Alessia Albertini Meszaros è una delle interpreti del Ministero pubblico. Una professione che le ha permesso di conoscere un altro lato della giustizia
«Anche se non ero l’imputata, la prima volta su quella sedia ho provato emozioni forti». Davanti al giudice Alessia Albertini Meszaros si siede per la sua professione di interprete del Ministero pubblico, ruolo che ricopre da oltre vent’anni. Per chi frequenta abitualmente le aule penali, la sua presenza è ormai una costante accanto a imputati di lingua tedesca, spagnola e inglese. Suo il compito – spesso non facile – di fare da tramite tra chi deve rispondere di un reato e la Corte chiamata a giudicarlo. Nata in Italia e di origini trentine, un passato in Spagna, da anni Alessia vive a Sorengo con la famiglia (è mamma di tre figli ormai grandi). L’abbiamo incontrata per farci raccontare i segreti di una delle sue professioni. Alessia, infatti, è anche organizzatrice con il marito musicista del festival Ticino Musica, giunto quest’anno alla 27esima edizione.
Quella per le lingue è una passione nata subito. «Fin da piccola ho sempre avuto la passione per le lingue. Mi è sempre piaciuto poter comunicare con persone che non parlano la mia lingua: con il tedesco ha iniziato molto presto – racconta –. Già a dieci anni volevo fare l’interprete perché mi piaceva molto l’idea di poter aiutare qualcuno che non si capisce a comprendersi». Dopo aver frequentato la scuola interpreti a Milano, la nostra interlocutrice ha iniziato a lavorare al Palazzo dei Congressi di Riva del Garda, la sua città. «Ho conosciuto un mondo completamente diverso, quello della musica classica – racconta –. A Riva del Garda organizzavano un festival corale e uno di musica classica e ho così cominciato a tradurre i discorsi e le discussioni delle giurie. A questo si è aggiunto il lavoro nell’organizzazione di eventi musicali, dove ho conosciuto mio marito. Dopo il matrimonio ci siamo trasferiti in Spagna, a Palma di Maiorca, dove ho imparato bene lo spagnolo». La famiglia è poi rientrata in Ticino, dove il marito di Alessia è stato chiamato a insegnare dal Conservatorio della Svizzera italiana. «Volevo stare con i bambini almeno fino all’età dell’asilo – ricorda –. Ed è stata proprio una mamma dell’asilo, saputo della mia professione di interprete, a suggerirmi di chiedere in polizia». Era il 1999 e da quel momento il lavoro di Alessia Albertini Meszaros non si è mai fermato.
Alessia ha seguito il consiglio. «Parallelamente a un’attività che svolgevo da casa per il Conservatorio, ho chiamato la polizia e mi sono messa a disposizione per il tedesco, l’inglese e lo spagnolo. Quando riuscivo a organizzarmi con i bambini, ho fatto i primi verbali». Un lavoro che «mi è piaciuto: è stato bello poter aiutare queste persone e anche la polizia a capirsi». Un anno dopo è arrivata la chiamata dal Ministero pubblico. «Mi ha contattato l’allora procuratrice pubblica Galliani, la prima con cui ho lavorato, una persona in gamba che mi è piaciuta fin dal primo momento. Era abbastanza un impegno, poi i figli sono cresciuti e andavano all’asilo: quando avevo un’emergenza mi organizzavo con le varie baby sitter, soprattutto studentesse e studenti di musica del Conservatorio, e ho cominciato ad accettare vari incarichi. Essendo un lavoro su chiamata, in caso di impegni potevo comunque dire no, visto che il Ministero pubblico dispone di una lista di interpreti disponibili».
