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Pannelli solari: verso uno smaltimento in Ticino

Si parla spesso del fotovoltaico come mezzo di transizione energetica, ma che fine fanno gli impianti una volta arrivati a fine vita? Parola agli esperti

In sintesi:
  • Il fotovoltaico ha vissuto un boom negli ultimi anni, diventando un tema di forte attualità
  • Tra gli aspetti ai quali dare una risposta: lo smaltimento dei pannelli. Attualmente si fa capo a centri all’estero, in particolare in Germania e Italia, ma un’iniziativa – e sarebbe una prima svizzera – vuole realizzarne uno sul territorio
Il solare rimane una delle fonti energetiche più sostenibile, anche al netto dello smaltimento
(Ti-Press)
26 aprile 2024
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Ora che sta tornando la calda stagione, riaffiora sempre di più il discorso dell’energia fotovoltaica. Di pannelli solari se n’è sentito parlare molto negli ultimi tempi, e tutto lascia pensare che se ne continuerà a parlare negli anni a venire. Che sia per crisi energetiche derivate da conflitti esteri, o per via dell’emergenza climatica, la ricerca di fonti di energia rinnovabile in Svizzera è sempre più incentivata dall’ente pubblico, e in generale il fotovoltaico sembra essere quello su cui si sta puntando maggiormente, con progetti che vengono proposti a cadenza regolare. Questi pannelli però non durano per sempre, e per quanto siano molto resistenti alle intemperie e duraturi nel tempo, prima o poi vanno smaltiti, e le aziende che se ne occupano, ne sono ben coscienti. «In Ail i primi pannelli sono stati posati nel 2012, quindi la questione dello smaltimento e rispettivamente del riciclaggio, viene monitorata – spiega infatti Mathieu Moggi, responsabile del settore energie termiche e rinnovabili della Ail Sa –. A oggi per tutti i pannelli viene pagata la tassa di riciclaggio anticipata (Tra), per una gestione responsabile dell’ambiente negli anni futuri». Lugano potrebbe presto giocare un ruolo chiave nell’ecosostenibilità dei pannelli in Svizzera, dato che proprio qui è in corso il progetto di creare il primo centro di smaltimento elvetico.

A oggi si fa capo a Germania e Italia

Al momento in Svizzera non è ancora presente un centro in cui smaltire i pannelli solari, ma solamente centri che si occupano di raccogliere i moduli fotovoltaici, per poi spedirli in Germania. Ma questo presto potrebbe cambiare, grazie a una ditta che diventerà operativa in Ticino, fra Lugano e il Sopraceneri. Come ci spiega Domenico Chianese, ricercatore per la Supsi che ne sta seguendo lo sviluppo, questa nuova realtà, chiamata Loboca e con sede legale proprio in città, al momento si appoggia a un’azienda di smaltimento di rifiuti elettronici a Cresciano, e collabora con una ditta di Biella per il riciclaggio dei pannelli, ma con l’obbiettivo di poter presto eseguire tutto il processo in Ticino. «Al momento sono in corso le pratiche – spiega Chianese – per ottenere le certificazioni della Sens e venir riconosciuto come centro di smaltimento».

Una volta avviata, la filiera non richiederà grandi spazi, dato che secondo Chianese esistono nel mondo già diversi esempi nei quali l’intero processo di smaltimento viene svolto all’interno di superfici ridotte, come la ditta di Biella con cui Loboca collabora al momento, oppure una ditta di Taiwan, che ha compresso il tutto in un container da 15 metri.

