Luganese

Procura letargica, ‘petrolieri’ luganesi prosciolti dopo 11 anni

La mancanza di documentazione determina l’assoluzione dei due imputati, coinvolti in un crac da 80 milioni

Un deposito petrolifero russo
(Keystone)
23 novembre 2022
|

Un procedimento penale lungo 11 anni e, infine, l’assoluzione. Sono stati prosciolti dalle Assise correzionali i due imputati, un 80 enne ticinese e un 52enne russo, entrambi residenti nel Luganese, sotto processo per l’enorme dissesto da 80 milioni di franchi della loro società attiva nel campo del trading petrolifero in Russia. Una assoluzione dovuta alla insufficienza di prove contabili. I documenti a quanto pare sono rimasti non proprio ben custoditi per ben 9 anni - è c’è il sospetto che ne siano spariti alcuni - dalla denuncia presentata nel 2011 fino all’inizio dell’esame da parte del Ministero pubblico, nel 2020. Una dormita colossale della Procura? Sembra proprio di sì. Il giudice Marco Villa ha così spiegato il proscioglimento. Nonostante la cattiva gestione della società, questo il reato contestato, sia provata da un punto di vista civile, sotto il profilo penale non vi sono sufficienti riscontri di quanto ciò sia costato alla società stessa. Niente danno, niente pena. Sono però state respinte le richieste d’indennizzo presentate dagli imputati.

Affari pericolosi in Russia

La vicenda si dipana in una Russia post-sovietica, dove chi ha il coraggio di rischiare in una situazione abbastanza opaca ha veramente la possibilità di fare affari d’oro. Soprattutto nel campo delle materie prime: petrolio e gas. È proprio lì che si lancia la società luganese, fondata nel 1994 per, principalmente, "Il commercio, il trasporto ed il deposito di prodotti petroliferi, nonché la partecipazione a società e la prestazione di ogni genere di servizi, in particolare servizi di spedizione e trasporto, connessi con i prodotti petroliferi" come si può ancora leggere nella vecchia scheda a Registro di commercio. La società luganese sembra fare veramente sul serio. Con un capitale sociale di ben 5,1 milioni di franchi, si cimenta in operazioni di vasta portata nella compravendita di petrolio, arrivando a guadagnare qualcosa come 10 milioni all’anno. Soldi a palate, così pare, eppure il passo falso era dietro l’angolo, tra il 2007 e il 2008. Sarebbe nato da un allargamento del raggio d’azione, segnatamente la gestione diretta e il trasporto del petrolio attraverso una società russa che aveva ricevuto in concessione un’area nel porto di Murmansk. Operazione impegnativa, nella quale sono stati investiti circa 30 milioni. Con la società pesantemente esposta, arriva la tempesta perfetta: crolla il prezzo del petrolio, i conti non tornano più e la banca che aveva fin lì spalleggiato la società chiede di rientrare. È la fine? Non subito: la società tenta di ripartire convinta di poter ripianare il debito. E ne aveva le possibilità, sostiene l’avvocato difensore del 52enne, Luca Marcellini. Ma l’Ufficio di revisione decide di portare i libri in Tribunale. Il dissesto è di quelli sanguinosi: arrivano precetti esecutivi per 80 milioni di franchi, e il semplice ritardo tra le difficoltà della ditta e il deposito dei bilanci sarebbe costato, secondo l’atto d’accusa, oltre 8 milioni di dollari.

Incombe la prescrizione

Tuttavia non hanno convinto il giudice Villa né la versione dell’avvocato Marcellini né quella della Procura, un atto d’accusa della allora procuratrice pubblica Francesca Piffaretti Lanz portato in aula dal procuratore Daniele Galliano. Le missive delll’Ufficio di revisione, allegate agli atti, già nel 2006 suonavano campanelli di allarme sulla tenuta economica di questa società. L’operazione di Murmansk in realtà sarebbe stata un’ultima, pericolosa spiaggia e una volta constata l’insolvenza gli amministratori della ditta avrebbero dovuto quantomeno allestire un bilancio intermedio e convocare un’assemblea degli azionisti. Ma all’accusa, oltre alla mancanza di documenti rilevata sopra, vengono contestate incongruenze nelle date indicate. Finisce qui? Non è detto, le parti si sono riservate di ricorrere in appello anche se incombono pure i termini di prescrizione dai fatti, lontani ormai 15 anni.