Acceso dibattimento processuale per i fatti della Moncucco, accaduti nel 2019. La sentenza fra una decina di giorni
Nei meandri dell’arte medica. E dell’errore medico, difficile da stabilire nel campo di una scienza notoriamente inesatta. Dopo il rinvio di metà ottobre, è stata al centro del dibattimento davanti alle Assise correzionali di Lugano (in trasferta a Mendrisio) la presunta svista diagnostica, una omissione secondo l’accusa, che provocò gravi danni di salute alla donna visitata nel 2019 alla clinica Moncucco. Un tumore al seno non visto dal medico radiologico, una 52enne italiana residente a Lugano, con una vasta esperienza anche nel campo della senologia, nel frattempo ha lasciato il nosocomio di Besso per uno studio privato. Contesta il decreto d’accusa del procuratore pubblico Zaccaria Akbas, e la relativa condanna a 120 aliquote giornaliere, in pratica sei mesi sotto forma di pena pecuniaria di 61’200 franchi. In arringa, il procuratore ha ribadito la stessa richiesta di pena. Un dibattimento nervoso, condito da numerose scintille tra le parti e che ha richiesto un certo impegno al giudice Siro Quadri. Il difensore, l’avvocato Filippo Ferrari, mette in dubbio il valore degli accertamenti svolti e invoca l’assoluzione. La sentenza verrà emessa fra una decina di giorni.
La paziente, una conoscente della dottoressa che siede sul banco degli imputati, aveva un precedente importante. Nel 1996, per un tumore, le era stato asportato il seno destro. Il rischio di recidiva, si sa, in questi casi esiste. Per questo la donna si sottoponeva a regolari controlli, di cadenza annuale, e aveva pure partecipato allo ‘screening’ cantonale di prevenzione del tumore al seno. La lente va quindi sull’esame sostenuto alla Moncucco nel 2019. Una mammografia, completata dal tecnico con una tomosintesi, un esame più approfondito dal quale sarebbero emersi più chiaramente indizi di un possibile tumore. Il complemento al ‘normale esame’ però «non era stato richiesto da me, lo utilizziamo in caso di densità ghiandolare elevata, mentre la paziente aveva una densità bassa» sostiene l’imputata, che soprattutto afferma di non aver mai ricevuto le immagini di questa tomosintesi. «Le ho viste solo nel 2021». Nel frattempo il tumore emerge in tutta la sua gravità: la paziente, questa volta al Sant’Anna, dove si era spostata per effettuare l’esame annuale, scopre che il seno superstite è stato a sua volta attaccato dal cancro: da qui la necessità di cure pesanti: chemioterapia, radioterapia e mastectomia con asportazione della massa tumorale, insomma gravi danni alla salute dovuti al mancato tempismo con cui si è intervenuti. L’avvocato Renzo Galfetti, per l’accusatrice privata chiederà il rinvio al foro civile (si tratterebbe di 370mila franchi) per il risarcimento dei danni subiti dalla sua cliente. Nel frattempo ha presentato richiesta per il risarcimento delle spese legali per un ammontare di 98mila franchi.
Parla il perito...
Sul piano penale, il pp Akbas ha esplorato, con il fondamentale supporto di un perito, la violazione dell’arte medica, a suo modo di vedere effettivamente accaduta. Il referto peritale, ricorda il pp, aveva già stabilito che la tomosintesi evidenziava una opacità anomala, visibile su due immagini, che avrebbe imposto un approfondimento, come una nuova ecografia ed eventualmente una nuova tomosintesi 6 mesi dopo. Questi file che denotavano preoccupanti indizi, sono stati mandati, e andavano esaminati. Qui sta la mancanza, ma sempre secondo l’accusa – e il perito – e questo anche alla luce della sola ecografia il tumore era già visibile, anche se in una sola immagine. Una traccia forse flebile, ma da verificare e approfondire. Era un tumore dalla "velocità intermedia", in ogni caso con una diagnosi tempestiva i danni sarebbero stati ridotti. Reato penale «di media gravità» per l’accusa, mentre «il danno subito dalla paziente è grave». «Sono stati commessi degli errori, quello che mi preme è che una cosa simile non succeda più». «Il medico cantonale avrebbe potuto verificare se ci sono stati altri errori medici commessi in passato dall’imputata» rincara la dose l’avvocato dell’accusatrice privata, cioè della paziente, per il quale ha avuto il "coraggio civico" di presentare denuncia perché «vorrei che nessun altro dovesse vivere il mio calvario medico». Renzo Galfetti ravvisa una «colpa umana enorme» alla luce del comportamento di questa dottoressa, parlando di «arroganza e perfidia».
... ma è stato imbeccato?
Per l’avvocato difensore Filippo Ferrari è giusto che si sappia che gli esami hanno diagnosticato una completa guarigione della paziente rispetto alla malattia tumorale. L’arringa ha ripercorso anche il clima pesante in cui si è svolta l’inchiesta forse dovuto, ha detto, al fatto che il procuratore Akbas si trovava con altri colleghi oggetto di polemiche sulle nomine in magistratura, clima che ha portato la difesa ad avvalersi della facoltà di non rispondere, presa a un certo punto dell’inchiesta. La perizia medica, ha aggiunto, si è svolta senza il confronto con l’imputata. Ma, anche nel merito della stessa, ecco alcune obiezioni dall’avvocato Ferrari. «La mammografia del 2019, senza tomosintesi, è identica a quella del 2018». E ancora, queste immagini della tomosintesi arrivarono o no al computer della dottoressa? No, dice la difesa, ed è ammesso che all’epoca alla clinica Moncucco vi fossero problemi informatici nella trasmissione di grossi pacchetti di dati. C’è un vizio ancora maggiore nella raccolta delle prove: il perito venne influenzato da informazioni non necessarie, come il fatto nel 2020 vi fosse in essere un cancro, condizionando l’analisi retrospettiva delle valutazioni fatte. «Con questa tecnica di analisi a ritroso si potrebbero condannare il 30% dei medici del Canton Ticino». Ma anche fossero dati i presupposti, l’unico danno alla paziente, sarebbe stato l’aumento della massa tumorale, che comunque si riduce totalmente con la chemioterapia: una eventuale lesione semplice e non grave eventualmente.