Il passaggio al primo processo non è tardato. «Quando mi hanno chiamato ho subito detto di non averlo mai fatto – puntualizza Alessia –. L’unica ‘esperienza’ risaliva a Riva del Garda quando, subito dopo il diploma, il pretore mi aveva coinvolto un paio di volte per un caso che coinvolgeva dei tedeschi». Quello per cui è stata contattata, era un processo per reati legati al mondo degli stupefacenti, con imputati che parlavano inglese, previsto su più giorni. «Pochi giorni prima l’allora giudice Zali mi ha coinvolta in un processo meno complicato, comunque legato al caso, e alla fine ho avuto il suo nullaosta per il dibattimento principale». Ripensando a quei giorni, la nostra interlocutrice ricorda che «in quei quattro giorni credo di avere perso due chili... Ero agitatissima, mi sono preparata, perché riceviamo sempre l’atto d’accusa. Abbiamo il segreto d’ufficio – articoli 307 (falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione) e 320 (violazione del segreto d’ufficio) del Codice penale, ndr – quindi non possiamo parlarne con nessuno, ma possiamo prepararci per i vocaboli. Questo spesso non succede negli interrogatori: molte volte arriviamo e non sappiamo di che cosa si tratta, i primi dieci minuti servono per capire la questione». In passato Alessia è stata affiancata da un ingegnere per la preparazione di vocaboli e termini tecnici legati a un processo. «Bisognava descrivere delle dinamiche molto complicate – ricorda –. Mi hanno fatto i complimenti perché mi ero preparata molto bene». Il lavoro di un’interprete è ampio. «Vengo spesso chiamata per gli interrogatori, con imputati, testimoni, persone informate sui fatti, periti, confronti, ovvero tutti i tipi di azione che possono fare sia polizia che procuratori e a volte anche colloqui avvocato-cliente. E anche in questo caso è importante il segreto».
In questi anni Alessia Albertini Meszaros si è seduta accanto a persone che hanno commesso vari tipi di reato. «Ho avuto casi dal furto all’omicidio, ho quindi lavorato anche con persone che potrebbero essere considerate violente. Per poter parlare con loro all’orecchio e tradurre in simultanea le parole del giudice, devo sedermi molto vicino a loro: non mi sono mai sentita in pericolo e non ho mai avuto paura, anche perché ci sono i poliziotti al mio fianco». Quella vissuta è «una sensazione particolare a cui si aggiunge la responsabilità di dover tradurre bene anche le sensazioni. Per questo molte volte non guardo tanto alla forma della lingua, ma più al trasmettere la sensazione». Durante i processi capita anche che il giudice si innervosisca. Come gestisce la situazione? «Non ha senso che cominci io a urlare – è la risposta –. Posso però fare una piccola introduzione facendo presente che il giudice si è arrabbiato e poi traduco letteralmente le sue parole». In situazioni come queste, riaffiora quanto appreso alla scuola interpreti. «Bisogna tradurre in prima persona: se il giudice dice ‘mi sento preso in giro da te’ io al all’imputato devo dire ‘mi sento preso in giro da te’. Devo essere trasparente e prendere il posto del giudice nel momento in cui traduco il giudice, e il posto dell’imputato quando è lui a parlare». Come per ogni professione, non sono mancate le critiche. «Ogni tanto succede che qualcuno se la prende con l’interprete. Non siamo computer, del resto tutti possono sbagliare, quindi l’errore può capitare e ben venga chi lo corregge, così come i suggerimenti quando mi manca una parola».
Gli imputati raccontano le loro vite e quanto commesso. Come si fa a non farsi coinvolgere? «A volte capita di dovermi prendere qualche secondo di pausa perché ci sono momenti di grandi emozioni, soprattutto quando c’è una persona che si pente e che racconta della sua vita – sottolinea ancora Alessia –. So che non devo farmi influenzare e devo respirare profondamente e tradurre quanto viene detto nel miglior modo possibile per cercare di far passare anche le sensazioni». In tutti questi anni ci sarà sicuramente un caso che l’ha particolarmente toccata. Dopo averci pensato qualche istante, l’interprete racconta di «una ragazza incinta che aveva partecipato a trasporto e spaccio di droga. Mi ha fatto molta tenerezza pensare che il bambino sarebbe nato in carcere e ricordo che anche il giudice ha avuto molta comprensione».
