Truffe Covid, secondo giorno di processo alle Criminali di Lugano. Domani le richieste di pena della procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti.
«Sapevano che i controlli non sarebbero stati approfonditi a causa della situazione di emergenza. È stata un’inchiesta complicata e complessa, sia per il numero di imputati che per il loro atteggiamento». Il secondo giorno del processo in corso davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano per ripetuta truffa è stato caratterizzato dalla prima parte della lunga requisitoria della procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti. Il suo intervento, con le richieste di pena, terminerà domani mattina. La parola passerà in seguito ai rappresentanti degli accusatori privati e agli avvocati difensori. Inizialmente attesa per venerdì, la sentenza verrà comunicata il 9 giugno. Alla sbarra, davanti al giudice Siro Quadri, ci sono sette persone (l’ottava è assente giustificata, mentre un procedimento è stato disgiunto) che tra il marzo e il maggio del 2020 hanno ottenuto indebitamente crediti Covid e indennità di lavoro ridotto per oltre un milione di franchi.
La procuratrice ha ricordato che l’inchiesta è partita «con un esposto presentato dall’amministrazione di fallimento» della ditta del 50enne legale italiano, in carcere dal 30 giugno dell’anno scorso, «per omissione alla contabilità e contravvenzione all’uso dei crediti Covid». La segnalazione al Ministero pubblico ha portato ai primi accertamenti e alle altre persone finite alla sbarra. «Tutto è emerso dall’inchiesta e non dalla collaborazione degli imputati, che hanno ammesso solo di fronte a prove inequivocabili». Quello esaminato in questi giorni, ha aggiunto Rigamonti, «è un caso dove gli imputati hanno sostanzialmente approfittato della situazione. Si tratta di persone legate da rapporti di amicizia, professionali e di conoscenza che hanno deciso di compartecipare ai loro successi illeciti e che era buona cosa riuscire ad approfittare di soldi facili». Soldi «usati per migliorare la loro situazione e non per le attività delle società che ne avevano beneficiato». Parlando dei duri mesi della pandemia che hanno messo in difficoltà molte attività, l’analisi della pp è stato che «c’è stato chi ha cercato in tutti i modi di portare avanti l’attività senza pesare sullo Stato, chi ha ricevuto aiuti, e anche chi ne ha approfittato senza nessun tipo di remora».
La rappresentante dell’accusa ha poi ripercorso nel dettaglio i reati commessi da ogni singolo imputato. A partire dal 50enne, «il fulcro, l’unico che ha rapporti con i principali imputati presenti in aula» che «dopo aver cercato di deresponsabilizzarsi, confrontato con elementi oggettivi chiari ha ammesso. Nonostante la sua formazione da giurista e gli 11 mesi di carcerazione preventiva, non c’è stata una vera e propria presa di coscienza». L’uso dei crediti Covid era «per un nuovo business, la gestione di un locale notturno a Zurigo, e in parte per spese personali, come l’acquisto di una targa per la sua auto». Il suo agire è quindi stato «con dolo, ha tratto un indebito profitto, sapeva che i controlli non sarebbero stati approfonditi vista la situazione di emergenza di partenza. Lascia basiti il fatto che non si accontenta dei 620mila franchi di crediti: ha capito che poteva approfittare della situazione e fare soldi facili».
Parlando del secondo imputato ancora in carcere, un 49enne del Sopraceneri, la pp ha ricordato che l’uomo si è occupato di aiutare ad allestire documenti per richieste per recuperare denaro che gli era dovuto. «Una giustificazione che non ha alcun senso: non si tratta di un aiuto visto che tutti avevano interesse che le richieste andassero a buon fine». Come per il primo imputato, «solo di fronte a messaggi inequivocabili ha ammesso di aver compilato i formulari. Ma non dà l’impressione di aver compreso gli atti illeciti da lui commessi».
L’attenzione è poi stata rivolta al 46enne avvocato e consulente legale italiano attivo a Zurigo, entrato nell’inchiesta grazie all’esame dei messaggi elettronici con l’altro avvocato dai quali «emerge che ha avuto comportamenti illeciti». A suo carico anche procedimenti aperti a Zurigo. «Contesta sostanzialmente tutti i reati, fatta eccezione per i tentativi di chiedere crediti per il suo studio legale per cui si vergogna – ha spiegato Rigamonti –. Non si assume alcuna responsabilità, è un giurista ma sembra essere disposto a fare qualsiasi cosa che gli permetta di avere un tornaconto personale». Riguardo al più anziano degli imputati, un pensionato 66enne del Sopraceneri «riconosce» i fatti che lo hanno portato in aula, «ma ritiene di non aver commesso niente di penalmente rilevante». Nel suo ruolo di amministratore, «è difficile che non fosse a conoscenza di quanto avveniva nella società: un amministratore non può assumere la carica e fare solo quello che gli dicono di fare. Non si è mai preoccupato di determinare chi dovevano essere i beneficiari di queste indennità. Ha trovato il modo di fare del denaro facile: non ha fatto nulla per la società», ha concluso la pp.
Nel corso della mattinata la Corte si è confrontata con gli ultimi tre imputati. Si tratta di due imprenditori italiani – un elettricista e un importatore dalla Serbia di una bevanda energetica – e un dipendente di una ditta di autonoleggio. I primi due si sono affidati all’avvocato zurighese, pure alla sbarra, per cercare di ottenere, senza riuscirci, un credito Covid e portare le rispettive attività in Svizzera. Il dipendente, oggetto unicamente di un decreto d’accusa aggiuntivo che propone una condanna a 180 giorni sospesa e una multa di 800 franchi, è invece accusato di aver sottoscritto otto contratti di leasing agendo in correità con un altro imputato.