Al convento si rinnova la tradizione di San Giovanni Battista per la preparazione del noto liquore. La produzione, di 300 litri, sarà pronta nel 2024
La ricetta è rigorosamente segreta e si tramanda di anno in anno. Al convento del Bigorio è iniziata nei giorni scorsi la preparazione del noto ratafià, il liquore ottenuto macerando il mallo delle noci in grappa di uva americana, a sua volta prodotta all'interno del Bigorio utilizzando un tradizionale alambicco secondo il metodo del fuoco diretto. Secondo la tradizione, le noci ancora acerbe devono essere raccolte il 24 giugno, giorno di San Giovanni Battista. «È una data simbolica che popolarmente rappresenta il solstizio d'estate (anche se sappiamo che è già avvenuto mercoledì) – ci spiega fra Michele Ravetta, guardiano del convento del Bigorio –. C’è un passaggio di testimone della luminosità e i nostri vecchi dicevano che dopo San Giovanni si formavano le camole nelle noci e che quindi andavano raccolte entro il 24». Un esercizio che è già stato effettuato una decina di giorni fa «perché bisogna guardare la maturazione, altrimenti il mallo diventa troppo duro e non fa il suo mestiere. La ricetta classica parla di 40 giorni di sole – continua fra Michele –, ma è chiaro che con più lo si lascia, meglio è. Filtreremo verso agosto e lasceremo maturare ancora diversi mesi: questo ratafià si berrà quindi nel 2024. Per questi infusi non bisogna mai avere fretta perché devono rilasciare il loro sapore e ci sono le spezie, che ognuno dosa come meglio crede».
Ha nominato la ricetta... «Quella è in cassaforte – risponde convinto fra Michele –. Non abbiamo i soldi, ma abbiamo questa ricetta». Il nostro interlocutore ci concede comunque dei consigli. «Il segreto è l'utilizzo di un'acquavite di qualità e il dosare bene le spezie, senza inserire, come fa qualcuno, chicchi di caffè per rendere tutto più marrone. Non bisogna esagerare perché si deve sentire il gusto della noce ma anche quello dell'acquavite». La produzione annuale al Bigorio è di 300 litri. Il liquore viene fatto maturare in sili di vetroresina per evitare il rischio, come successo in passato, che la presenza di alcol faccia esplodere le bottiglie». Attualmente il magazzino è esaurito «già da diversi mesi. C‘è un cambio generazionale: deceduti i nostri vecchi, quasi nessuno beve più la grappa, preferendo i derivati come il ratafià, che non va confuso con il nocino, prodotto con l'alcol».
A occuparsi della produzione del liquore sono due persone. «Sono lavori pesanti – illustra ancora fra Michele –. In questi giorni il mallo che è a mollo nell'acquavite deve essere rimestato tutti i giorni e, una volta filtrato, andrà portato nella cantina del convento e lasciato riposare. Stiamo parlando di decine e decine di chili ed essendo il nostro convento tutto fatto a scale, bisogna per forza essere in due. È anche un lavoro molto sporchevole: si possono mettere i guanti in lattice, ma le mani diventano comunque nere». Le noci, «svariate decine di chili, che vengono anche regalate», sono state donate al convento da una signora di Gravesano. «Al nostro interno non abbiamo piante di noci – conferma fra Michele –. Purtroppo queste piante, che sono molto alte e impongono prudenza, rischiano di avere le ore contate perché si trovano su terreni edificabili che spariscono per far posto alle case».
Quella della produzione di ratafià è una tradizione che va avanti praticamente da sempre. «Lo producevamo già al convento di Lugano e alla Madonna del Sasso: è il liquore fatto dai cappuccini ed è anche il colore del nostro abito». Guardando al futuro, l'auspicio di fra Michele Ravetta è che «questa tradizione, così come la produzione del miele, deve continuare perché sono due prodotti tipici del convento del Bigorio». Fra Michele ricorda in conclusione che «nell'Ottocento, quando lo Stato liberale venne per sopprimere il convento – ma non lo fece perché era una stamberga – notò la presenza di trenta arnie. Miele e ratafià devono assolutamente continuare: sono prodotti che vanno fuori casa, etichettati secondo la legge, che ci permettono di farci conoscere». Come indicato sul sito del Convento del Bigorio, si tratta di “un'eredità del passato che ci permette di differenziare la qualità dei nostri prodotti da quelli industriali, sicuro motivo di vanto e orgoglio ma anche e soprattutto conferma del nostro amore per la più classica tradizione”. Una tradizione che continuerà.