Nel settore della giustizia il lavoro d’interprete non conosce orari. In caso di necessità, il telefono suona anche a notte fonda. «Ho partecipato a molti interrogatori notturni – ammette la nostra interlocutrice –. Ultimamente non mi chiamano più tanto... forse guardano anche l’età (ride, ndr). A volte ho dovuto però rifiutare perché ero già stata convocata per un processo la mattina successiva e non potevo passare tutta la notte a tradurre». Anche perché durante la notte «c’è un po’ di agitazione: quando una persona viene arrestata tende a parlare poco ed è spaesata. E ovviamente prima bisogna aspettare l’avvocato». Durante il giorno, per contro, «l’interrogatorio è pianificato». Parlando di arresti, il ricordo va anche alla prima volta in carcere. «Adesso ci vado quasi tutte le settimane e purtroppo diventa ‘un’abitudine’. Le prime volte tornavo a casa e non riuscivo a dormire: tocca molto entrare in un posto chiuso e vedere queste persone che non possono uscire».
Quando è in servizio, che sia in carcere o in aule penale, Alessia Albertini Meszaros ha sempre un blocco di fogli e una penna tra le mani. «Devo sempre averlo – ammette –. È quello che abbiamo imparato alla scuola interpreti. Ho una buona memoria, ma quando devo tradurre oltre un minuto non riesco a memorizzare numeri e date che sono particolari fondamentali da riportare». Durante la già citata scuola interpreti «si impara una tecnica per prendere appunti. Abbiamo fatto stenografia e per questo uso simboli stenografici o alcuni simboli particolari per prendere appunti in fretta e non perdere concetti importanti».
L’esperienza, come visto, è iniziata più di vent’anni fa. Con quale bilancio? «È stata una bellissima opportunità che la vita mi ha offerto. Non ho mai voluto una carriera, ma ho sempre colto delle opportunità, come quando sono andata a Maiorca e ho cominciato a studiare spagnolo per poi trovarmi a insegnare inglese, tedesco e italiano nella stessa scuola». E così è successo nel 1999. «Devo ringraziare la mia amica per il consiglio: è stata una bella evoluzione anche a livello umano, al Ministero pubblico mi conoscono tutti e ho sviluppato anche delle amicizie. E ho potuto conoscere un mondo nuovo: durante la scuola interpreti abbiamo studiato diritto e i relativi vocaboli, ma questo è un bagaglio che si costruisce e le espressioni che si usano in Ticino sono diverse da quelle che si usano in Italia». Gli aneddoti legati alla sua professione sono molti. «È capitato che testimoni o imputati mi chiedessero consigli durante una pausa... Mi trattano come se fossi l’avvocato o il procuratore, ma ovviamente me ne guardo bene dal farlo e li accompagno da chi di dovere traducendo le loro richieste».
A un giovane che volesse seguire la sua strada cosa si sente invece di consigliare? «Prima di affrontare un settore come questo, secondo me i giovani devono fare esperienza in un ambito più tranquillo, come possono essere fiere o congressi. Quello della giudiziaria è un settore molto interessante, ma comporta una grande responsabilità, bisogna essere molto corretti, trattandosi di temi delicati e riservati. È una buona opportunità però bisogna davvero seguire un percorso formativo specifico per imparare le tecniche della traduzione e le regole fondamentali che l’interprete deve seguire. Non basta sapere una lingua straniera».
Come visto in apertura, Alessia Albertini Meszaros è anche un’organizzatrice di eventi, nello specifico del festival di musica classica Ticino Musica. «Mi piace il contatto con la gente, pianificare e riuscire a mettere assieme le varie parti – ammette con il sorriso –. Sono un’organizzatrice nata. Seguo anche la parte internazionale che mi permette di usare le lingue. Non riuscirei a svolgere il lavoro di interprete del tribunale a tempo pieno: è un lavoro molto pesante e ci sono delle settimane che sono al Ministero pubblico tutti i giorni, anche per poche ore. È bello ogni tanto avere un po’ di pausa e potermi dedicare anche al mio secondo lavoro, una passione che mi permette di confrontarmi con giovani musicisti da tutto il mondo che sosteniamo e a cui diamo la possibilità di suonare, specializzarsi e fare esperienza». Un’attività, conclude Alessia, che «mi piace molto ed equilibra la parte di traduttrice in ambito giudiziario».