Contestate le motivazioni della sentenza della Corte d'appello del Tribunale penale federale, perché sarebbero ‘in contrasto con la giurisprudenza’
«La sentenza è in contrasto con la giurisprudenza in vigore». È questa la ragione principale all’origine del ricorso al Tribunale federale, che verrà presentato dall’avvocato Daniele Iuliucci assieme al suo collega Simone Creazzo, della giovane di Vezia che il 24 novembre del 2020 accoltellò due donne alla Manor di Lugano. Un ricorso che contesta le motivazioni della sentenza della Corte d’appello del Tribunale penale federale (Tpf), che ha inasprito la pena nei confronti dell’accoltellatrice a dieci anni e mezzo, rispetto ai nove che le erano stati inflitti nel primo grado di giudizio. Ai giudici di Mon Répos verrà chiesto che la condanna torni a nove anni di reclusione.
Interpellato dalla ‘Regione’, l’avvocato Iuliucci spiega che di norma la giurisprudenza del Tribunale federale in vigore viene rispettata: «Ci pare dunque strano e non succede di frequente questo scostamento da parte della Corte d’appello del Tpf. Quindi noi (l’avvocato Iuliucci e il suo collega Simone Creazzo), per una questione di principio, ci rivolgeremo al Tribunale federale». Qual è il nocciolo della questione? «Come il Consiglio federale, nel suo messaggio, anche il Tribunale federale stabilisce che non c’è concorso tra il reato di tentato assassinio e l’articolo 2 della legge federale che vieta i gruppi ‘Al-Qaïda’ e ‘Stato islamico’ – risponde Iuliucci –. Allo stesso modo, per fare un esempio, l’assassinio di Mafia non viene punito in concorso con altri reati, perché il reato di lesione concreta ‘sopprime’ quello di messa in pericolo della vita altrui. Questo dice la giurisprudenza da anni». All’avvocato, insomma, la nuova interpretazione della Corte d’appello del Tpf pare un’assurdità, nonostante venga giustificato con il differente bene giuridico protetto, uno riguarda l’integrità e la vita, mentre l’altro concerne l’ordine pubblico.
Al Tribunale federale, però, da parte degli avvocati Iuluicci e Creazzo, verrà sollevato anche un altro aspetto, ossia il mancato accertamento, da parte della Corte d’appello del Tpf, della violazione dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali della Cedu, in merito alle condizioni di detenzione della donna condannata, (alla Farera in isolamento da tre anni, fino a poco più di un mese fa). Eppure, continua l’avvocato, «avevamo già sollevato la questione, tanto al giudice dei provvedimenti coercitivi quanto alla Corte d’appello del Tpf, ma quest’ultima ha ritenuto di non dover entrare nel merito, per cui contesteremo anche questo. Pare sia considerata una situazione normale che una donna sia detenuta alla Farera per tre anni. A noi pare non sia normale dal profilo del rispetto dei diritti fondamentali». Nel frattempo, dal profilo della lesione dei diritti fondamentali, continua l’avvocato Iuliucci, la faccenda è stata risolta grazie al Gpc e la donna è stata trasferita a Ginevra, nella struttura chiamata Curabilis, l’unica in Svizzera (con soli quattro posti per donne), dove finalmente potrà svolgere la misura terapeutica stazionaria che era stata ordinata nei suoi confronti.
La procuratrice federale Elisabetta Tizzoni, in rappresentanza del Ministero pubblico della Confederazione (Mpc), nel ricorso contro la sentenza di primo grado ha sostenuto anzitutto che la Corte penale abbia correttamente qualificato l’attentato sferrato dalla donna quale ripetuto tentato assassinio e quale atto terroristico ai sensi dell’articolo 2 della legge federale che vieta i gruppi ‘Al-Qaïda’ e ‘Stato islamico’. Secondo l’accusa, la Corte penale avrebbe tuttavia erroneamente ritenuto non sussistere, nel caso concreto, un concorso propriamente detto tra le due norme. La Corte d’appello del Tpf ha sostanzialmente dato ragione all’Mpc perché, come si legge, “nel caso concreto, con un solo atto, la donna ha realizzato gli elementi costitutivi sia del reato di ripetuto tentato assassinio (art. 112 CP) che della violazione dell’articolo 2 della Legge federale che vieta i gruppi ‘Al-Qaïda’ e ‘Stato islamico’”. Più precisamente, si legge, “l’atto commesso dall’imputata il 24 novembre 2020 non si è esaurito nell’aver tentato di assassinare due persone. Le modalità con le quali essa ha agito (scelta del luogo e delle vittime, parole proferite durante l’attacco) e i motivi che l’hanno spinta a passare all’atto (in particolare il desiderio di uccidere più «miscredenti» possibili e promuovere lo Stato islamico) vanno senza dubbio oltre a quella che è la particolare mancanza di scrupoli richiesta per la qualifica del reato di assassinio”.
La donna, lo ricordiamo, era stata condannata il 19 settembre 2022 a nove anni di prigione, dedotto il carcere preventivo sofferto e la pena anticipatamente espiata, dalla Corte penale del Tribunale penale federale di Bellinzona per ripetuto tentato assassinio, violazione della legge federale che vieta i gruppi “Al-Qaïda” e “Stato islamico” nonché le organizzazioni associate e ripetuto esercizio illecito della prostituzione. Le era stata inflitta pure una multa di duemila franchi e, nei suoi confronti, la Corte aveva ordinato il trattamento stazionario, sospendendo la pena detentiva. Secondo gli avvocati Iuliucci e Creazzo, nel processo di primo grado, si sarebbe trattato di un atto di violenza improvviso e improvvisato, quello andato in scena ai grandi magazzini cittadini di Lugano e, da questo punto di vista, non sarebbe stato neanche da considerare un atto terroristico effettivo. L’imputata, a causa delle gravi turbe psichiche che da anni la accompagnano, avrebbe immaginato di chattare con un jihadista, arrivando perfino a innamorarsene e a pianificare un viaggio, poi incompiuto, in Siria nel 2017.