L’importanza di riciclare

Se è vero che i pannelli hanno tendenzialmente una vita lunga, va detto che eventi meteorologici come la devastante grandinata avvenuta nel Locarnese l’estate scorsa, aumentano l’urgenza di trovare soluzioni per smaltirli efficacemente. Per fortuna, come ci ha confermato Mauro Caccivio, ricercatore e responsabile del settore fotovoltaico alla Supsi, la gestione dei rifiuti fotovoltaici e il loro riciclo sono temi molto importanti per la Comunità europea. «Uno dei discorsi che è stato affrontato a Lisbona, alla Conferenza europea sul fotovoltaico dello scorso settembre, è proprio la circolarità della industria settoriale, ossia il tema del riciclo e del recupero dei materiali esausti a fine vita, o magari, come nel caso di Locarno, dopo una grandinata con distruzione non solo dei pannelli fotovoltaici ma anche di tanti altri materiali. A livello europeo i pannelli sono entrati nella normativa Weee (Waist from electronic and electric equipment, ossia rifiuti da componenti elettrici ed elettronici, ndr), della quale fanno parte anche le batterie al piombo per esempio. Questa normativa impone che gli impianti fotovoltaici vengano dunque riciclati, esattamente come con le batterie, che nessuno si sognerebbe di buttare in natura o di non riciclarle. In Svizzera invece a occuparsi del riciclaggio dei pannelli è la fondazione Sens, che funge da consorzio».

Materiali quasi totalmente riutilizzabili

Quando si pensa ai pannelli solari, viene facile immaginare che tra i loro componenti vi siano sostanze e materiali che non possono essere riciclabili, se non addirittura dannosi per l’ambiente. La realtà dei fatti sembra essere ben diversa perché, come sottolinea Caccivio, i pannelli sono composti principalmente da silicio, vetro, plastica non tossica, argento e alluminio. Secondo il sito della Sens, una media del 77% di un modulo fotovoltaico può essere riutilizzato e “si vuole migliorare in futuro la circolarità delle componenti in silicio attraverso un riciclaggio ottimizzato”. E il discorso del basso impatto ambientale vale anche per un altro aspetto. «Uno dei miti – spiega Caccivio – è che la produzione dei pannelli sia inquinante, quando in realtà in Europa, un pannello restituisce l’energia necessaria per produrlo nel giro di un anno e mezzo. Poi per i 30 anni restanti (ma alla Conferenza europea si è parlato anche di 40), l’energia è fondamentalmente ‘gratuita’. In Ticino abbiamo inoltre una prova che i pannelli possano durare così a lungo, dal momento che l’impianto TISO, della Supsi, è stato installato nel 1982 e una sua parte produce energia elettrica ancora oggi.».

Inoltre, non è detto che una volta che un privato o un’azienda decide di sostituire i propri pannelli con dei nuovi modelli, quelli vecchi debbano per forza essere smontati «Una cosa importante da dire – aggiunge – è che non necessariamente i pannelli a fine vita devono poi essere smaltiti o riciclati se non sono rotti. Questi infatti possono essere riadattati ed essere comunque utilizzati, magari sul mercato dell’usato, dato che i produttori in media garantiscono una perdita di potenza inferiore allo 0,5% annuo fino a 30 anni».

Processo in evoluzione

«Ciò non vuol dire che non ci siano delle sfide – continua il ricercatore –. C’è un costo per il riciclo, anche se è coperto in parte da una tassa contenuta nello stesso prezzo del pannello, e quindi bisogna industrializzare anche questo processo affinché il costo si abbassi. Con l’aumento delle quantità di pannelli in circolazione è importante che si metta in atto una filiera industriale che si occupi del riciclo, esattamente come è successo per la produzione dei moduli fotovoltaici, che all’inizio era quasi un’industria artigianale e che si è evoluta nel tempo, riducendo i costi di produzione e l’impatto ambientale».

«Una cosa che ancora non viene fatta è produrre già in previsione del fine vita. Vale a dire che nel momento in cui io penso a dei processi per produrre un modulo fotovoltaico, penso già a come lo smonterò dopo 40 anni di vita. Quindi, ad esempio, è possibile utilizzare colle conduttive per collegare le celle in serie invece di saldarle, con la possibilità a fine vita di rimuovere ad alte temperature la colla e separare più facilmente i materiali».

