In attesa della costruzione della cooperativa abitativa Pangea, si celebra l’anniversario dell’edificio - sede dell’Ocst - progettato da Tita Carloni
Ridare un carattere e un’anima al quartiere Lambertenghi. Questo lo scopo della cooperativa abitativa Vivere Lambertenghi, che con i propri alloggi a pigione moderata e le proprie strutture sociali vedrà la luce nei prossimi anni. La scelta del progetto vincente coincide peraltro con un importante anniversario: il 50esimo dall’inaugurazione della ‘Casa del Popolo’ in via Balestra, sede del sindacato Ocst e dell’Albergo Ceresio. Due strutture – una orma ‘di mezza età’ e l’altra che deve ancora veder la luce – l’una a pochi passi dall’altra, con finalità comuni e celebrate oggi con un evento al salone dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese.
«Questo incontro ha un valore simbolico per noi» la premessa di Aldo Ragusa, copresidente della cooperativa che nascerà a breve in città. Da un lato vi è infatti il progetto Pangea, dello studio Farra Zoumboulakis & associés di Losanna, che si è aggiudicato il concorso indetto dalla cooperativa per ridare vita all’ex deposito di Arl Sa, oggi utilizzato come parcheggio. Cooperativa che a sua volta si è aggiudicata il diritto di superficie stipulato con la Città per cinquantatré anni. Il progetto, promosso dall’Ocst, dalle associazioni GenerazionePiù, Gruppo di solidarietà, Centri Ocst per l’infanzia e alcuni privati, «intende dar vita a un ‘villaggio solidale’ – ha ricordato Ragusa –. Un luogo dove la persona possa sentirsi sempre al centro. Tutte le tipologie di persone: giovani, anziani, famiglie, persone con redditi modesti e con loro le altre persone che abitano nel quartiere». Prima di iniziare con la costruzione, tuttavia, occorrerà smantellare l’infrastruttura che attualmente occupa il sedime, dove ci sono delle tettoie di carpenteria vecchie di circa 400 metri.
Intanto, da oggi e per un paio di settimane, gli spazi dell’hotel ospiteranno l’esposizione dei progetti partecipanti al concorso, quindi oltre a quello vincitore anche gli altri cinque arrivati alle fasi finali del bando. Ma non solo. È allestita anche una mostra per il 50esimo della ‘Casa del Popolo’. «La presenza dell’Ocst in città è in realtà molto più datata – spiega Alberto Gandolla, presidente della Fondazione Monsignor Luigi Del-Pietro che cura la memoria storica del sindacato –: nel 1921, quando si spostò da Bellinzona, la sede era in via Cattedrale 4, nella casa Moroni-Stampa. Lì resta fino al 1933, quando viene traslocata nel Quartiere Maghetti, al numero civico 7 di piazza Indipendenza». È lì, dove la Diocesi aveva già diversi uffici, che lo stabile diventa la cosiddetta ‘Casa del Popolo’: ristorante, uffici sindacali, sala per le riunioni, camere per gli alloggi. Ma negli anni Sessanta si cambia nuovamente.
«Il sindacato stava aumentando servizi e attività e anche la società stava cambiando, con lo sviluppo economico e l’aumento dell’immigrazione – osserva Gandolla –. Nel 1962-63, l’Ocst acquista dunque uno stabile in via Balestra che si chiamava Bar Ceresio. Era un grotto con campo di bocce, che viene abbattuto. Vengono altrettanto comperati un edificio adiacente (l’ex villa Greco che ospitava la fabbrica Bally, ndr) e uno posto all’angolo tra le vie Balestra e Lambertenghi, entrambi da ristrutturare». Questo nuovo comparto diventa la nuova Casa del Popolo e vede la luce nel 1971. A curare il progetto dell’edificio costruito ex novo è l’architetto Tita Carloni.
Si decide di mantenere l’impostazione precedente del Maghetti: naturalmente sede del sindacato e luogo di incontro per i lavoratori, albergo con 65 camere e 106 letti a disposizione. Quest’ultimi erano pensato sia per i turisti, sia per gli operai, sia per gli studenti. Tuttavia, col proseguo degli anni, cambia anche l’impronta alberghiera che via via si distingue sempre più dall’Ocst. Il picco viene raggiunto a inizio anni Ottanta, quando si arriva a oltre 37’000 pernottamenti. Questi poi diminuiscono, ma in compenso migliora la qualità delle camere e dei servizi, che vengono ampiamente ristrutturati. Ma l’essenza del comparto rimane, come sottolineato dal segretario cantonale dell’Ocst Renato Ricciardi: «Noi cristiano-sociali crediamo che lo spazio veramente sociale, cui l’architettura dà forma, sia quella che cura dall’esclusione e permette a tutti e a ciascuno di vivere bene e lavorare con dignità».
I pannelli espositivi ricordano naturalmente anche la figura che ha dato forma al quartiere: il celebre architetto di Rovio scomparso nel 2012. «La Casa del Popolo è un edificio che rappresenta un punto di svolta nell’architettura di Carloni – osserva l’architetto Piero Conconi –. Rispetto ai lavori precedenti, questo è inserito in un paesaggio differente, quello urbano di una strada larga e trafficata. Per progettare in questo contesto, abbraccia una soluzione per certi versi radicale e propone un’architettura massiccia e compatta. Due rettangoli con un incastro angolare». «Un luogo di architettura che promuove e genera nuova architettura», come l’ha definito Ragusa. Ma soprattutto, un luogo che a breve diventerà l’estremità di un quartiere ancor più ampio ma sempre fedele ai propri principi.