In oltre 240 pagine le motivazioni della sentenza. Il commerciante di Lugano in passato era già stato risarcito dall’assicurazione, sempre per incendio.
Sono contenute in 244 pagine le motivazioni della sentenza di primo grado sul caso dell’incendio divampatosi al negozio di abbigliamento White, di via Nassa-piazzetta San Carlo, la notte tra l’11 e il 12 febbraio 2021. Un rogo intenzionale che ha ridotto in polvere il progetto criminale ideato da Bruno Balmelli, il 73enne titolare del negozio, ordito allo scopo di incassare i soldi della polizza dell’assicurazione. Un danno potenzialmente cospicuo quello stimato per la compagnia assicurativa: 1,9 milioni di franchi per quanto riguarda la merce, 150mila franchi per le installazioni presenti e mezzo milione per la perdita di esercizio durante i tre mesi necessari al risanamento dei locali. All’origine del piano le difficoltà finanziarie di questo negozio, in crisi a causa della pandemia e non solo. Il noto commerciante di Lugano, ricordiamo, è stato condannato dalla Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, a 4 anni di carcere, interamente da espiare. Al fresco sono finiti anche i quattro complici a cui sono state inflitte condanne tra i 12 mesi sospesi e i 34 mesi parzialmente sospesi. La procuratrice pubblica Margherita Lanzillo aveva proposto condanne comprese tra i 24 mesi e i tre anni – la Corte ha quindi aumentato le pene –, mentre le difese si sono battute per importanti riduzioni delle condanne. Numerosi gli avvocati patrocinatori: Ettore Item, Gabriele Massetti, Pierluigi Pasi, Nicola Corti e Sofia Padlina. Alcuni di loro intendono impugnare il verdetto davanti alla Corte d’appello e revisione penale.
La linea difensiva del 73enne verteva sull’intenzione sì di liberarsi dei capi d’abbigliamento, ma di non aver avuto intenzione di bruciare il negozio: «Volevo liberarmi solo di questa parte di merce, non volevo sapere come, ho solo fatto presente che senza scasso l’assicurazione non avrebbe coperto nulla. Per me bisognava eliminare il materiale, farlo scomparire dal piano di sotto del negozio, dove c’è il magazzino. Non mi sarebbe andato bene dare fuoco al negozio, perché avrei voluto continuare l’attività. Pensavo che forse avrebbero bruciato la merce, ma fuori da lì».
Ragioni però ritenute inverosimili dal giudice Pagnamenta nelle motivazioni scritte della sentenza: "Di fatto, non si comprende come una sola persona, nottetempo, avrebbe potuto svuotare un negozio in pieno centro di Lugano, asportando merce per un valore d’acquisto di quasi due milioni". Inoltre, indica il giudice, "per bruciarla altrove, la merce avrebbe dovuto essere prima asportata, con le problematiche logistiche che appaiono evidenti". E poi, perché chi fosse riuscito in tale impresa avrebbe bruciato capi di abbigliamento di un tale valore, piuttosto che tentare di rivenderla sul mercato nero? "La risposta a tali interrogativi è una sola: distruggerlo sul luogo era l’unico modo per liberarsi dello stock. E il fuoco era il modo più rapido e già conosciuto da Bruno Balmelli".
Del resto, si legge ancora nel verdetto, il commerciante "sapeva per esperienza che l’assicurazione sarebbe intervenuta, così come aveva fatto circa 6 anni prima quando (in circostanze assai simili) a fuoco era stato dato il suo negozio di Mendrisio". Come nel caso del White, "un suo negozio era stato dato alle fiamme secondo modalità del tutto analoghe". In quel caso, uno sconosciuto si era introdotto nel negozio, il Cashmere Square Outlet, e aveva incendiato la merce, "in quella che poteva apparire essere una vendetta, un avvertimento o atto intimidatorio". All’epoca dell’episodio di Mendrisio, il Giornale del Popolo aveva intervistato Balmelli: "Non so spiegarmelo, non abbiamo ricevuto minacce o intimidazioni, mai avuto il sentore che potesse capitare qualcosa del genere". In quel caso, l’uomo aveva dichiarato di avere la coscienza pulita. Il colpevole non era stato identificato, e il 73enne aveva ottenuto la copertura assicurativa. È apparso dunque plausibile, per la Corte, che Balmelli avesse "già una certa qual dimestichezza".
