Convocato a processo, l’imputato principale non si presenta. Con altre quattro persone, avrebbe fatto perdere ai suoi clienti oltre tredici milioni.
Quando i clienti, che per anni erano stati ingannati dalla sua società, permettendogli d’intascarsi milioni di franchi, sono venuti a bussare alla sua porta chiedendo cosa fosse successo ai loro soldi, Giuseppe (nome di fantasia) ha deciso di fare le valige e partire alla volta degli Stati Uniti, dove ha fabbricato dei finti titoli di studio per diventare decano di un’università. È questa, in estrema sintesi, la conclusione della vicenda, nel lontano 2009, di una società di gestione patrimoniale luganese, i cui quattro membri sono comparsi oggi di fronte alla Corte delle Assise Correzionali di Lugano. Ma non Giuseppe, ovvero colui che la società la gestiva e presumibilmente è stato il principale beneficiario di tutto un sistema basato sulle bugie. Giuseppe infatti, in tribunale non si è presentato proprio, adducendo, tramite il suo avvocato, scuse come un mal di schiena e una situazione di ristrettezza economica che non gli avrebbero permesso di lasciare gli States.
«Seppur sia desiderio del mio cliente chiudere questa faccenda – ha affermato davanti alla Corte il legale del principale imputato, Michele Rusca – sono dell’idea che, anche se rinviassimo il processo, non si presenterebbe lo stesso, perché ha affermato di non voler tornare a rivangare i fatti di un periodo così infelice della sua vita, dopo tutti questi anni».
Bisogna fare qualche passo indietro per capire l’accaduto. Anzi, di passi indietro da fare ce ne sono parecchi, dal momento che i fatti citati nell’atto d’accusa sono compresi nel periodo che va dal 2006 al 2009, per un caso che, opinione condivisa tanto dall’accusa, quanto dagli avvocati difensori, viola platealmente il principio di celerità.
Sono cinque gli imputati convocati oggi davanti alla Corte presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti. Manca Giuseppe, ma ci sono i due presunti complici, che lo avrebbero aiutato ad arricchirsi intascando illecitamente le retrocessioni destinate ai clienti, oltre che nella fabbricazione di rendiconti falsati, e due impiegati, meri esecutori materiali ma comunque consapevoli di quanto stesse avvenendo. Il copione, come in molti reati finanziari, era molto semplice: dopo aver preso in gestione il capitale della loro clientela (composta prevalentemente da cittadini italiani, e vi è il sospetto che la società li aiutasse nell’evasione fiscale), lo utilizzavano per la compravendita di azioni che gli permettessero di ottenere il più alto numero di retrocessioni, che puntualmente Giuseppe si intascava, anziché restituirle al cliente. Ai clienti, poi, venivano presentati dei rendiconti appositamente falsificati, per illuderli che il loro capitale stesse effettivamente crescendo, quando in realtà era rimasto invariato oppure era diminuito, per convincerli a lasciarglielo in gestione. Considerato il periodo storico infelice, per il mondo economico, basti pensare al crollo della Borsa nel 2008, non viene difficile capire come mai sempre più clienti abbiano cominciato a insospettirsi a richiedere i propri soldi.
E mentre Giuseppe, nel dicembre del 2009, se ne volava con il malloppo alla volta degli Stati Uniti, i complici decisero di costituirsi e di ammettere di aver sperperato il capitale dei clienti in operazioni inutili e spesso dannose. Totale della perdita? Nell’atto di accusa vengono riportate perdite per la bellezza di 13’874’021 franchi più spicci, ma in realtà la cifra sarebbe superiore se si calcolassero i reati avvenuti prima del 2006 e oramai caduti in prescrizione. E mentre gli ignari clienti perdevano tutti i loro soldi, la società arrivava a incassare oltre tre milioni di franchi in retrocessioni, senza che queste venissero loro nemmeno comunicate. Anche in questo caso, però, si può ipotizzare che la cifra possa essere più alta.
Giunto negli Stati Uniti, Giuseppe decide di rifarsi una vita, ma non di farlo onestamente. Decide infatti di diventare decano di un’università cattolica texana. E se forse il suo passato di guardia svizzera potrebbe averlo aiutato ad aggiudicarsi la posizione (secondo quanto riportato da vari media, Giuseppe avrebbe infatti servito in Vaticano ai tempi di Giovanni Paolo II), di certo i punti forti del suo curriculum sono stati i suoi vari titoli di studio, tra cui un dottorato, conseguiti in Italia. Il problema è che questi titoli accademici siano in realtà dei falsi creati a regola d’arte, e che lui, di fatto, non abbia mai conseguito nemmeno una laurea. L’inganno è stato scoperto nel 2022, e nell’agosto di quest’anno, Giuseppe ha dato le sue dimissioni dal ruolo. Stando a quanto riportato in un portale d’informazione della Abc, un professore che ha lavorato al suo fianco nella stessa università lo ha definito: «Un ciarlatano, un truffatore e un artista dell’inganno».
Quindi al momento Giuseppe si trova negli Usa, senza volontà apparente di tornare in Svizzera. «L’imputato non ha alcuna intenzione di assumersi le sue responsabilità – ha dichiarato davanti alla Corte la procuratrice pubblica Anna Fumagalli, che rappresenta l’accusa –. Il suo presunto mal di schiena non giustifica la sua assenza, e ogni ulteriore rinvio gioverebbe a lui e agli imputati per motivi di pura prescrizione». Gli avvocati difensori avevano invece ritenuta fondamentale la presenza di Giuseppe al processo, chiedendo che questo venisse rinviato auspicando a una sua futura presenza. «Se davvero si trova in ristrettezze economiche – ha affermato uno degli avvocati difensori – il mio cliente è anche disposto a pagare parte della spesa per il suo rientro in Svizzera». La giudice ha infine deciso di avviare il procedimento in assenza dell’imputato, respingendo la richiesta della difesa. La sentenza è attesa per i prossimi giorni.