Quattro imputati scagionati in Appello dall’accusa di infrazione alla Legge federale sulla protezione delle acque. Moria di pesci senza responsabili
La causa principale dell’inquinamento che nel gennaio 2017 ha portato a uno sversamento d’acqua contaminata da cemento nel Vedeggio, in territorio di Mezzovico-Vira, dove era in corso la costruzione di un basamento di un pilone dell’alta tensione, non ha potuto essere accertata. Le quattro condanne emesse in primo grado sono quindi state ribaltate. La Corte di Appello e revisione penale di Locarno (presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, affiancata da Rosa Item e Matteo Tavian) ha prosciolto i quattro imputati rinviati a giudizio nel 2018 per infrazione alla Legge federale sulla protezione delle acque.
La sentenza del processo d’Appello è stata intimata alle parti nei giorni scorsi. L’inquinamento resta quindi per ora senza un colpevole. Nel procedimento penale era entrato in causa anche il Cantone, costituitosi accusatore privato "nei confronti di coloro che saranno ritenuti responsabili, in modo da poter far valere le pretese di risarcimento del danno accertato". A causa dell’inquinamento, lungo quel tratto di fiume, morirono poco meno di 500 pesci.
Per le quattro persone ritenute responsabili dell’accaduto – l’ingegnere responsabile della direzione dei lavori, il responsabile del cantiere e due operai – il procuratore pubblico Moreno Capella ha emesso dei decreti d’accusa con pene pecuniarie, sospese, tra le 20 e le 30 aliquote giornaliere, oltre a sanzioni tra i 2’900 e i 3’500 franchi. Pene confermate dalla pretura penale nel maggio 2021. I legali degli imputati – gli avvocati Giacomo Fazioli, Paolo Luisoni e Michela Pedroli – hanno continuato a battersi per la loro assoluzione e si sono quindi rivolti alla Corte d’Appello.
L’inquinamento occorso al fiume nel 2017 aveva destato parecchio scalpore. Come detto, in una nota diramata nel 2018, il Dipartimento del territorio (Dt) aveva preso posizione annunciando che intendeva costituirsi parte civile nel procedimento penale. Una decisione motivata dalla "mancata resa di pesca del patrimonio ittico morto e le spese di ripopolamento per riportare l’equilibrio alla situazione precedente l’inquinamento, per il valore ecologico delle specie non allevate in piscicoltura, per gli interventi d’urgenza, le verifiche, la raccolta e l’allontanamento dei pesci".
Nella stessa presa di posizione, il Dt aveva tenuto a sottolineare come il tempestivo intervento del Nucleo operativo incidenti (Noi) della Sezione protezione aria, acqua e suolo, a supporto degli enti di primo intervento, permettesse sempre più spesso di raccogliere mezzi di prova per accertare l’origine dell’inquinamento, valutare i danni ambientali e definire le cause. Una fase di identificazione delle cause, che dovrebbe portare in seguito a determinare più facilmente le singole responsabilità.
Nel dicembre del 2018, lo stesso Dt aveva denunciato pubblicamente altri due episodi di inquinamento in altrettanti corsi d’acqua in territorio di Agno. Due casi che avevano causato la morte di centinaia di pesci. Allora, il Dt aveva precisato che grazie al pronto intervento e alla collaborazione del Noi della Sezione protezione aria, acqua e suolo, dei guardapesca di zona, della polizia cantonale e dei pompieri di Lugano erano "state identificate le origini degli stessi e sono in corso degli accertamenti per determinare le dinamiche e le relative responsabilità".
Il primo episodio aveva interessato la parte alta della roggia Prati Maggiori, provocando, lungo una tratta della lunghezza di circa 350 metri, una moria di 355 pesci, quasi esclusivamente gardon, per un peso complessivo di circa 13 kg. Il secondo evento era capitato nel vecchio Vedeggio, senza che fossero emersi, in base alle prime analisi, danni al patrimonio ittico. In quell’occasione, il Dt aveva espresso rammarico puntando il dito contro un fenomeno troppo frequente, nonostante le diverse attività di prevenzione promosse con gli enti locali e le associazioni di categoria interessate.
All’epoca, purtroppo, gli inquinamenti erano più frequenti. Spesso capitavano nel Vedeggio, all’altezza dei paesi di Bioggio e di Manno. Diversi episodi erano successi lungo il riale Scairolo, provocate sovente da fuoriuscite di liquami, perdite d’idrocarburi, intorbidamenti da materiale inerte e smaltimento improprio di acque derivanti da lavori di pittura, interventi di tracciamento con l’impiego di fluorescina e immissione di acque cementizie. Allora, tra le cause era stato messo in evidenza il legame con manipolazioni scorrette di prodotti chimici. Tanto che il Cantone aveva colto l’occasione "per ricordare che gli utilizzatori di tali prodotti sono tenuti per legge a rispettare le disposizioni d’uso stabilite nelle schede dei dati di sicurezza, evitando tassativamente l’evacuazione non diversamente autorizzata di sostanze o prodotti pericolosi attraverso griglie, caditoie o tombini".