Torniamo al rogo del White e alla ricostruzione dei fatti nella sentenza. I vari protagonisti della vicenda si erano organizzati in modo da permettere all’esecutore materiale, un 38enne campano (sergente dell’accademia aeronautica militare italiana) di arrivare in Ticino e andarsene in sicurezza. "Si sono procurati il necessario per infrangere la vetrina e gli acceleranti per agevolare l’accensione dei focolai", predisponendo il luogo in cui il 38enne si sarebbe cambiato e hanno studiato il percorso da seguire per raggiungere il negozio tentando di stabilire dove si trovassero le telecamere di sicurezza della Città di Lugano. Il disegno criminale prevedeva che l’autore materiale dell’incendio si introducesse nel White grazie alle chiavi che gli erano state consegnate, disinserisse l’allarme, raccogliesse gli indumenti in mucchi (così che risultassero più facili da bruciare), cospargesse gli acceleranti e appiccasse il fuoco. Ma l’ultimo tocco, il più rilevante e fondamentale, è che durante la fuga il 38enne avrebbe dovuto prendere la mazza appositamente lasciata vicino all’ingresso e, dopo essersi assicurato di aver chiuso a chiave la porta, avrebbe dovuto sfondare la vetrina così da simulare uno scasso. Un gesto da compiere solo nell’ultima fase del piano, vista l’ubicazione del negozio in cui qualunque passante avrebbe potuto sentire o notare l’infrangersi del vetro e avvertire la polizia che sarebbe potuta giungere quando l’uomo era ancora impegnato a scatenare fuoco e fiamme.
L’intera operazione, di fatto, è stata portata a termine ma è mancato proprio l’ultimo tocco, il gran finale. Infatti, se il secondo complice avesse provveduto a simulare lo scasso, "ben difficilmente ne sarebbe scaturita l’inchiesta che ha poi permesso di smascherare l’intero progetto criminoso". Insomma, senza il colpo finale, niente colpaccio. Perché? Il 38enne "sorpreso dalla virulenza con cui le fiamme si sono sprigionate, tanto da riportare ustioni e temere addirittura per la propria incolumità, è fuggito in preda al panico", chiudendo sì la porta a chiave, ma dimenticandosi di sfondare il vetro della vetrina, come previsto.
Insomma, per la Corte si è trattato tutt’altro che dell’agire di «un’organizzazione da circo degna della Banda Bassotti, di un cinepanettone» come l’aveva definita l’avvocato del titolare del negozio di abbigliamento, Ettore Item. Dello stesso parere dei giudici anche la pp Lanzillo, che aveva definito il piano una "ideazione diabolica", che ha messo in scena una modalità operativa tipica delle associazioni a delinquere vere e proprie.
Severo il ritratto che i giudici di primo grado fanno del principale imputato, Bruno Balmelli: "Aggrava sensibilmente la sua colpa il fatto che abbia delinquito per puro fine di lucro. Non si è fatto alcuno scrupolo né pensiero nel far appiccare un incendio nel pieno centro di Lugano, con tutte le conseguenze drammatiche che ne sarebbero potute seguire per l’incolumità di chi vi risiede, e tanto meno nell’indurre in errore l’assicurazione portandola a corrispondergli un’importante somma in realtà non dovuta". Balmelli, prosegue il verdetto, "non ha esitato ad anteporre i propri interessi economici alla sicurezza della collettività".