Condannato per ripetuti atti sessuali con fanciulli: all'uomo è stata una inflitta una pena detentiva di 20 mesi sospesi condizionalmente
Venti mesi sospesi condizionalmente per due anni ed espulsione per 5 anni dalla Svizzera. È questa la condanna inflitta, dalla Corte delle Assise criminali di Lugano, al 48enne kosovaro residente nella zona, che tra il 2018 al 2020 nel salotto di casa si è masturbato alla presenza del figlio, all'epoca minore di 16 anni, almeno in tre occasioni. È stato dunque confermato il reato di ripetuti atti sessuali con fanciulli che lo ha portato oggi alla sbarra. Il giudice Mauro Ermani ha però sposato la tesi difensiva, presentata dalla legale Anna Grümann, secondo la quale non si possono escludere inquinamenti nella versione del ragazzo durante l'inchiesta, che nel complesso è stata poco efficace, prosciogliendo l'imputato dalle accuse di aver masturbato il proprio figlio, mostrandogli un filmato pornografico e per avergli chiesto di essere a sua volta toccato. Cadute anche le imputazioni di pornografia e inganno nei confronti delle autorità. La pubblica accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti, aveva invece chiesto una pena detentiva di 35 mesi, 9 da espiare e i restanti sospesi condizionalmente per un periodo di prova di due anni e l'espulsione dalla Svizzera per 8 anni.
Per quanto concerne il triste episodio che si è svolto in salotto con il figlio – costituitosi accusatore privato e patrocinato dall'avvocato Christopher Jackson – secondo la Corte «le spiegazioni che ha fornito sono al limite dell’inquietante, basti pensare che per lui la colpa era del figlio che non doveva entrare in soggiorno». L’uomo durante la fase interrogatoria di stamattina aveva infatti affermato: «Se non voleva scoprirmi mentre mi masturbavo bastava che rimanesse nella sua stanza». Accusandolo in parole povere di essere un guardone. Poi ha però riconosciuto, interrogato dal giudice Ermani, che non è normale un simile comportamento, affermando di vergognarsi per quanto fatto. Ma ad averlo fatto piangere, non sono tanto i sensi di colpa per quanto causato alla propria progenie, quanto il terrore di essere espulso e rispedito in Kosovo, suo Paese d’origine.
Espulsione che poi è stata ordinata in quanto «nonostante il lungo periodo di soggiorno, l'imputato non si è affatto integrato nella nostra società. Non ha mai lavorato, ha vissuto soltanto di aiuti sociali, ha accumulato debiti e ha svolo una vita ben lontana dai valori del nostro Paese». Insomma, «modi e abitudini di vita che sono inaccettabili nella nostra comunità». Per la Corte inoltre non vi sono dubbi che «fin da piccoli, chi più chi meno, tutti i fratelli maschi sono stati vittima della sistematica violenza del padre che era solito alzare su di loro le mani per punirli. Anche la sorellina più piccola è stata vittima di episodi violenti. Certo è che per tutti il padre ha creato in casa un clima di terrore che ha sicuramente influito negativamente sul loro benessere fisico e psichico». La Corte ha dunque accertato che dal suo arrivo in Svizzera nel 1999 fino almeno al 2016 l'imputato dava sistematicamente in escandescenze nei confronti dei quattro figli, colpendoli sia a mani nude, sia con la cintura e con cavi elettrici. Anche la figlia minore è stata picchiata in almeno due occasioni. Sulla messa in pericolo concreta del loro sviluppo psicofisico sono bastate, alla Corte, le dichiarazioni concordi dei figli che hanno riferito di importanti sofferenze che il comportamento del padre ha causato. Riconoscendo dunque una colpa non di minore gravità anche per quanto concerne la violazione del dovere di assistenza o educazione.
Le speranze del 48enne di poter tornare a vivere con la propria famiglia sono dunque andate perdute. Mentre per loro è l'occasione di riprendere in mano le proprie vite, senza la presenza di un tiranno in salotto.