Luganese

Processo Enderlin, ‘dopo 9 anni di Purgatorio comincia la vita’

L’imprenditore luganese è stato condannato a 13 mesi sospesi. Cade l’accusa delle retrocessioni bancarie

Davide Enderlin in uno scatto di qualche anno fa
(archivio Ti-Press)
6 febbraio 2023
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«Dopo nove anni di Purgatorio è finita. Comincia la vita». Sono queste le parole pronunciate da Davide Enderlin jr al termine del processo che lo ha condannato a 13 mesi di detenzione, sospesi per un periodo di prova di due anni, per amministrazione infedele aggravata e falsità in documenti. I fatti esaminati dalla Corte delle Assise correzionali di Lugano presieduta dal giudice Mauro Ermani risalgono agli anni 2007-2014. L’imprenditore 51enne, ex consigliere comunale del Plr di Lugano, ha accolto quasi per intero l’accusa di aver sottratto 2 milioni di franchi alle sue società e la falsità in documenti, ma ha contestato le malversazioni di un milione in merito alla gestione di patrimoni affidati allo studio legale di famiglia. Da quest’ultimo reato Enderlin è stato prosciolto. Mentre per l’acquisizione di un immobile gli è stata riconosciuta la complicità. Per questo motivo la proposta di pena – di 12 mesi sospesi per un periodo di prova di due anni – presentata in aula da accusa (il procuratore pubblico Daniele Galliano) e difesa (l’avvocato Luca Marcellini) è stata accresciuta di un mese dalla Corte.

Il nodo delle retrocessioni bancarie

Il reato dal quale Enderlin è stato prosciolto è legato alla sua attività nello studio legale di famiglia. In qualità di gestore patrimoniale, avrebbe percepito retrocessioni bancarie per circa 1,3 milioni, consigliando ai clienti di recarsi sempre presso lo stesso istituto bancario e senza informarli preventivamente sul fatto che la sua remunerazione avveniva tramite retrocessioni sul capitale investito. «Mio papà ha scelto di non avere pagamenti dai clienti, ma solo le retrocessioni da parte della banca – ha spiegato Enderlin rispondendo alle domande del giudice –. Questo valeva per tutti i clienti, non sono mai state emesse fatture per onorare la gestione degli averi». Quelli dello studio, ha aggiunto l’imputato, «erano in generale clienti storici e c’era un tipo di rapporto che mi porta a dire che tutta la clientela sapeva che ricevevamo qualcosa dalla banca». L’accusa, come detto, si è rimessa al giudizio della Corte perché «ci sono diversi problemi». Tra questi il ​​pp Galliano ha citato «la lontananza dei fatti che porta a problemi di ricostruzione delle informazioni visto che il mandato stipulato con l’istituto bancario risale al 2011». Mandato di cui Enderlin «non è la controparte: era un collaboratore dello studio e la rendicontazione non deve essere fatta da un collaboratore». Non è inoltre stato possibile «identificare gli altri clienti e non è possibile che vi sia stato delle rendicontazioni». Da ultimo, «non sappiamo quale sia la remunerazione diretta per la gestione patrimoniale dei clienti». Tesi seguita anche dall’avvocato Marcellini, per il quale «mancano tutti gli elementi fattuali», e seguita anche dalla Corte. «Non è stato possibile effettuare una ricostruzione e nessun cliente si è fatto vivo – ha motivato il giudice –. È quindi impossibile determinare il danno». L’accordo con l’istituto bancario relativo alle retrocessioni era stato siglato dal padre. «L’obbligo di rendicontazione spettava se mai a lui», ha aggiunto Ermani.

Complicità per l’immobile contestato

Il secondo filone è come detto legato al denaro sottratto alle società che Enderlin amministrava. La somma, due milioni di franchi, nel frattempo risarcita, è stata investita per conquistare (anche con gioielli preziosi) la cantante di origini lituane Ginta Biku – con cui aveva una relazione inizialmente clandestina e all’insaputa dei rispettivi compagni – e finanziare la sua carriera artistica. I fatti sono stati ammessi fatta eccezione per i 250mila franchi di una società nata per acquisire marchi della moda e poi trasformata in un’operazione immobiliare dalla cantante (nei suoi confronti è nel frattempo stato emesso un decreto d’accusa per amministrazione infedele). Per Galliano resta da chiarire se sia stato Enderlin a suggerire i bonifici e quale fosse il suo ruolo. Marcellini ha invece evidenziato che il suo assistito non era amministratore della società quando è avvenuto l’acquisto. Come detto, la Corte ha riconosciuto al 51enne luganese «almeno una posizione di complice». Tutta l’operazione «va letta nel rapporto tra i due, con la donna più occupata a conoscere persone che potrebbero sviluppare i suoi progetti e lui con gli strumenti a disposizione». Il cambio dello scopo sociale «non poteva essergli estraneo, le operazioni sono continuate anche dopo che Enderlin non era più amministratore unico. È quindi stato quantomeno complice, suggerendo come fare e mettendo a disposizione i mezzi». Per i fatti commessi tra il 2007 e il 2014 la colpa è stata definita «importante per gli importi in gioco. A livello soggettivo aveva delle alternative e almeno in parte ha agitato per una donna per cui aveva perso la testa.

Reati finanziari ‘atipici’

Durante la discussione, a sostegno del loro accordo, accusa e difesa hanno parlato di «reati commessi in maniera un po’ strana». In quel periodo, ha spiegato Galliano, «Enderlin ha perso la testa per una persona e ha scialacquato tutto quanto poteva. Ma è stata un’amministrazione infedele atipica: di solito si prosciugano i conti societari quando ci si trova alla canna del gas, e lui non si trovava in quello stato». A favore del 51enne è stata considerata anche la collaborazione, il lungo tempo trascorso e la «violazione importante del principio di celerità» e l’avvenuto risarcimento alle parti. Anche Marcellini ha parlato di «atipicità nel contesto dei reati finanziari: Enderlin ha commesso un’infinità di pasticci, alcuni dei quali di rilevanza penale». Nel suo giudizio, la Corte ha tenuto conto della collaborazione fornita, del tempo trascorso, del risarcimento alle parti ma anche delle «conseguenze in termini di reputazione sociale che il procedimento gli ha riservato», ha concluso il giudice Ermani.

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