Continua il progetto gestito dalla Protezione civile di Lugano campagna, servizio Beni culturali, in collaborazione con il Centro di dialettologia
Raccogliere voci e testimonianze che vanno a comporre il nostro patrimonio culturale immateriale. È questo l’obiettivo dell'Atelier della Memoria, progetto gestito dalla Protezione civile di Lugano Campagna, servizio Beni culturali, in collaborazione con il Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona. Nel corso dell'ultimo corso di ripetizione, alcuni militi hanno continuato il lavoro per allestire e ampliare il progetto nato ormai quasi vent'anni fa e che a oggi raccoglie una sessantina di interviste ad anziani della regione. La scorsa settimana ne sono state realizzate altre sette. Le Interviste possono essere ascoltate sul sito https://atelier.pciluganocampagna.ch/.
Le interviste agli anziani della regione, rigorosamente in dialetto e della durata di un'ora l'una, permettono di farsi un'idea di come fosse la vita dalle nostre parti un secolo fa. Nel secondo dopoguerra, e forse anche prima, le Guardie di confine avevano l’abitudine di ‘pelare’ i contrabbandieri. Tagliare loro i capelli in modo da poterli agilmente riconoscere nel caso fossero stati di nuovo presi in castagna, affinché non potessero dire no, guardi, è la prima volta che faccio questa cosa. È un ricordo tutto sommato innocuo in relazione a quegli anni di confine poroso, specie rispetto ad altri – c’è per esempio chi evoca con tristezza l’uccisione nei boschi di tre contrabbandieri, “ammazzati come cani nei monti, poveri diavoli” – ma che permette di farsi un'idea di come fosse la vita.
Se la prima intervista risale ormai al 2007 – all’astanese Assunta Bacchetta, che tra le altre cose evoca le usanze dei soldati polacchi internati in paese durante i primi anni Quaranta del Novecento – l’idea di realizzare quello che poi diverrà l’Atelier è ancora più antica. Come ricorda la stessa PCi in un comunicato, “bisogna tornare al 2002 e spostarci in Molise, dove la PCi Lugano Campagna era intervenuta a seguito di un violento terremoto per aiutare le autorità locali a mettere in sicurezza dei beni culturali”. È qui che Luigi De Micheli la espone all’attuale comandante del Consorzio, il tenente colonnello Claudio Hess, il quale, alla prematura scomparsa dell’amico, decide di rendere realtà il suo sogno, peraltro scontrandosi con alcune iniziali ritrosie interne, come spesso capita a progetti inediti, in primis per la necessità di creare un budget. Hess ricorda oggi con un sorriso che “per acquistare il primo registratore, che oggi varrà venti franchi, avevo dovuto chiedere tre offerte”.
Hess aggiunge che “una volta identificato chi vi avrebbe lavorato la cosa è esplosa”. Nel progetto sono impegnati Damiano Robbiani, Nicola Arigoni e Olmo Giovannini che nel civile lavorano in ambito archivistico, dialettale e storico; Pietro Bernaschina e Lorenzo Buccella, volti noti della televisione che hanno prestato servizio raccogliendo le testimonianze sul campo; e Andreas Zumthor, programmatore che dall’inizio si occupa del lato informatico delle cose e, non da ultimo, è l’autore del sito internet del progetto recentemente rinnovato. Dal 2015 è stato istituito un corso di ripetizione annuale dedicato proprio a curare e arricchire l’Atelier di nuove testimonianze. Il progetto è un unicum a livello svizzero nell’ambito della Protezione Civile.
Ai protagonisti delle interviste, alcuni nel frattempo deceduti, è stato sostanzialmente chiesto di raccontarsi. Ne sono nate conversazioni sui temi più disparati: dal già citato contrabbando – uno dei temi più presenti, a testimonianza della rilevanza che ha avuto, quantomeno nella memoria di chi l’ha vissuto – passando per le tradizioni religiose, le feste di paese, le tensioni fra Comuni vicini, la caccia e la pesca, la Seconda guerra mondiale, il lavorare nelle fabbriche di orologi, e molto altro ancora. Conversazioni che, come si legge sul sito internet, “aprono uno squarcio nella vita quotidiana dagli anni Venti al secondo Dopoguerra e che vanno a comporre il nostro patrimonio culturale immateriale”. Proprio in questo senso da qualche anno è in vigore una collaborazione con il Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona, che di suo ha pure un archivio delle fonti orali che risale agli anni Ottanta.