Luganese

Postina licenziata abusivamente: non sarà reintegrata

Ad anni dalla disdetta (2017), il Tribunale d’appello conferma la decisione della Pretura: la Posta non avrebbe dovuto licenziare la donna e madre

In sintesi:
  • I tribunali ticinesi hanno dato ragione all’ex postina: il Gigante Giallo non avrebbe dovuto licenziarla
  • Syndicom: ‘Va modificata la legge, la Svizzera è sulla lista nera dell’Organizzazione internazionale del lavoro’
Landi, Forte e Antonini
(Ti-Press)
12 aprile 2023
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Sì, si è trattato di licenziamento abusivo. È finita la lunga vicenda giudiziaria dell’ex postina luganese che a inizio 2017 era stata lasciata a casa dalla Posta. Un caso che si è concluso con una sentenza cresciuta in giudicato che le ha dato ragione. Il licenziamento era infatti stato contestato dalla donna e una sentenza della Seconda camera civile del Tribunale d’appello, confermando una precedente decisione della Pretura di Lugano, ha effettivamente stabilito che il Gigante giallo ha sbagliato.

La maternità, i problemi di salute, la disdetta

Il caso era emerso nel 2017, ma le vicissitudini della donna hanno origine l’anno precedente. Dopo essere rientrata al lavoro nel 2015 dopo un congedo maternità, a inizio 2016 la dipendente ottiene un trasferimento per meglio conciliare lavoro e famiglia. Una nuova mansione dove però le difficoltà invece di diminuire aumentano, crescono le tensioni e con esse i problemi di salute. La situazione si deteriora al punto che alla fine dell’anno le viene prospettato il licenziamento, che poi effettivamente si concretizza nei primi mesi del 2017, dopo alcuni tentativi di trovare una soluzione fra le parti andati a vuoto. La disdetta viene quindi immediatamente impugnata dalla vittima, dal sindacato Syndicom che l’affianca e dal legale che segue il caso. La vicenda, pur mantenendo l’anonimato della donna, diviene di dominio pubblico: articoli di giornale, flash mob e una petizione sottoscritta da quasi 900 persone. La prima sentenza del pretore è del 2021. La Posta contesta la decisione, ma anche l’Appello le dà torto con sentenza del maggio 2022, diventata definitiva in quanto non più impugnata.

La donna: ‘Sentenza che lascia l’amaro in bocca’

“È una sentenza che lascia l’amaro in bocca”, il commento della dipendente, che non ha partecipato al momento informativo organizzato alla Casa del popolo di Bellinzona da Syndicom affidando il proprio pensiero a una dichiarazione scritta. L’amarezza deriva, oltre che dal lungo tempo trascorso, anche dal mancato reintegro. “Dopo la sentenza ho provato attraverso il sindacato a essere riassunta in Posta. Purtroppo, l’azienda, nonostante mi abbia licenziato in maniera abusiva, ha deciso di non riassumermi. Penso che chiunque porti avanti una lotta per i propri diritti non possa accettare che si venga licenziati ingiustamente senza poi, una volta riconosciuta l’ingiustizia, avere il diritto di tornare sul posto di lavoro. Questa battaglia l’ho portata fino in fondo perché spero possa servire da monito per le aziende che con troppa facilità licenziano le persone che si battono per i propri diritti, ma anche per evidenziare le mancanze di tutela legali che oggi esistono in Svizzera”.

Migliorato il Contratto collettivo di lavoro della Posta

E proprio questi ultimi aspetti sono quelli che sono stati approfonditi dai sindacalisti durante la conferenza stampa. «Anche grazie a questo caso, che ho seguito personalmente da vicino in quanto responsabile regionale – osserva Marco Forte –, siamo riusciti a ottenere dei miglioramenti a livello contrattuale. Con il rinnovo del Contratto collettivo di lavoro (Ccl) nel 2020 sono stati messi dei paletti, in particolare siamo riusciti a inserire il diritto per i tempi parziali (la postina era al 60%, ndr) di avere giornate e semi-giornate libere fisse in settimana». Il nuovo Ccl prevede inoltre fino a dodici mensilità come risarcimento in caso di licenziamento abusivo: il doppio di quanto previsto dalla legge. Per l’ex postina in questione, per la cronaca, la Corte ha ordinato il pagamento dell’equivalente di circa nove mensilità. «Un buon risultato che prova la fondatezza delle nostre rivendicazioni – aggiunge Forte –. Il fatto che questo licenziamento sia avvenuto in Posta, un’azienda che appartiene alla Confederazione, è molto preoccupante. Non essere riusciti però a ottenere un reintegro dimostra che c’è ancora un grosso problema in Svizzera, la sua lotta non deve cadere nel nulla».

