Luganese

Dalla banchina sul quai alla condanna penale

Il 52enne che ricevette il subappalto, è stato però assolto dall’accusa di appropriazione indebita

La ‘famosa’ banchina di Riva Vela
(Ti-Press)
14 ottobre 2022
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Uno spaccato piuttosto sconcertante del mondo dell’edilizia quello fotografato dalle Assise Criminali di Lugano che ha condannato un 52enne italiano a 180 aliquote giornaliere sospese con la condizionale per cattiva gestione di una ditta che amministrava (poi fallita) e infrazioni alle leggi federali sulle imposte alla fonte e all’assicurazione vecchiaia e superstiti, 55mila franchi prelevati dalle buste paga e non versati alle competenti casse. L’uomo è stato peraltro assolto dall’accusa principale, una appropriazione indebita per soldi – oltre 600mila franchi – che gli investitori sostenevano non fossero arrivati in cantiere, la ristrutturazione di una palazzina nel Canton Turgovia.

Nato negli Stati Uniti e attivo a Lugano dal 2005, per una società appartenente ai genitori, a causa di contrasti coi familiari quest’uomo decide di mettersi in proprio acquisendo due società. Professione: amministratore e appaltatore in ambito edilizio. Una partenza col botto, fra il 2013 e il 2015. «Abbiamo fatto molti lavori, anche a Lugano, sono qui da vedere» dice con una punta d’orgoglio il 52enne. Il cui nome per la verità esce, non proprio sotto una buona luce, in relazione al ‘famoso’ abuso edilizio della banchina di Riva Vela, una piattaforma di legno appoggiata sul ‘quai’. Un subappalto irregolare, in quel caso, su un’opera pubblica, e ciò aveva fato scalpore. Coinvolta proprio, in quanto autrice reale dell’opera, la società finita nell’atto d’accusa della procuratrice pubblica Chiara Borelli. Società nel frattempo finita in liquidazione; il fattaccio principale evocato nel processo è, fra il 2017 e il 2018, la gestione del lavoro di ristrutturazione di una palazzina di 5 appartamenti a Steckborn, nel Canton Turgovia. Qui si infrange lo slancio del ‘self-made man’, che pur avendo ricevuto dai committenti gran parte dei soldi necessari, li avrebbe usati per pagare pendenze di altre operazioni, mentre a Steckborn i lavori languivano. Due soli operai in cantiere, mentre gli artigiani spazientiti dal mancato versamento delle loro spettanze minacciavano di porre ipoteca legale sull’immobile. Questo almeno ciò che è stato denunciato dai proprietari. Come sia andata davvero, però, non si può sapere: secondo una perizia di parte solo 300mila franchi sono stati effettivamente investiti nel cantiere, somma che invece arriva a 700mila nella ricostruzione dell’imputato. Una verità accertata non esiste mancando una perizia giudiziaria. Questo ha tagliato la testa al toro: la giudice Francesca Verda Chiocchetti ha ritenuto non provata questa fattispecie. La procuratrice Chiara Borelli ha annunciato una dichiarazione di ricorso contro la sentenza. Cosa ci facesse questo 52enne in Svizzera tedesca resta poco chiaro: per sua stessa ammissione non sa il tedesco, si doveva far tradurre i documenti e «di bilanci non ci capisco molto» si schernisce. Il difensore d’ufficio, l’avvocato Andreea Faldarini, ha così ottenuto per il suo assistito una assoluzione, almeno parziale: l’accusa aveva chiesto una condanna a 26 mesi. Il 52enne resterà da queste parti. L’espulsione dalla Svizzera, che sarebbe stata dovuta per i reati commessi, gli viene risparmiata in quanto ‘caso di rigore’ potendo egli vantare moglie e figlio svizzeri.