A processo a Lugano, una coppia di coniugi per un giro di prostituzione sventato nel 2022. Chiesti fino a 2 anni di detenzione
È accusata di aver portato in Ticino almeno sette donne cinesi, facendole lavorare per lei come prostitute, ma secondo la difesa si sarebbe solamente occupata di far loro pubblicità su appositi siti internet e fornire supporto logistico, in cambio di una parte degli introiti. Presente insieme a lei – cittadina cinese di 44 anni – in aula, anche il marito – cittadino italiano 50enne –, accusato di aver agito da complice. Durante il dibattimento, svoltosi quest’oggi davanti alla Corte delle Assise correzionali di Lugano presieduta dal giudice Siro Quadri, i due imputati non hanno proprio dato prova di coerenza e collaborazione, entrambi contraddicendo e negando affermazioni rilasciate durante gli interrogatori. Per le imputazioni di usura per mestiere, promovimento della prostituzione, incitazione all’entrata e impiego di stranieri sprovvisti di permesso, la procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis ha chiesto 24 mesi di detenzione per lei e 11 per lui, con la condizionale per due anni, oltre all’espulsione dalla Svizzera per cinque anni.
I fatti riportati nell’atto d’accusa risalgono al periodo tra il 10 ottobre e il 5 dicembre 2022. Il giro di prostituzione è stato scoperto grazie alla segnalazione del custode di un condominio in via Crocetta a Viganello, che aveva segnalato alla polizia un via vai sospetto di uomini da un appartamento, dove risiedeva una donna asiatica, che si rivelò poi essere una delle prostitute che avrebbero lavorato per l’imputata. In aula penale, è emerso che queste donne venivano ‘reclutate’ dalla 44enne tramite annunci su un sito cinese, e una volta giunte in Ticino, lei provvedeva a trovare loro gli alloggi in cui prostituirsi o svolgere massaggi erotici, fornendo loro anche i beni di prima necessità, facendosi, secondo la tesi della pp, aiutare dal marito, che in un’occasione avrebbe anche funto da accompagnatore di una di queste. In cambio, loro le cedevano il 50% dei loro ricavati, che fatturavano ai clienti con una tariffa di 150 franchi per mezz’ora di prestazione, arrivando, sempre secondo l’accusa, a racimolare un guadagno netto di 5’600 franchi.
Mentre l’accusa ritiene che la donna stabilisse il tariffario e i clienti delle sue ‘sottoposte’, la tesi degli avvocati difensori Elisa Lurati e Massimiliano Parli sostiene che le donne coinvolte svolgessero già in precedenza il mestiere in Svizzera e altri Paesi europei, e che non ci sarebbe stato alcuno sfruttamento da parte dell’imputata. Lei le avrebbe semplicemente aiutate a trovare appartamenti e camere di albergo, oltre che a pubblicizzare i loro servizi sui portali dedicati. La sentenza verrà pronunciata venerdì 12 aprile.