Trasportò oltre cinque chili di cocaina: niente rinnovo del permesso a uno straniero giunto in Ticino quando aveva 25 anni, anche se ha due figli svizzeri
Non potrà continuare a vivere in Svizzera, il 47enne kosovaro che, dopo essersi sposato, arrivò in Ticino oltre vent’anni fa, quando aveva 25 anni. Il Tribunale federale ha infatti respinto il suo ricorso, che aveva contestato la decisione adottata dalla Sezione della popolazione che, il 22 giugno 2020, gli revocò il permesso di domicilio di cui disponeva, intimandogli di lasciare il territorio svizzero dopo la scarcerazione. Eppure, nel settembre 2001 aveva ottenuto un permesso di dimora e, dall’ottobre 2006, un’autorizzazione di domicilio. Nel 2014, la moglie acquisì la cittadinanza elvetica e dal matrimonio nacquero due figli, anch’essi cittadini svizzeri.
Per quali ragioni, l’uomo deve lasciare il Paese? Determinante è stata la condanna a quattro anni di carcere da espiare, risalente al 14 gennaio 2020, inflittagli dalla Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Mauro Ermani, che lo ha riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti e le sostanze psicotrope. Come era emerso durante il processo, il 47enne, nel 2014 e in tre occasioni l’anno successivo, aveva trasportato, da Lugano a Neuchâtel, in correità con altre due persone (anch’esse condannate), dapprima 155 grammi di cocaina, poi oltre cinque chili della stessa droga. Per queste attività illegali aveva percepito 3mila franchi. Il suo arresto risale invece al maggio 2019, dopo quattro anni di indisturbata ‘latitanza’, durante i quali, essendo senza un lavoro, aveva percepito le indennità di disoccupazione e i sussidi familiari.
I reati commessi dal kosovaro sono stati ritenuti gravi anche dai giudici di Mon Répos e hanno avuto un rilievo molto grande nella sentenza. In particolare, perché l’uomo ha infranto la legge, nonostante la vicinanza della moglie e dei figli, mettendo così da solo in pericolo quell’unità familiare alla quale ha fatto riferimento nel ricorso. Un ricorso che, da una parte, ha sostenuto la "piena integrazione" del 47enne, dall’altra ha contestato (invano) la violazione del principio della proporzionalità. In effetti, nella sentenza il Tribunale federale riconosce "il suo grande interesse a continuare a restare vicino a loro nel nostro Paese" e non appare d’acchito esigibile che i figli e la moglie partano con lui. Sempre in Svizzera, tra il 2006 e il 2014, il ricorrente è stato anche ininterrottamente impiegato (quale portiere d’albergo) e ha del resto svolto pure altre attività lavorative.
La revoca del permesso colpisce duramente l’uomo, riconoscono i giudici di Losanna, che però mettono in evidenza alcuni fatti. Nella ponderazione, bisogna tener conto che il primo figlio è oramai maggiorenne e non dipende più dal padre, mentre il secondo è anch’egli prossimo ai 18 anni. Oltretutto, sottolinea nella sentenza il Tribunale federale, "i familiari del ricorrente hanno già dovuto far fronte all’assenza del padre e del marito durante la sua carcerazione". Il ricorrente ha rimproverato in sostanza al Tribunale amministrativo cantonale (Tram che ha confermato la decisione del Cantone) di avere attribuito un peso eccessivo alla condanna penale da lui subita, senza tenere sufficientemente conto degli altri elementi relativi alla sua situazione personale, segnatamente della lunga durata del suo soggiorno in Svizzera, della sua integrazione "pienamente riuscita", della relazione con i familiari residenti nel nostro Paese e dell’assenza di legami con il Kosovo, suo Paese di origine. Alla luce di queste circostanze, rileva sempre il ricorrente, la revoca del permesso di domicilio non sarebbe proporzionata.
Tuttavia, scrivono i giudici di Losanna, il primo criterio per valutare la gravità della colpa e procedere alla ponderazione degli interessi, nella giurisprudenza, è costituito dalla condanna inflitta. La durata del soggiorno in Svizzera è un altro criterio molto importante. In effetti, tanto più lunga è la permanenza in Svizzera, quanto più la revoca soggiace a esigenze elevate. In questo caso, però, agli occhi del Tribunale federale prevale il primo criterio. I reati sono stati sanzionati con una condanna pesante (a una pena detentiva di quattro anni da scontare) alla luce dei quantitativi di stupefacenti tanto elevati da generare "un interesse rilevante all’allontanamento di chi li commette, anche quando questa persona è uno straniero che soggiorna nel nostro Paese da tanti anni, come è il caso per l’insorgente".