Luganese

‘I due imputati da venditori di mattoni a venditori di fumo’

Alle Criminali chieste pene fino a 6 anni e mezzo per i vertici della società M&A. Hanno creato una voragine in ambito immobiliare di 24 milioni

7 aprile 2022
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«Ci credo che eravate convinti delle vostre azioni, ma vi siete fidati troppo delle vostre qualità, trasformandovi da venditori di mattoni in venditori di fumo». Così si è espressa la procuratrice pubblica Chiara Borelli durante la seconda giornata del processo alle Assise criminali di Lugano che vede imputati il dirigente e un dipendente della M&A. I due, sostanzialmente rei confessi, sono accusati di aver rastrellato complessivamente oltre 36 milioni di euro, impiegandone indebitamente quasi 24 milioni. Pesanti le pene chieste nei loro confronti: per il titolare della società, un 68enne italiano, sono stati chiesti 6 anni e 6 mesi (con espulsione dalla Svizzera per 7 anni). Cinque anni e 5 mesi invece la richiesta per il suo dipendente, un 58enne del Luganese. Una ventina le vittime del raggiro, «per la maggior parte piccoli risparmiatori, come casalinghe o camionisti». Spetterà alla Corte presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti stabilire la responsabilità dei due imputati.

‘Avevano tutti i segnali per potersi accorgere e fermare’

«Non hanno voluto ammettere, spinti probabilmente dal loro orgoglio, che imprenditorialmente sono stati un po’ incapaci. Si sono fidati delle persone sbagliate e sono andati avanti con le loro attività invece di ammettere che il business non funzionava». Non ha usato mezze parole la procuratrice pubblica Chiara Borelli nel ricostruire la vicenda che ha visto la M&A generare un buco milionario nell’ambito immobiliare. «I clienti trovavano delle offerte interessanti. Veniva loro prospettata la possibilità di fare affari nel settore immobiliare, conosciuto per essere solido. Il ‘mattone’ viene infatti ritenuto un investimento sicuro». Una solidità sulla quale, secondo la pp, avrebbero fatto leva i due uomini d’affari per convincere i loro clienti ad affidare alla società il capitale da investire, che poi però veniva usato per coprire fatture e pagamenti accumulati precedentemente. «Andando in giro con le loro mappette dicendo ‘l’aspetto positivo è che c’è sempre il mattone sottostante, non come altri investimenti che possono erodere il capitale’. Promesse poi non mantenute». La procuratrice ha anche illustrato il modo di agire dei due imputati: «Al titolare, anche per il suo atteggiamento altezzoso, non piaceva avere a che fare con i piccoli sottoscrittori. Era il dipendente 58enne il vero motore della ditta, che trovava i capitali grazie anche alla rete di conoscenze sul territorio. Frutto di pranzi di lavoro e contatti all’interno del mondo bancario». Durante la requisitoria è stata rimarcata la colpa dei due imputati, ritenuta molto grave. «Già nel 2014 avevano tutti i segnali per pensare di fermare l’attività, un progetto divenuto negli anni sempre più fumoso. Per fortuna che sono stati arrestati, altrimenti il danno economico generato dalle loro attività sarebbe potuto essere ancora maggiore».

‘Tutti sapevano che erano investimenti ad alto rischio’

Di tutt’altro avviso la versione della difesa. «Investimenti sicuri non ce ne sono. Un investimento non può dirsi assolutamente sicuro, nemmeno nel mattone», ha affermato l’avvocato Elio Brunetti, rappresentante legale dell’imprenditore 68enne. «L’errore è pensare che gli azionisti abbiano acquistato nel mattone. Non lo hanno fatto. Quindi la decantata sicurezza non c’è. Non è la classica operazione sicura di chi acquista un immobile con i suoi soldi. Venivano dati a una società neppure quotata in borsa». Un elemento che la difesa ha voluto evidenziare. «Quelli di chi sottoscriveva le obbligazioni erano investimenti ad altissimo rischio. Una procedura non convenzionale. Era semplicemente mettere dei soldi a disposizione di una società. Gli investitori avrebbero dovuto fare una verifica, anche perché non si trattava di gente estranea al settore», ha spiegato Brunetti alla Corte. Un segnale che avrebbe dovuto allertare, «e far drizzare non un’antenna, ma dieci», sarebbero dovuti essere per la difesa gli alti tassi d’interesse proposti. «Percentuali del 5% o dell’8% sono ampiamente fuori mercato. Ben lontane da quelle proposte dalle banche. Era chiaro quindi che si trattasse di un investimento ad altissimo rischio». Massiccia quindi la richiesta di riduzione di pena per l’imprenditore 68enne. La difesa ha chiesto un massimo di 4 anni. «Ha sostanzialmente collaborato con gli inquirenti. È stato coerente e il suo racconto è logico. Inoltre non c’è nessun rischio di recidiva». È stato anche chiesto il proscioglimento dal reato di truffa, sulla base del principio, ‘in dubio pro reo’. La difesa del secondo imputato, il 58enne dipendente della ditta, prenderà invece la parola domani.