Luganese

Tra moglie e marito, la giustizia ci mette la condanna

Inflitti sette mesi di carcere sospesi con la condizionale a un 39enne, perché ha disatteso il divieto di avvicinarsi alla consorte

I fiori d’arancio non sempre sbocciano
(Ti-Press/Archivio)
17 aprile 2024
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Finisce in tribunale la controversia tra una coppia. I due si sposano, hanno due figli, poi la relazione peggiora. Al punto che arrivano a una separazione inizialmente conflittuale: la donna ha paura, allerta ripetutamente la polizia e ottiene da parte del pretore di Lugano il divieto di avvicinamento nei confronti del consorte che, però, lo ha disatteso. Quindi ai polsi dell’uomo scattano le manette, dopodiché gli tocca trascorrere oltre due mesi in detenzione preventiva. Nel frattempo, il marito si sottopone a trattamenti psicoterapeutici per curare la sindrome affettiva bipolare di cui soffre.

L’imputato e la sindrome affettiva bipolare

Nel processo celebrato di fronte alla Corte delle Assise correzionali di Lugano, le parti hanno riconosciuto che la malattia dell’imputato ha giocato un ruolo determinante in quanto successo nella coppia. La sindrome affettiva bipolare viene descritta, da alcuni siti specializzati, come un disturbo dell’umore caratterizzato da una sorta di affettività altalenante tra periodi di euforia, con momenti di grande felicità e amore verso il partner, e fasi di depressione, rabbia o tristezza profonda. Un’alternanza umorale non innescata da comportamenti specifici del compagno, rispettivamente dalla compagna, ma senza una ragione apparente. Ebbene, come emerso dal dibattimento l’imputato ha preso coscienza della sua malattia e ha cominciato a sottoporsi a sedute psicoterapeutiche, assumendo anche farmaci, nell’ambito di un trattamento ambulatoriale ordinato nei suoi confronti dal procuratore e confermato dal Giudice dei provvedimenti coercitivi.

Colpevole di coazione e disobbedienza

Nei confronti del 39enne, quando è stato scarcerato (il 22 novembre dell’anno scorso), sono state adottate le misure sostitutive all’arresto per una durata di tre mesi, termine poi prorogato fino al 22 aprile. Tra queste misure spicca il divieto assoluto di contattare personalmente, o tramite altre persone, direttamente o indirettamente, la moglie. In aggiunta, all’uomo è stato vietato di avvicinarsi a meno di 200 metri dalla sua abitazione, che si trova in un paese del Luganese e, come detto, l’obbligo di sottoporsi a un trattamento medico e a un controllo. È stato proprio il ripetuto mancato rispetto del divieto di avvicinamento, intimato in precedenza dal pretore all’imputato, a costargli la condanna penale, per ripetuta coazione, a sette mesi sospesi con la condizionale. Il 39enne si era infatti avvicinato a più riprese alla moglie dalla quale si era separato, una volta perfino nel giardino della casa in cui i due vivevano. Perciò l’uomo è stato riconosciuto colpevole anche di violazione di domicilio e di ripetuta disobbedienza a decisioni dell’autorità.

L’uomo vorrebbe tornare a fare il padre

Tuttavia, durante il processo, è emersa anche la volontà dell’uomo di tornare a fare il padre delle due figlie della coppia e di sanare i passati conflitti con la moglie. Malgrado l’avvio della causa per il divorzio, il 39enne si è detto disposto a coprire le spese legali della consorte (di circa 5’000 franchi), ha sostenuto di stare bene, anche se il divieto di avvicinamento gli impedisce di fare il padre e di vedere più spesso le figlie. Per il futuro prossimo le visite saranno accompagnate da una persone preposta al controllo. Nell’arringa Massimo Quadri, il suo avvocato, dopo aver riconosciuto le pretese dell’accusatore privato (il legale della moglie), ha chiesto alla corte di togliere il divieto di avvicinamento e nei confronti del suo assistito, che nel frattempo è stato curato, ha invocato una pena massima di sei mesi sospesi con la condizionale.

C’è un pericolo di recidiva

Dal canto suo, il procuratore pubblico Zaccaria Akbas ha chiesto una pena di otto mesi sospesi con la condizionale e il mantenimento del divieto di avvicinamento. Il rappresentante dell’accusa, pur riconoscendo i miglioramenti dell’imputato, ha invece chiesto al giudice di mantenere il divieto, anche perché ha messo in evidenza che sussiste un pericolo di recidiva. Dal suo punto di vista, è troppo presto per eliminarlo. Il procedimento penale è stato avviato in seguito a un crescendo di situazioni che hanno messo in difficoltà la donna che ha avuto paura e ha chiamato più volte le forze dell’ordine, quando l’uomo non riconosceva di soffrire del disturbo. In quel periodo l'uomo aveva assunto comportamenti intimidatori nei confronti della donna costringendola a modificare le sua abitudini. Per questi motivi e alla luce dei precedenti penali specifici (due decreti di accusa, con pene pecuniarie sospese), Akbas ha definito spiacevoli i reati commessi dal 39enne, attenuati però di una scemata imputabilità di grado medio.

Il giudice Quadri: ‘Prognosi favorevole’

Nella breve motivazione della sentenza, il presidente della corte, giudice Siro Quadri, ha riconosciuto i passi avanti e il percorso di risocializzazione del 39enne, che ha trovato un posto di lavoro e si è già sottoposto a un opportuno trattamento medico-psichiatrico. Nei confronti dell’uomo, dunque, la prognosi è favorevole ma Quadri, per il momento, non se l’è sentita di eliminare il divieto di avvicinamento alla moglie. Un divieto sul quale dovrà e potrà prendere posizione l’autorità regionale di protezione, quando lo riterrà più opportuno.