Il problema resta la grande importazione dalla Cina

Un altro tema che potrebbe destare preoccupazione in merito all’impatto ambientale dei pannelli fotovoltaici, è il fatto che la gran parte di essi provengano dalla Cina, un Paese non di certo celebre per l’impegno nella sostenibilità ambientale. Abbiamo contattato Francesco Frontini, professore in Tecnologie innovative e progettazione sostenibile alla Supsi, per saperne di più riguardo all’impatto ambientale della produzione. «La maggior parte dei pannelli tradizionali in commercio viene dalla Cina – spiega –, in quanto dal 2012 il governo cinese ha offerto dei grossi incentivi per la realizzazione di grandi fabbriche in grado di produrre un’enorme quantità di pannelli solari, portando così a un abbassamento drastico dei costi, che di per sé ha permesso al fotovoltaico di svilupparsi, lasciando poco spazio a produttori europei e svizzeri. Un tale rapporto qualità-prezzo non è al momento raggiungibile dalle industrie europee. Inoltre, c’è anche il discorso riguardo alla reperibilità di materie prime, specialmente quelle necessarie per la produzione delle celle fotovoltaiche, che non sono presenti in quantità sufficienti in Europa, men che meno in Svizzera. Il tema dell’impatto ambientale, ma anche quello del rispetto dei diritti umani dei lavoratori, è stato largamente discusso, e infatti quasi tutti i produttori che forniscono il mercato europeo devono sottostare a certificazioni internazionali. Poi è chiaro che la Cina a oggi produce ancora moltissima energia dal carbone, quindi sicuramente il bilancio energetico potrebbe essere migliore. Di recente l’International energy Agency (Iea pvps task 12) ha calcolato però che l’energia usata per produrre i pannelli, anche quelli cinesi, viene coperta in un anno e mezzo al massimo, quindi si tratta di un bilancio comunque molto positivo».

‘Il solare è l’energia più pulita’

«Un’altra cosa che ci tengo a sottolineare – continua Frontini – è relativa alle emissioni di anidride carbonica per chilowattora prodotta. Il fotovoltaico è stato dimostrato essere la tecnologia più pulita, con fattori anche dieci volte minori di emissioni di CO2 rispetto alla produzione di gas naturale. La letteratura scientifica parla di 43 grammi di CO2 per chilowattora per il fotovoltaico, contro i 1’000 per il carbone. L’energia solare rimane anche la più competitiva rispetto al nucleare, e in questo caso una grossa differenza è data dall’utilizzo di acqua. Con un pannello solare per produrre un mega-wattora, consuma tra il 2% e il 15% dell’acqua utilizzata da una centrale a carbone e dalle centrali nucleari».

«È chiaro – prosegue – che andare a migliorare il mix energetico dei Paesi maggiori produttori come la Cina aiuterebbe ancora di più ad abbassare questi valori di impatto ambientale, quindi ci sono dei piani piuttosto importanti ormai da diversi anni di costruire in Europa delle industrie confrontabili a quelle cinesi in termini di dimensione, proprio per poter cercare di svincolarci in parte dalla produzione massiccia cinese anche in Svizzera, sfida tutt’altro che facile». Secondo Frontini però, non sarà facile ottenere l’indipendenza produttiva. «Personalmente penso che ci vorranno ancora diversi investimenti e tempo – afferma –. Va tenuto conto che la Cina è anni che produce tantissimo, e ha magazzini pieni di pannelli quindi adopera una politica molto forte di abbassamento dei costi. Ora sta ai Paesi europei, Svizzera compresa, definire le politiche giuste per favorire una produzione locale».

Un grande vantaggio dell’Occidente rispetto alla competizione cinese è che, mentre quest’ultimi possono vantare una grande industria e una maggiore disponibilità di materie, in Europa e negli Stati Uniti ci sono eccellenze a livello di ricerca e innovazione. «Anche in Svizzera abbiamo diversi poli di eccellenza, come ad esempio la stessa Supsi. Siamo infatti gli unici in Svizza a essere in grado di certificare effettivamente le prestazioni dei pannelli. Un altro tema per noi di grande interesse è l’uso del fotovoltaico nell’architettura, ossia l’integrazione di pannelli solari nell’edificio stesso, con materiali edilizi in grado di produrre energia pulita senza dover utilizzare i pannelli classici. Questo mercato potrebbe essere una grande opportunità per le aziende locali e la produzione europea e svizzera».