‘Codice delle obbligazioni con diverse lacune’

Pertanto, questa è «l’occasione per portare avanti tematiche a livello nazionale» valuta Matteo Antonini, della direzione nazionale di Syndicom. «Il diritto del lavoro privato svizzero (il Codice delle obbligazioni, ndr) ha purtroppo diverse lacune. In primo luogo le sanzioni previste in caso di licenziamento abusivo sono insufficienti: al massimo sei mesi di stipendio da versare. L’esperienza tuttavia ci insegna che nella maggior parte dei casi vengono concessi al massimo due-tre mesi di indennità. Sanzioni così blande non costituiscono un deterrente per il datore né hanno un carattere riparatorio per il danno subito dalla vittima». Aspetti messi in luce recentemente anche dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil). Ma non è l’unica falla nel regime giuridico, secondo il sindacato.

Si chiedono sanzioni più severe e la possibilità di reintegro

«A differenza della legge federale sul personale e di molte leggi cantonali, il Codice delle obbligazioni non prevede il reintegro o la nullità del licenziamento in caso di ingiustizia. Inoltre, non è previsto un meccanismo di conciliazione legale prima della disdetta. Alcuni Ccl prevedono dei paletti e delle protezioni embrionali, che sono però insufficienti. Oltretutto, in Svizzera la maggior parte dei salariati non è coperta da Ccl». In questo contesto, l’Unione sindacale svizzera (Uss) chiede delle modifiche legislative da anni. In particolare «chiediamo che le sanzioni siano portate a un minimo di 24 mesi e soprattutto, se la persona lo desidera, che il giudice possa ordinare il reintegro».

Svizzera criticata dall’Organizzazione internazionale del lavoro

A criticare le autorità elvetiche è anche l’Oil come detto, che rimprovera la Svizzera di non rispettare alcuni trattati internazionali ratificati, in particolare per quel che riguarda la tutela da licenziamenti abusivi di lavoratori attivi nei sindacati e nelle commissioni del personale. Ed è questo il caso anche della postina, che era membro della neocostituita commissione del personale dell’azienda. «Oggi la Svizzera risulta purtroppo nella triste lista nera dei Paesi che negano questi diritti – puntualizza Antonini –. Sono in corso delle trattative con il Consiglio federale e con il padronato per far rispettare queste convenzioni. Il termine per trovare una soluzione è stato posticipato ad agosto. Ma l’Oil è chiara: non si può più tergiversare, la Svizzera deve fare qualcosa». E sebbene una decisione definitiva in tal senso non sia ancora stata presa, l’Uss sta valutando di lanciare un’iniziativa popolare a livello nazionale per proteggere i sindacalisti nelle aziende.

‘È stata coraggiosa, perché è andata fino in fondo’

Tornando al caso della Posta, Antonini ricorda che Syndicom si è battuta per ottenere il ripristino di una norma che prevedeva il reintegro in caso di licenziamento abusivo. «La Posta si è tuttavia rifiutata di inserire una clausola perentoria in tal senso e ha accettato di aumentare l’indennità massima a dodici mesi». Sono inoltre stati posti dei paletti al licenziamento di membri di commissioni del personale, riducendo i motivi giustificati per poterlo fare. E anche in questi casi, il datore di lavoro è tenuto a informare preventivamente il sindacato di appartenenza e le due parti decidono se dichiarare il licenziamento o rinunciarvi. «Purtroppo, nel caso in questione non è stato possibile seguire questa procedura visto che il licenziamento è avvenuto prima dell’entrata in vigore del nuovo Ccl. Anche per questo bisogna sottolineare il coraggio della postina, che è voluta arrivare fino alla sentenza per far avanzare le cose, in molti non arrivano a tanto ma si fermano prima».

