvocato difensore Carmelo Furnari. Ma per la procuratrice Valentina Tuoni: «Il quesito deve essere oggetto di una valutazione delle competenti autorità amministrative chiamate all'esecuzione della sentenza» ha detto, ricordando una recente sentenza con cui il Tribunale federale ha avallato l'espulsione di un imputato proveniente dall'Afghanistan. La sentenza giungerà, ha anticipato la Corte, non prima della fine di luglio.