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A piedi da Berna a Ginevra: ‘Giustizia per il popolo curdo’

Lokman Kadak, curdo oppresso in Turchia, è in cammino per la seconda volta per chiedere l'annullamento del Trattato di Losanna che divise il Kurdistan

L’ultima marcia fino a Berna
22 luglio 2023
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Cent’anni fa – il 24 luglio 1923 – attraverso il trattato di Losanna venivano ridefiniti i confini nel territorio dell’ex Impero Ottomano, tra cui Turchia, Siria, Iran, Iraq e Armenia. L’obiettivo era quello di portare la pace nel Medio Oriente. Un’aspirazione tutt’altro che riuscita. Da quando il trattato entrò in vigore, iniziarono le espulsioni e le deportazioni forzate che portarono milioni di persone a perdere le proprie case e a rinunciare – inevitabilmente – alla propria identità culturale. Tra coloro che hanno dovuto pagare il prezzo più alto, i curdi: oltre a non avere uno Stato proprio, si trovarono divisi sotto bandiere diverse. È per questo motivo che Lokman Kadak, 45enne turco di etnia curda, ha deciso di intraprendere una nuova marcia, a piedi, questa volta da Berna fino a Ginevra. Il suo cammino è iniziato mercoledì 12 luglio e terminerà oggi, quando è previsto l’arrivo di fronte al palazzo delle Nazioni Unite, dopo aver percorso circa 160 chilometri facendo tappa anche a Losanna, dove le sorti del suo popolo vennero ribaltate. Lì, ci spiega, «tramite una lettera chiederò l’annullamento di questo trattato, perché pur essendo stato creato in nome della pace, in questi cento anni di pace non ne è mai esistita». Da quel fatidico 1923, infatti, le rivendicazioni del maggiore popolo senza Stato sono rimaste inascoltate, tra proteste e repressioni talvolta brutali.

Ottenuto il permesso

Lokman aveva già marciato da Locarno fino alla capitale nel tentativo di sensibilizzare le autorità federali, e in particolare la Segreteria di Stato della migrazione (Sem), che aveva respinto in un primo momento, la sua domanda d’asilo, sostenendo che la procedura giudiziaria messa in atto da Ankara nei suoi confronti per presunta affiliazione al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) si sarebbe svolta nel quadro dello Stato di diritto. Il 45enne aveva fatto ricorso al Tribunale amministrativo federale (Taf) affinché il suo caso di persecuzione giudiziaria venisse riconsiderato. E così è stato. Per la sua gioia e quella della sua famiglia, composta dalla moglie Nelli e i due figli Ronia e Suwar, di 15 e (quasi) 18 anni. «Sono riuscito a ottenere il permesso B nel giugno del 2021 e a essere finalmente raggiunto dalla mia famiglia, che ora richiede asilo politico. I miei bambini possono finalmente seguire una formazione: il loro desiderio è quello di studiare e trovare un lavoro. Oggi sono un passo più vicini a realizzarlo». Prima, i suoi famigliari languivano in Turchia senza permesso di soggiorno e i bambini non potevano frequentare la scuola. Il suo sogno è quello di «poter vivere finalmente in un Paese che garantisca la mia integrità fisica e quella dei miei cari». E la Svizzera pare aver soddisfatto questi requisiti. «Sono contento perché nel rispetto della legge possiamo finalmente crearci una vita qui, integrandoci sapendo che può essere la nostra seconda casa, il nostro secondo Paese».

‘Una voce per il popolo curdo’

E anche se vinte le proprie battaglie personali, Kadak non abbandona quelle del suo popolo. Il suo desiderio di libertà ancora oggi si traduce nel suo agire: «Vorrei essere una voce per il popolo curdo. Il trattato di Losanna è stato un’enorme ingiustizia. Chiedo indipendenza e libertà per il Kurdistan che è stato diviso senza il consenso del popolo che lo abitava». Insieme a me «ci saranno moltissimi altri manifestanti, associazioni e gruppi. Ogni anno, quando cade la ricorrenza protestiamo». La lettera, indirizzata al segretario generale delle Nazioni Unite, è incisiva: “Il trattato di Losanna ignora la lotta, che dura da più di 100 anni, e priva il popolo curdo del diritto di avere uno Stato, contrariamente ai principi di giustizia e uguaglianza”. I curdi “cercano di attirare l’attenzione della comunità internazionale da tempo, ma non è ancora stato fatto nessun progresso”. Per questo motivo, “vi chiediamo di sostenere il diritto e l’indipendenza del popolo curdo. La comunità internazionale non deve ignorare le nostre rivendicazioni ma sostenerci nel trovare una soluzione giusta”. Proponendosi quale voce della propria gente, Kadak, chiede infine che vengano creati “dei tavoli di discussione con una commissione che rappresenti il popolo curdo attualmente disperso in tre diversi Paesi. È di vitale importanza trovare una soluzione equa in questa battaglia per l’indipendenza”.

A settemila chilometri da qui, un attivista curdo, Kani Xulam, sta marciando con lo stesso intento da Washington fino a New York. «Penso che in Europa questo cammino di rivendicazioni mancasse e quindi ho voluto rimediare. So che non cambierà molto, ma almeno faremo sentire e ricorderemo cosa è successo 100 anni fa, affinché questa storia non venga dimenticata». Sulla strada, ci racconta ancora Kadak, «incontrerò alcuni amici che mi ospiteranno, per il resto dormirò in tenda, come l’ultima volta».

Un passato travagliato

Ad accentuare in Kadak la volontà di giustizia è anche il proprio passato tormentato. In Turchia dovette scontare alcuni periodi di prigionia: il primo oltre vent’anni fa, il secondo fra il dicembre del 2016 e il maggio del 2018, dopo essere stato estradato dall’Ucraina, su mandato dell’Interpol, in quanto ancora considerato affiliato al Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che per lo Stato turco è un’organizzazione terroristica. Poi era arrivata una condanna in prima istanza a 6 anni e 3 mesi di reclusione, cui Kadak ha dovuto rispondere con la fuga e l’espatrio in Svizzera – utilizzando il passaporto del fratello, visto che il suo gli era stato confiscato – dove ha poi depositato e ottenuto la sua richiesta d’asilo. L’entrata nel nostro Paese risale al settembre del 2018; a dicembre è arrivata la condanna in via definitiva da parte della Cassazione turca; ad aprile 2019 il “no” della Sem alla domanda d’asilo e a giugno 2021, «finalmente» il tanto atteso “sì” del permesso B.

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