‘Le donne sono le più colpite’

«La storia di questa postina è emblematica, – concorda Chiara Landi, presidente della sezione Ticino e Moesa delle donne dell’Uss –, un simbolo dei lavoratori e delle lavoratrici che subiscono ingiustizie». E fra loro, «le donne purtroppo sono le più fragili in questo sistema ingiusto e discriminatorio. Sono le più colpite, soprattutto al rientro dalla maternità, quando le pressioni del datore di lavoro diventano insostenibili e conciliare lavoro e famiglia diventa una corsa a ostacoli. E il licenziamento diventa uno strumento repressivo. Rivendichiamo il diritto a non essere licenziate perché madri od over 50enni. Il diritto a non essere licenziate per aver preteso il rispetto dei nostri diritti. Non possiamo più tollerare che un’azienda come La Posta, che non si è dimostrata sensibile né di fronte alle azioni promosse da Syndicom né di fronte alle firme raccolte, continui a trincerarsi dietro a un muro di gomma rispetto a un licenziamento riconosciuto come abusivo, rifiutando di concederle il reintegro».

LA REPLICA

La Posta: ‘Per noi partecipazione aziendale importante’

Sul caso sollevato dal sindacato abbiamo interpellato anche La Posta, che si limita a una breve presa di posizione nella quale afferma di aver “preso atto della sentenza”, confermando di aver “concesso alla collaboratrice interessato l’indennizzo indicato nella sentenza (circa 32’000 franchi, ndr)”. Il Gigante giallo precisa anche di non aver impugnato ulteriormente la sentenza per arrivare al Tribunale federale “per motivi economici”. “Teniamo tuttavia a precisare – si legge nella nota – come la disdetta del rapporto di lavoro non abbia nulla a che vedere con l’attività della collaboratrice in seno alla commissione del personale. Il Ccl dimostra l’importanza dei nostri collaboratori anche nell’ambito della partecipazione aziendale: i collaboratori tra le loro fila possono costituire una commissione del personale e svolgervi la loro attività durante l’orario di lavoro”.

‘Soluzioni su misura per reintegrare i collaboratori in malattia’

“La Posta – si aggiunge – è un datore di lavoro responsabile e si assume in larga misura la propria responsabilità sociale nei confronti dei propri collaboratori, sia per quanto riguarda la conciliabilità tra famiglia e lavoro sia per quanto riguarda la parità di trattamento. Inoltre, laddove possibile, La Posta cerca di reintegrare i collaboratori nella quotidianità del lavoro in seguito a un’incapacità lavorativa. Un team speciale della Posta accompagna i collaboratori interessati in modo confidenziale e neutrale, coordina i vari uffici ed elabora con loro possibili soluzioni. La Posta vanta un’esperienza pluriennale nell’accompagnamento di lavoratori con problemi di salute. Grazie a queste esperienze, in molti casi La Posta riesce a reintegrare i collaboratori nella quotidianità lavorativa con soluzioni su misura per i singoli collaboratori interessati”.

‘Singolo caso con circostanze particolari’

Soluzioni che tuttavia nel caso in questione non sono state trovate. “La Posta ha cercato attivamente soluzioni – si giustifica –, discutendone con la collaboratrice. Siamo spiacenti di non aver trovato in questo caso una soluzione praticabile per tutte le parti coinvolte. Si tratta di un singolo caso con circostanze particolari. Poiché, nonostante gli sforzi della Posta, purtroppo non è stato possibile trovare una soluzione, anche dopo la sentenza rinunciamo a una reintegrazione della collaboratrice interessata”. Ex collaboratrice che, dopo aver lavorato per una quindicina di anni alla Posta, oggi svolge un lavoro precario per una ditta privata. «Il dramma ulteriore di questo caso – sottolinea Forte –, è che in Ticino La Posta domina il mercato e quindi chi viene licenziato di fatto è estromesso dalla propria professione».

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