Cinque alla sbarra per il rogo doloso di via Nassa, il noto commerciante luganese ammette il tentativo di truffa assicurativa
"Io volevo solo disfarmi della merce: non certo che venisse dato fuoco al negozio". Questa la linea difensiva del noto commerciante Bruno Balmelli, da oggi al banco degli imputati assieme a quattro complici per il rogo del suo negozio White di via Nassa, il 2 febbraio dell’anno scorso. Un incendio doloso, appiccato in più punti come apparve subito evidente ai pompieri accorsi, per incassare i soldi dell’assicurazione con cui era appena stata rinnovata la polizza.
«Una stupidata» ha detto il noto commerciante, per poi correggersi parlando di «un grosso errore». All’origine, come si può immaginare, le difficoltà finanziarie di questo negozio. «Per sanare la situazione avrei dovuto metterci 200mila franchi» ammette. Da qui l’idea di ‘far sparire’ uno stock di merce invenduta, rivolgendosi a un individuo... conosciuto al bar di via Pioda, che frequentava, nei pressi del suo negozio di articoli sportivi. Un 45enne campano, che per l’esecuzione vera e propria chiamò un compaesano, un 38enne pure residente in provincia di Napoli, tra l’altro sottoufficiale dell’esercito italiano. È stato quest’ultimo ad appiccare le fiamme, con una tanica di benzina e due bottiglie di bioetanolo. È stato in seguito identificato, arrestato dapprima al suo domicilio e quindi ri-catturato in Germania, per poi essere estradato in Svizzera, ed è regolarmente sul banco degli imputati.
Ma come può un commerciante di successo, famoso in tutta Lugano, quasi 73enne, lanciarsi in un’azione tanto scellerata? Una mossa disperata per salvare il negozio, messo in crisi dalla pandemia di Covid e non solo. Balmelli: «Cercavo di sistemare i bilanci in anni difficilissimi, per dare continuità al White. Il negozio è andato in crescita fino al 2017, poi è iniziato un periodo di crisi, difficoltà di mercato. C’era un indebitamento alto e tutta la merce va pagata in anticipo. Esecuzioni pendenti? Sì, sapevo che avrei dovuto metterci circa 200mila franchi. Ho proposto il materiale invenduto ad alcuni grossisti, ma era un momento molto difficile. Poi, a un mio vicino di lavoro – il campano del bar – ho chiesto se conoscesse qualcuno che potesse darmi una mano. Ho chiesto di occuparsi di una parte della merce in scorta, che valeva circa 200mila franchi, cosa che mi avrebbe dato la possibilità di continuare. Volevo liberarmi solo di questa parte di merce, non volevo sapere come, ho solo fatto presente che senza scasso l’assicurazione non avrebbe coperto nulla. Per me bisognava eliminare la parte del materiale, farlo scomparire dal piano di sotto del negozio, dove c’è il magazzino. Non sarebbe andato bene dare fuoco al negozio, perché avrei voluto continuare l’attività. Pensavo che forse avrebbero bruciato la merce, ma fuori da lì. Non abbiamo mai parlato di un incendio al negozio anche perché l’attività era viva. E il negozio sarebbe stata l’eredità per mio figlio».
Ma chi ha deciso, allora, di dare alle fiamme il White? Chi sapeva cosa? È ciò su cui ruota la parte istruttoria di questo processo, previsto sulla durata di tre giorni.